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La Catalogna scopre le carte di Rajoy


Draghi non va negli Usa e i mercati scommettono su imminenti iniziative della Bce

Francesco Piccioni

La Spagna entra nel gorgo greco, ma non si deve dirlo a voce alta. Nel giorno della visita del presidente del consiglio dell’Unione europea, Herman van Rompuy, la regione autonoma della Catalogna ha reso noto di voler chiedere aiuto allo stato centrale, quantificandolo il 5 miliardi di euro.
La regione con Barcellona capitale è l’equivalente della nostra Lombardia, per quanto riguarda l’economia iberica. Ma è anche la regione con più debiti: 40 miliardi. Deve rimborsare, entro l’anno, debiti per 5,75 miliardi, ha grossi problemi di rifinanziamento sui mercati e quindi rischia seriamente di rimanere senza liquidità. Come altre regioni chiede «la partecipazione al fondo di liquidità» da 18 miliardi, creato appositamente da Madrid. Non mancano i problemi politici: la Catalogna è da sempre una regione fieramente autonomista, attualmente governata da una coalizione nazionalista (CiU) che ha accompagnato la richiesta d’aiuto con un perentorio «non accetteremo nessuna condizione politica».
La richiesta è ovviamente entrata di prepotenza nel confronto tra Van Rompuy e il premier spagnolo Mariano Rajoy, già ribattezzato «el mentiroso» (il bugiardo) dai suoi concittadini. Nella conferenza stampa il leader della Ue ha voluto essere molto tranquillizzante («siamo pronti ad intervenire sulla base di un breve preavviso»), anche perché la Spagna conservatrice figura tra i paesi che hanno già messo in cantiere «misure decise e coraggiose», ovvero tagli forsennati a welfare, salari e diritti. Ma la situazione è comunque un po’ più complicata.
Madrid ha già ricevuto assicurazioni per aiuti al suo sistema bancario pari a 100 miliardi di euro, e sta cercando di contenere il ricorso a questi fondi a «soli» 60 miliardi. Ma ancora «non sta negoziando con la Bce» perché è in attesa di capire cosa farà l’istituto di Francoforte per contenere gli spread. Il 6 settembre il presidente Mario Draghi presenterà le sue proposte al board della Bce, e solo allora sarà chiaro se anche per Madrid si apre uno spiraglio per alleviare le proprie sofferenze finanziarie senza dover avanzare una richiesta ufficiale di «aiuto». La quale comporta un negoziato con la «troika» e un incrudimento drastico delle condizioni poste a Madrid. È la strada già fatta da Atene e che nessuno vuol ripercorrere, naturalmente.
Nel frattempo tutto rimane sospeso. Le assicurazioni verbali dei leader iberici ed europei sono indispensabili per tenere lontana la speculazione da Madrid, ma non si traducono per ora in atti concreti.
In ogni caso, la credibilità della Spagna sui mercati sembra decisamente migliorata nell’ultimo mese. Ieri il ministero del Tesoro ha collocato sui mercati 3,6 miliardi di Bonos a 3 e sei mesi. Più di quanto aveva fissato come target massimo, ma soprattutto trovando una domanda quasi doppia rispetto all’offerta. Così che i rendimenti sono decisamente calati (0,946% il trimestrale) rispetto all’asta del mese scorso (2,434%).
Analoga sorte è toccata ai titoli italiani piazzati nelle stesse ore, con Ctz biennali e Btp indicizzati che hanno fatto segnare rendimenti in deciso calo (oltre l’1,5%) rispetto al mese precedente.
Ciò nonostante gli spread per entrambi i paesi sono tornati al rialzo. Per i Btp italiani, nel confronto gli analoghi Bund tedeschi, la differenza è salita a quasi 450 punti, mentre per i Bonos di Madrid è rimasta ben sopra i 515 punti. Segno che la «fiducia» non riguarda tanto quel che stanno facendo i due paesi, pur «benedetti» da Bruxelles e dalla Germania, quanto le prossime mosse della Bce.
In questo senso, la notizia che Mario Draghi non potrà presenziare al vertice dei banchieri centrali a Jackson Hole, negli Stati uniti, in programma in questo weekend. «Troppi impegni in Europa», recita la nota che ufficializza l’assenza. E tanto è bastato per convincere i mercati che finalmente Francoforte stia per passare all’azione. L’unica incertezza riguarda gli strumenti scelti. Ma sia che opti per l’acquisto di titoli di stato sul mercato secondario, sia che offra prestiti in quantità illimitata a tasso quasi zero, accompagnata magari da un altro taglio al tasso di interesse base, «i mercati» sarann contenti. A noi toccheranno altre «riforme strutturali» per 20 anni di seguito, grazie al «fiscal compact».

da “il manifesto” del 29 agosto 2012

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