Ora è più la forza dell’euro che non la debolezza dell’eurozona a preoccupare l’establishment continentale. I ministri delle finanze europei riuniti per l’Eurogruppo hanno così dovuto prendere atto di quanti problemi la questione ponga, nonostante che Mario Draghi, nei giorni scorsi, avesse interpretato l’apprezzamento della moneta unica come un segno del ritorno della fiducia nel Vecchio Continente.
Al contrario, e com’è anche ovvio, un euro che si rivaluta in contemporanea al deprezzamento dello yen e soprattutto del dollaro (che si trascina dietro anche la quotazione del yuan cinese), diventa un handicap supplementare per le merci europee destinate all’esportazione. E’ insomma un effetto di quella “guerra non dichiarata” tra le principali aree monetarie del mondo che è partita già da tempo e dagli Stati Uniti, ma che è stata ufficializzata di recente dal nuovo primo ministro conservatore giapponese, che l’ha accompagnata con una serie di misure protezionistiche tali da provocare l’innesco di una reazione a catena. A quel punto, addio “libero commercio globale” e più crisi per tutti.
Il ministro delle finanze francese, Pierre Moscovici, si è fatto primo portatore di queste preoccupazioni: “Dobbiamo garantire di tenere sotto controllo la volatilità dei prezzi di mercato o quei movimenti imprevedibili, che possono avere effetti negativi duraturi sull’economia, se continueranno. Ecco perché chiedo a tutti di fare uno sforzo coordinato a tal proposito”. E ancora: “quindi siamo d’accordo nell’Eurogruppo che la questione vada sollevata al G20”.
E il potente ministro dell’economia tedesco, Wolfgang Schaeuble lo ha immediatamente sostenuto, stavolta: “Porteremo la questione dei tassi di cambio al meeting del G20 di Mosca nella cornice dei lavori del G20. Il problema non è solo legato all’euro, ma ci sono preoccupazioni anche con altre grandi monete”. Ovvero la consapevolezza che la “guerra” è iniziata e nessuno sembra capace o disposto a fermarla.
Toni simili anche da parte di un altro “falco” del rigore, come il Commissario alle questioni economiche Olli Rehn: “le prospettive di breve termine restano preoccupanti, con la disoccupazione alta e un debito pubblico della zona euro sopra il 90% che ha ridotto il dinamismo e la crescita”.
La valuta europea ha guadagnato più del 10% in sei mesi, portandosi a 1,37 sul dollaro. C’è stata poi una reazione continentale, palesatasi nelle forti vendite di euro, che ha leggerente cntenuto il riapprezzamento. La chiusura dell’euro nella giornata di lunedì è stata di 1,33 sul biglietto verde statunitense.
L’altro punto rilevante in agenda era l’uso del fondo Esm, nato come “salva-stati” e trasformatosi cammin facendo in un fondo “salva-banche”. Qui si è discusso della possibilità di fissare un “tetto” alla capacità di ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dell’Esm (fondo salva-Stati). Lo ha spiegato il presidente dell’eurogruppo, l0olandese Jeroen Dijsselbloem, peraltro fresco protagonista della “nazionalizzazione” della banca Sns, con tanto di congelamento delle obbligazioni emesse dall’istituto (tradotto: non restituiranno un euro a chi aveva sottoscritto quelle obbligazioni; peggio di quanto fatto da Argentina e Islanda, insomma).
I ministri della zona euro hanno affrontato la questione della ricapitalizzazione diretta dell’Esm, ma senza giungere a conclusioni, previste invece per giugno. Uno dei problemi da risolvere è come evitare che dare fondi direttamente alle banche in crisi, senza passare dagli Stati, prosciughi le casse del fondo che dovrebbe servire anche ad assistere gli Stati in diffcoltà.
E’ noto infatti che le voragini aperte nei conti delle banche dall’uso disinvolto di strumenti finanziari ad alto rischio (“derivati”) sono ora enormemente più grandi degli sbilanci statali.
Si studia quindi l’ipotesi di mettere ‘tetti’ a tutte le operazioni dell’Esm.
I Paesi del G7 – intanto – starebbero discutendo la diffusione di un comunicato per riaffermare l’impegno a tassi di cambio “determinati dal mercato” in risposta ai timori di “guerra delle valute”. Ma i “quantitative easing” statunitensi, o le “immissioni di liquidità” giapponesi modificano le “normali decisioni” del mercato. Com’è sempre stato.
Quando un’ideologia sbatte contro i fatti dovrebbe fare come Ratzinger. Ma l’è dura…
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