Nel mese di marzo, secondo stime ancora preliminari (in gero vengono chiamatae “statistiche flash”, in attesa di un’elaborazione più accurata), l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), comprensivo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,5% rispetto al mese precedente e del 3,3% nei confronti del marzo 2011. Da questo angolo visuale - che comprende tutti i generi considerati nel “paniere” Istat – ripettoa febbraio l’inflazione risulta stabile.
Se vengono invece tolti dal paniere i beni energetici e gli alimentari freschi, l’inflazione sale al 2,3% dal 2,2% di febbraio 2012. Significa che gli aumenti meggiori, nell’ultimo mese, si sono avuti soprattutto su questi due tipi di beni (energia e alimentari).
Un quadro preoccupante che viene confermato da un altro tipo di paniere, più ristretto, quello dei “prodotti acquistati con maggiore frequenza”, che subiscono un forte aumento su base mensile (+0,6%), con un’accelerazione del tasso di crescita tendenziale del 4,6%.
E’ evidente la traduzione concreta: sono aumentati di più quei generi di cui non si può fare a meno (gli alimentari freschi, per esempio; o i carburanti, anche calcolando solo quelli da riscaldamento); insomma, il classico “carrello della spesa” familiare. E’ una regola semplicissima del “mercato”, anche precapitalistico. Mentre per tutte le merci non indispensabili, la stessa regola dice che è bene che i prezzi non salgano troppo, visto che già ora si vendono meno.
Naturalmente, il fatto che la “spesa necessaria” aumenti di prezzo più rapidamente significa poco chi ha redditi alti, ma è un dramma per chi ha redditi bassi o addirittura in calo (si pensi ai cassintegrati, agli “esodati”, ai licenziati, stabili o precari che fossero prima di venir sbattuti fuori).
Il testo completo dell’Istat:
Altra conferma della drammaticità della dinamica viene sempre dall’Istat: le retribuzioni dei lavoratori dipendenti (quelli che ancora hanno la fortuna di avere un lavoro con contratto a tempo indeterminato e magari persino il pericolosissimo art. 18) non si muovo più.
Alla fine di febbraio 2012 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica corrispondono al 67,4% degli occupati dipendenti e al 61,8% del monte retributivo osservato, dice l’Istat (la parte che manca per raggiungere il 100%, di conseguenza, viene retribuita con regole al di fuori dei contratti collettivi nazionali; quindi con salari più bassi e soprattutto non rilevabili statisticamente; il che spiega perché il governo e Confindustria vogliano abbattere la struttura contrattuale e i diritti conquistati…).
Nello stesso mese l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie registra una variazione nulla rispetto al mese precedente e un incremento dell’1,4% rispetto a febbraio 2011. Nel primo bimestre del 2012 la retribuzione è cresciuta dell’1,4% rispetto al corrispettivo periodo del 2011. Con salti fermi e “carrello della spesa” a +4.6 si fa presto a calcolare quanto si perde in una anno come potere d’acquisto.
Con riferimento ai principali macrosettori, a febbraio le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell’1,8% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione.
Nel primo bimestre dell’anno, per l’insieme dei contratti monitorati dall’indagine, non è stato ratificato alcun accordo. Deve essere un record che annuncia i futuro prossimo: niente rinnovo, niente aumento…
Alla fine di febbraio la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 32,6% nel totale dell’economia e del 12,3% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 26,0 mesi sia nel totale che nell’insieme dei settori privati.
Il documento Istat:
Retribuzioni contrattuali – 30_mar_2012 – Testo integrale.pdf361.73 KB
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa