I dati dell’Istat,come sempre, vengono presentati con linguaggio “freddo” (ed è giusto…), ma con evidenze impietose.
Nel quarto trimestre del 2012 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2005, è diminuito dello 0,9% rispetto al trimestre precedente e del 2,7% nei confronti del quarto trimestre del 2011.E’ il sesto semestre consecutivo – un anno e mezzo – che si registra una diminuzione secca.
A fine 2012, insomma, si registra una perdita di nuova ricchezza prodotta che si avvicina pericolosamente al 3%, dopo un anno già negativo come il 2011 e cinque anni di crisi finanziaria globale.
Il calo congiunturale (ovvero trimestrale) del Pil è la sintesi di diminuzioni del valore aggiunto in tutti i comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi.
Nel confronto con il trimestre precedente (il terzo del 2012), il Pil è rimasto invariato negli Stati Uniti, mentre è diminuito dello 0,3% nel Regno Unito. In termini tendenziali (ovvero anno su anno, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), si è registrata una crescita dell’1,5% negli Stati Uniti e una variazione nulla nel Regno Unito. I nostri “maestri” di capitalismo selvaggio, al dunque, non hanno fatto granché meglio.
Nel 2012 il Pil, corretto per gli effetti di calendario, è diminuito nei calcoli dell’Istat del 2,2% rispetto all’anno precedente. Si segnala che il 2012 ha avuto una giornata lavorativa in più rispetto al 2011 (pure!).
La variazione acquisita per il 2013 è pari a -1,0%. Ovvero: se non rallentiamo ancora durante l’anno, abbiamo già perso un altro punto percentuale per quello che statisticamente viene definito “effetto trascinamento” dell’andamento negativo del periodo precedente su quello appena iniziato.
Il rapporto completo dell’Istat:
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