Cresce in modo allarmante il rischio di una nuova crisi alimentare mondiale. L’allarme è stato lanciato dalla Fao a seguito delle statistiche sull’andamento dei prezzi di luglio delle principali materie prime alimentari.
L’indice Fao sui prezzi dei prodotti alimentari mostra a luglio un’accelerazione del 6% e potrebbe continuare a surriscaldarsi nei prossimi mesi. Da qui l’allarme sul rischio di un’emergenza simile a quella del 2007/2008 che innescò violente rivolte popolari in diversi paesi. La situazione ricorda infatti molto la crisi alimentare del 2008 quando i prezzi dei generi alimentari innescò una ondata di rivolte popolari in 30 paesi in tutto il mondo, da Haiti al Bangladesh. Non sono pochi gli osservatori che affermano come l’aumento dei prezzi dei generi alimentari abbia anche contribuito ad innescare la primavera araba nel 2011.Nick Higgins, analista commerciale della Rabobank, ha dichiarato: “Le rivolte per il cibo sono un rischio reale; a questo punto i prezzi del grano sono ancora più elevati che nel 2008, e ciò avrà un effetto su chi non può permettersi di pagare i costi più”. Secondo quanto riferisce il Financial Times, i rappresentanti del G20 terranno una prima teleconferenza il 27 agosto durante la quale verra’ esaminata la possibilita’ di una riunione fra la fine di settembre e gli inizi di ottobre.
Cinque anni fa, leader progressisti come Fidel Castro o Evo Morales avevano ampiamente annunciato e denunciato che la destinazione di terreni agricoli alla coltivazione di cereali per gli agro-combustibili invece che al fabbisogno alimentare, avrebbe innescato una pesantissima crisi nella produzione agricola globale. I fatti, purtroppo, gli hanno dato ragione.
La nuova crisi, potrebbe essere innescata da vari fattori. La Fao segnala, per esempio, le restrizioni alle esportazioni dettate da una corsa delle quotazioni cerealicole su cui incombe il rischio siccità. Ma potrebbe esserci anche l’effetto della combinazione tra il caro-petrolio, l’aumento nell’utilizzo di biocombustibili che hanno sottratto centinaia di migliaia di ettari alle coltivazioni per uso alimentare, le condizioni climatiche avverse, la forte accelerazione dei derivati finanziari sui cereali alla Chicago Board e l’accentuarsi delle politiche restrittive di molti governi. In buona parte sono i fattori che avevano già provocato i problemi negli anni scorsi.
E proprio la crisi precedente sarebbe, secondo molti analisti, alla base dei rischi attuali. Allora, infatti, molti paesi produttori di prodotti agricoli-alimentari avevano imposto diverse restrizioni sulle esportazioni nel tentativo di contenere il rincaro dei prezzi sul mercato interno. Si era arrivati a porre il divieto assoluto all’export, al sistema delle quote e a quello della tassazione sulle esportazioni di generi alimentari tra cui riso, mais e frumento.
Le restrizioni all’export avevano però ridotto l’offerta sui mercati internazionali innescando un ulteriore rincaro dei prezzi. Tutto senza contare le speculazioni che, per esempio, hanno inciso sulle quotazioni dei cereali.
Ma da che cosa è determinato l’aumento dell’indice generale dei prezzi? Principalmente dal rialzo dei prezzi delle granaglie e dello zucchero, mentre i prezzi della carne e dei prodotti latteo-caseari non hanno subito forti variazioni. I prezzi cerealicoli hanno registrato a luglio un balzo del 17% su giugno. In luglio si sono deteriorate le prospettive della produzione di mais negli Stati Uniti, causate dai danni della prolungata siccità: una situazione che ha spinto i prezzi del +23%. Ma, ha fatto rilevare la Fao, anche le quotazioni internazionali del grano sono salite del 19%; mentre sembrano essere peggiorate le prospettive nella Federazione Russa, con le aspettative di una domanda stabile di grano sostenute dalla ristrettezza dell’offerta di mais. Stabili, poi, i prezzi internazionali del riso. In crescita invece lo zucchero (+12%), a causa delle piogge premature in Brasile, il più grande esportatore mondiale di questo prodotto. Proprio questa coltura dimostra quanto l’influsso del clima sia ancora forte in agricoltura. A far crescere i prezzi, infatti, sono state anche, spiega la Fao, le preoccupazioni riguardo il ritardo del monsone in India e le scarse piogge in Australia. Situazione contraria, invece, per la carne che ha fatto registrare un Indice Fao in ribasso dell’1,75 – 3 punti rispetto a giugno –, un calo per il terzo mese consecutivo. Il tratto principale, in questo caso, è stata una generale “debolezza” dei mercati (in particolare la produzione suina, ha registrato un calo del 3,6%).
È da questi numeri che è scattato-l’allarme di Fao e Oxfam. «Il tempo del cibo a buon mercato è ormai ampiamente superato. Servono azioni concrete per evitare che al miliardo di persone che vivono in uno stato cronico di fame e di malnutrizione non se ne aggiungono altri milioni.
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