Secondo il New York Times online, che cita persone coinvolte nella vicenda, dopo 10 mesi di inchiesta si va verso la conclusione che il caos e il fallimentare controllo dei rischi nella società, più che una vera e propria frode, hanno “semplicemente” provocato la sparizione del denaro. Si badi bene: stiamo parlando di una società quotata, i cui movimenti di denaro dovrebbero essere “tracciati” più che tracciabili. Dovrebbe insomma essere possibile sia verificare dove sono andati persi investimenti sbagliati, sia dove sono finite cifre destinate ad altri impieghi.
Il top management, in entrambi i casi, porta la responsabilità oggettiva e soggettiva (se non altro per il mancato cntrollo).
Invece nulla. Il miliardo è sparito ma è troppo complicato ricercarlo.
Gli ostacoli alla costruzione di un caso criminale sono stati sempre evidenti, sin dalla dichiarazione di bancarotta dell’ottobre scorso di Mf Global. Tuttavia, “la mancanza di imputati nel più grande caso dal 2008 potrebbe alimentare la frustrazione rispetto alla difficoltà del governo di portare sul banco degli imputati i top manager delle istituzioni finanziarie”, scrive l’agenzia de Il Sole 24 Ore. In realtà più che di “frustrazione” bisognerebbe parlare apertamente di complicità tra banche e organismi preposti al loro controllo, negli Usa e non solo.
Solo pochi individui, nessuno dei quali – guarda caso – tra i principali protagonisti di Wall Street, è stato perseguito per gli atti rischiosi che hanno portato ai recenti fallimenti e a miliardi di dollari di perdite.
La scorsa settimana si è fermata anche l’inchiesta della giustizia Usa su Goldman Sachs – da cui proviene buona parte dell’aministrazione Usa, oltre ai “nostri” Draghi e Monti – per la crisi dei mutui subprime.
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