La questione, sul piano teorico, non è complicatissima. Su quello pratico è ovviamenteil contrario. Proviamo a spiegarci. I prodotti finanziari “derivati” furono inventati per “distribuire il rischio” in giro per il mondo, in modo da renderlo inoffensivo. In quanto tali furono immediatamente benedetti dalle massime autorità (Alan Greespan, Mario Draghi, ecc). Memorabile la frase di Greenspan: “I derivati rappresentano sempre pi un importante veicolo per diversificare i rischi e per allocarli agli investitori più capaci di gestirli”.
In particolare, fu proprio Jp Morgan a “inventarli” (“Il ricorso alle cartolarizzazioni e ai derivati creditizi per trasferire il rischio dai loro bilanci – una tecnica usata per la prima volta nel 1997 da JP Morgan con le operazioni Bistro”). Una volta cominciato il gioco i migliaia l’hanno replicato: “origini” un debito e lo “distribuisci” in tanti altri prodotti per “coprirti” dal rischio che non possa esser ripagato.
Risultato: la massa dei “derivati” – scambiati su mercati non regolamentati, detti “over the counter” – ha raggiunto la cifra (stimata) di 650.000 miliardi di dollari. Ovvero circa 9 o 10 volte il prodotto interno lordo mondiale. Una bomba atomica senza sicura.
Con Jp Morgan apprendiamo che “gli investitori più capaci di gestire i rischi” sono in realtà dei banali scommettitori. Gente incapace di controllare le conseguenze delle proprie azioni. Non per cattiveria o stupidità congenita. Semplicemente perché – come singole persone – soltanto pedine inconsapevoli di un gioco enormemente più grande di loro. Ma, gestendo cifre enormi, con una sola decisione sbagliata possono mettere in moto valanghe incontrollabili.
Ricordiamo che il capitale, nella sua evoluzione, genera continuamente nuove “figure” in base alle sue esigenze. Ma alla fine della fiera, là dove dovrebbe esserci “il sistema di controllo e sicurezza” c’è solo uno che gioca a dadi. Come chi gioca ai cavalli….
Troppi incapaci per non fallireMeglio credere agli incapaci o agli indignati? Sopra la banca c’è sempre un uomo, mai una donna. Questa volta si chiama Jamie Dimon, guadagna 23 milioni di dollari l’anno e ne fa perdere 200 al giorno scommettendo in modo sbagliato. Sotto la banca, la JP Morgan, una bancona d’affari americana, ci sono migliaia di persone che perderanno tutto. Hanno scommesso sul trader sbagliato. Sul nostro conto, la Grecia sta annegando nonostante un uomo della Bce sia stato messo a governarla e la Spagna ha preferito nazionalizzare la quarta banca del paese piuttosto che lasciarla nelle mani del presidente, un ex direttore del Fondo monetario internazionale. Non è un problema di ideologia. Sono troppo incapaci per non fallire.CONTINUA|PAGINA3 Eppure non è il 2008 e non è nemmeno la Lehman Brothers che ormai vive solo nei film (Too big to fail, Margin Call). E’ una domenica di maggio del 2012, quando Dimon, presidente amministratore delegato (ceo) della JP Morgan, va in tv e dice: c’è stato un «errore madornale». La sua banca ha perduto almeno 2 miliardi di dollari in due settimane, ma quasi certamente il conto potrebbe salire a 3, o a chissà quanto. Il giorno dopo il portavoce della Casa Bianca va anche lui in tv e dice «è pazzesco che dopo il 2008 ci sia ancora qualcuno che sostenga che dovremmo lasciare Wall Street a scriversi le regole dal sola». Già: sono quattro anni che tutto continua come prima, come se lo tsunami finanziario provocato dalla speculazione finita fuori il controllo dei nostri, avesse travolto milioni di vite inutilmente. JP Morgan è una forte scossa, ma se diventasse un terremoto potrebbe far tremare Barack Obama, che ha salvato altre banche americane, ma non è riuscito a imporre una riforma alla finanza.
Secondo un copione scritto meglio a Hollywood, Dimon sta per offrire agli azionisti alcune teste dei responsabili del buco, per salvare se stesso. La numero due, un alto dirigente di origine latina, il capo delle operazioni europee, il suo braccio armato sui mercati, un francese noto alla City come The Whale (gli squali lasciamoli al cinema). Dimon punta a cadere in piedi: in fondo non ha fatto casini nel 2008, nel 2011 ha guadagnato più o meno come nel 2010 (nessun aumento, ma era stato il più pagato di tutti), ha chiuso il primo trimestre di quest’anno con utili in calo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso ma pur sempre con 5,4 miliardi di dollari, promesso un aumento del dividendo agli azionisti del 20% (oggi sa d’assicurazione sulla vita, tanto più che sapeva già di perdere soldi quando l’ha fatta alla fine di aprile).
Uno così se lo mangia a colazione il Michael Douglas di Wall Street: domenica in tv ha sottolineato come questa clamorosa perdita sia successa non per sua incapacità, ma in un «momento davvero molto sbagliato» per le battaglie che sta conducendo insieme agli altri banchieri contro il governo e la riforma delle regole della finanza. Che infatti slitta di stagione in stagione, scivolata alla fine dell’anno. Sempre che Obama venga rieletto e riesca lì dove finora ha fallito o che la Jp Morgan non riveli perdite ancora più stellari, che impongano un’accelerazione alla legge. L’ambiente è tossico, lo ha detto anche Greg Smith, il più famoso di tutti loro, il capo operazioni derivati della Goldman Sachs andato via qualche mese fa sbattendo la porta. Anche se dalla finestra gli è poi arrivato un assegno da 1,5 milioni di dollari per scrivere tutto in un libro.
Per capire come la JP Morgan (la più solida, nessuna ironia) abbia scoperto di avere meno terra sotto i piedi, basta leggere le targhette degli uffici di New York. Il dipartimento dove si gestiscono i rischi – scommettendo sui derivati – si chiama Chief Investement Office, guidato dal 2005 da Ina Drew, donna e dunque la prima a saltare. Investement? Per pararsi dalle esposizioni dei debiti sovrani europei e dal prossimo default greco, l’ordine dell’ufficio era di alzare l’asticella del rischio di ogni operazione per guadagnare di più. Ceduta l’asticella, il buco è diventato una voragine non più occultabile. Alla JP Morgan, il sacrificio umano di Drew dovrebbe essere seguito da quello di Achilles Macris, strappato alla concorrenza nel 2007 e messo a Londra a dirigere le operazioni europee. Sì, è un greco. Questo nemmeno i migliori writers di Hollywood lo avrebbero immaginato.
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