Menu

La “mossa” della Bce. Conseguenze e scenari

E la scelta della Bce di acquistare titoli di stato dei paesi con alti spread, e quindi grandi problemi di rifinanziamento sui mercati, che si ripercuotono sulla sostenibilità del debito pubblico nazionale, è certamente una decisione di “svolta”.
Nei giorni scorsi vi abbiamo proposto una chiave di lettura in termini di ridisegno istituzionale dei poteri in Europa in conseguenza della scelta di Draghi & co. Qui vi sottoponiamo tre punti di vista di grande interesse, al di là dei diversi approcci teorici al problema. Nouriel Roubini, ad esempio, dà un quadro niente affatto tranquillizzante della situazione da qui a qualche mese, anche se – da Cernobbio – conferma come i mercati globali abbiano già deciso che “l’agenda Monti” deve essere l’alfa e l’omega anche del prossimo governo italiano.

Spread congelati, economia a pezzi Joseph Halevi
In Gran Bretagna la Banca d’Inghilterra assicura il rifinanziamento del debito; crescente, visto che il deficit nel bilancio pubblico è al 7% del Pil, fissando il tasso di interesse e chiudendo il circuito tra la Banca Centrale ed il Tesoro. I titoli britannici non sono quindi volatili e sottoposti a speculazione: gli investitori istituzionali li acquistano, oggi anche con parecchi soldi in fuga dalla Spagna, accettando rendimenti negativi dato che i tassi inglesi sono inferiori all’inflazione.

Tutto bene per il Regno Unito? No perchè la sua economia reale continua a deteriorarsi, come segnala la nota dell’Ocse emessa nelle stesse ore in cui la Bce ha approvato la proposta di Draghi, che le permetterà di comperare illimitatamente buoni dei paesi dell’eurozona.
Si può pensare che l’operazione di Draghi porti l’Unione monetaria verso una situazione di crisi «normale» come quella britannica, senza instabilità nel mercato dei titoli pubblici. Tuttavia la scelta della Bce non assicurerà l’agognata stabilità dei buoni pubblici… Al massimo agirà da calmiere, facendo pagare però un alto prezzo all’economia reale.

Le società finanziarie possono continuare a scommettere sulla solvibilità degli Stati membri dell’Unione monetaria, dando origine agli spread rispetto al tasso applicato ai bund tedeschi.La linea Draghi scatterà quando alcuni di questi Stati incontreranno delle difficoltà a rifinanziarsi sui mercati privati. Tuttavia l’acquisto illimitato dei titoli non è automatico, bensì è legato a dure condizioni di austerità che si ripercuotono rapidamente sull’economia reale e sull’indebitamento stesso aggravandolo.

In questo contesto è poco probabile che possa venire pienamente ristabilito il circuito monetario dell’eurozona che, come aveva osservato il Governatore della Banque de France, è rotto in quanto i tassi della Bce non valgono per l’insieme Unione monetaria.

Ma tutto ciò non è «colpa» di Draghi, dipende invece dalla natura istituzionale della Bce, che non può agire come una Banca centrale nazionale. In tale contesto, Draghi sa benissimo che la sua operazione non può avere grande respiro se non viene attuata un’integrazione dell’intero sistema bancario europeo con un organismo di supervisione ed intervento simile alla Federal Deposit Insurance Corporation fondata da Roosevelt. Ciò significherebbe però rompere la fortissima connivenza tra banche tedesche, ancora piene di titoli tossici che esse non vogliono eliminare, e i vari livelli di governo in Germania. Da quello di Berlino a quelli dei singoli länder.

Da “il manifesto”

Intervista a Roubini: «Monti-bis? L’importante è che l’Italia continui la politica di questo governo. E in Europa resta il rischio che qualcosa vada storto»

Isabella Bufacchi
Non è solo l’Italia ad essere danneggiata dallo spread tra i BTp e i Bund. Le anomalie dei mercati sono nocive nei due i sensi: mettono in difficoltà lo Stato che paga tassi troppi alti, portando il costo del rifinanziamento del debito ai limiti dell’insostenibilità, ma creano problemi anche negli Stati con rendimenti troppo bassi, alimentando le bolle speculative sugli asset e sugli immobili e facendo crollare i rendimenti dei fondi pensione. Non è escluso quindi che il nuovo programma OMT di acquisti dei titoli di Stato della Bce, attraverso la tecnica della sterilizzazione, non agisca sui due versanti: abbassare i rendimenti dei titoli dello Stato che ricorre allo scudo anti-spread e alzare quelli dei titoli di Stato nei paesi core. La provocazione è di Nouriel Roubini, intervistato ieri ai margini del workshop Ambrosetti a Villa d’Este, sulle sponde del lago di Como a Cernobbio.
Il dibattito tra monetizzazione e sterilizzazione è feroce nell’Eurozona: ma è proprio così rilevante?
Si, la Bce ha dovuto tener conto delle preoccupazioni delle classi politiche e della Bundesbank, contrarie alla monetizzazione dei debiti pubblici nazionali. Francoforte correva il pericolo di incorrere in azioni legali e la sterilizzazione ha evitato questo rischio. In realtà, quando i tassi arrivato allo 0%, la sostanza è un’altra e la differenza tra monetizzazione e sterilizzazione può diventare semantica. La sterilizzazione (il drenaggio di liquidità per l’esatto importo della liquidità immessa attraverso l’acquisto dei titoli di Stato ndr.) può avvenire in diversi modi: vendendo titoli oppure con i reverse repos (le operazioni di pronti contro termine all’incontrario). La Bce potrebbe decidere di farlo con i bond degli Stati core che hanno registrato rendimenti negativi. Per un paese, pagare tassi negativi ha il beneficio del basso costo della raccolta per le casse dello Stato ma al tempo stesso alimenta la preoccupazione della formazione di bolle immobiliari o bolle sugli asset. Anche gli spread troppo bassi sono dannosi: la Bce non ha dichiarato che intende alzare i tassi a breve dei paesi core ma può intervenire in tal senso con la sterilizzazione, per riportare la normalità. Anche i tassi negativi, come gli spread alle stelle, segnalano una disfunzione.
La Bce ha detto che acquisterà i titoli di Stato tra uno e tre anni: ritiene che questo sia sufficiente per far calare anche i rendimenti tra i cinque e i dieci anni oppure servirà un nuovo programma ad hoc per le scadenze lunghe?
Il solo annuncio ha già fatto crollare i rendimenti dei BTp e dei Bonos decennali. Si tratta di un fattore tecnico: va ricordato che i rendimenti a lunga scadenza altro non sono che la media ponderata dei tassi a breve attuali e attesi. Quindi si va un po’ in automatico: scendono quelli a breve e di conseguenza scendono anche quelli a lungo termine. L’impatto è già visibile adesso, ed è forte.
Quanto scenderanno? Qual è il target? Qual è lo spread adeguato tra i BTp e i Bund?
I tassi a breve potrebbero portarsi al 2% ma non serve a nulla fissare un target perchè le variabili sono tante e i fattori che incidono sullo spread cambiano continuamente, compresi quelli irrazionali. Più che un target, si può lavorare su un corridoio di oscillazione: e credo sia su questo che lavorerà l’OMT della Bce.
L’impatto deterrente delle forze di Efsf/Esm e Bce messe assieme ha ridotto talmente tanto i rendimenti che, stando così le cose, l’Italia potrebbe evitare di chiedere lo scudo anti-spread? Gli stranieri, torneranno ad acquistare i titoli italiani in asta come facevano un anno fa?
Se i rendimenti si manterranno tra il 2% e il 5%, con una media del costo del rifinanziamento del debito molto bassa, l’Italia non avrà problemi l’anno prossimo anche se il Pil non crescerà. Gli stranieri torneranno, ma non subito: ci vorrà del tempo. L’Italia non ha fretta: la domanda degli investitori domestici è sostenuta ed è sufficiente per coprire le aste. L’assenza della domanda estera in asta non è un problema.
Le aste però sono sempre ansiogene per i mercati…
Non è detto che lo siano in futuro. L’Italia ha un grande avanzo primario e questo significa che l’anno prossimo le sue esigenze di rifinanziamento saranno contenute, riguarderanno solo il roll-over del debito (il rimborso dei titoli in scadenza con emissione di nuovo debito). Gli stranieri potrebbero aspettare e rientrare dopo l’esito delle elezioni. Alcuni organi di controllo non europei hanno messo in guardia i propri operatori finanziari contro il rischio degli stati europei periferici. Non ci sarà la corsa a tornare in Italia: gli investitori esteri sono cauti, ma torneranno perchè la Bce ha deciso di rimuovere il “tail risk”.
Già, il rischio politico, le elezioni. Qual è lo scenario più favorevole, per i mercati: un Monti-bis?
Più che un Monti-bis, direi l’Italia ha bisogno che le politiche impostate dall’attuale governo Monti siano continuate. Ci potrà essere in futuro una grande coalizione, dominata dal centrosinistra oppure dal centrodestra. Non importa se vi sarà Monti in persona alla guida: l’importante è che le sue politiche vengano confermate e continuate. I mercati potrebbero gradire che alcuni tecnici di questo Governo vengano confermati nel prossimo Governo: tra questi per esempio indicherei il ministro Grilli che è ben conosciuto anche dai partners europei. E’ importante che dopo le elezioni l’Italia non perda quella buona reputazione di cui gode in Europa adesso.
Guardando avanti, al 2013, esiste ancora il rischio che si scateni la tempesta perfetta, a causa della crisi dell’Eurozona, il rallentamento della crescita in Usa, Cina e nei paesi emergenti e l’instabilità nel Medio Oriente?
La tempesta perfetta non è il mio scenario base. Ma il rischio che qualcosa vada storto resta. L’Eurozona per esempio non è uscita affatto dal tunnel: il problema della Grecia è ancora irrisolto ed è potenzialmente molto contagioso; gli aiuti alla Spagna potrebbero essere gestiti in una maniera disordinata; le elezioni in Italia, Olanda, Germania potrebbero riservare qualche sorpresa. La probabilità che tutto vada storto non è alta ma intanto la locomotiva Usa ha rallentato il passo, il landing della Cina è più hard che soft e il Medio Oriente è un vulcano acceso. Vedo ancora molti elementi di fragilità a livello globale: e l’Eurozona resta uno di quelli.

Da Il Sole 24 Ore

Il calcio al barattolo della Bce di Draghi Gabriele Pastrello La notizia che la Bce acquisterà titoli in quantità illimitata non è una notizia. Quando un banchiere centrale di fronte a un attacco speculativo al ribasso dice, come fece Draghi a fine luglio, che farà «tutto il necessario» per difendere l’euro, gli arzigogoli interpretativi sono superflui; non poteva voler dire altro che farà quello che solo adesso ha detto che farà. Il resto è tattica e sceneggiate.
Ma sono comunque interessanti le clausole della dichiarazione. E’ vero infatti che ha usato l’aggettivo «illimitato» per le quantità, cruciale per definire l’azione del «prestatore di ultima istanza». Ma ha limitato le scadenze ai soli titoli fino a tre anni. Le ragioni possono essere diverse: forse una maggiore sensibilità dei titoli con scadenze basse a fattori di rischio speculativi; o forse perché, essendo già nei portafogli delle banche come riserva, una loro conversione in conti correnti presso la Banca centrale non aumenta la base monetaria e quindi non minaccia, stante i timori della Bundesbank, fiammate inflazionistiche; o forse con l’intenzione di ammansire la Bundesbank delimitando l’ampiezza dell’intervento.
Draghi ha inoltre insistito molto sulla condizionalità, cioè sull’esigenza che i paesi i cui titoli necessitano di essere sostenuti debbano richiederlo ai due fondi di stabilizzazione, accettando le condizioni sulle politiche e sulle riforme. Nulla di nuovo anche qui. Draghi è un sostenitore convinto delle politiche di compressione sociale, taglio del welfare e dei salari; dall’intervista al Wall Street Journal di febbraio in poi ha ripetuto più volte che spetta ai governi, la «seconda gamba», attuare le cosiddette riforme. Eppure c’è un aspetto poco chiaro. Come aveva detto di recente, la Dichiarazione del 6 settembre riguarda interventi di emergenza per situazioni di emergenza. Ora, se ci fosse un attacco, difficilmente gli Stati coinvolti richiederebbero l’intervento, dato il costo politico della richiesta – l’intervento della Troika: Bruxelles, Fmi e Bce – prima che la situazione diventi insostenibile.
Ma a quel punto sarebbe improbabile che ci fosse tempo per tutta l’istruttoria; è più probabile che, data l’urgenza, la Bce intervenga prima che tutta la procedura del Memorandum d’intesa sia completata. Cosa succederebbe se ci fossero condizioni che un paese non fosse disposto ad accettare? La Bce lascerebbe affondare l’euro? Improbabile. Per di più c’è nella Dichiarazione un oscuro riferimento a programmi di intervento dei Fondi di stabilizzazione sul mercato primario, e non solo su quello secondario.
Restava un’unica linea difensiva anti-Draghi, per quanto pretestuosa. E cioè che l’acquisto di titoli di debiti sovrani, che comporta la creazione di moneta da parte della banca centrale, possa avere come conseguenza una crescita dell’inflazione. Ma Draghi ha neutralizzato in anticipo la critica dichiarando che, contestualmente, provvederà a sterilizzare l’eventuale aumento della quantità di moneta. Cioè se, da un lato, acquistasse titoli spagnoli o italiani da banche spagnole o italiane, contemporaneamente metterà in atto operazioni che riducano la quantità di moneta negli stessi paesi. Peraltro è difficile capire come, ad esempio, liquidare in euro i titoli di un fondo giapponese faccia aumentare i prezzi degli alimentari a Roma o a Madrid. Inoltre, si è già visto che l’aumento di liquidità delle banche dovuto alla precedente azione di Draghi, quella del rifinanziamento triennale, non si è trasformata in credito all’economia, e quindi in ripresa con tensioni sui prezzi.
Interessante è stata la reazione dei mercati alle dichiarazioni di Draghi, non tanto per la crescita delle borse italiane e spagnole, ovvia, quanto per l’asta andata male dei Bund tedeschi. Si tratta di una chiara conferma del fatto che vendere spagnolo o italiano, nei mesi scorsi, e acquistare tedesco non aveva nulla a che fare con i differenziali nei fondamentali macroeconomici o fiscali, bensì con l’aspettativa che la zona euro si rompesse. In questo caso, chi avesse acquistato Bund si sarebbe trovato in mano un titolo rivalutato. Se la prospettiva si fa dubbia non ha più senso, almeno per il momento, comprare tedesco.
La Dichiarazione di Draghi, come tutti si aspettano, renderà inutile l’intervento. Sicuramente fino a novembre; poi non si sa. Il punto dolente è che l’austerità sta marciando, e non si capisce proprio come i suoi effetti, che si svilupperanno con forza in inverno, potranno essere rovesciati a primavera, visti i nuovi tagli di bilancio già previsti per il 2013; pace Monti e il suo ottimismo. Stavolta è la dinamica recessiva reale che potrebbe retroagire sulle condizioni finanziarie e bancarie, peggiorandole, e quindi favorire una nuova stagione di attacco all’euro. Ma non prima dell’anno nuovo.

Da “il manifesto”

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *