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Italia. Le fregature dell’austerity

Ci hanno martellato per mesi sul fatto che finché non si fosse ridotto lo “spread” ossia lo scarto fra i BTp e i Bund tedeschi non sarebbe tornata la fiducia nei confronti dell’Italia e le banche avrebbero fatto fatica a raccogliere il denaro e non avrebbero abbassato “l’altro spread” ossia quello che praticano su mutui e prestiti di nuova emissione a famiglie e imprese. Adesso si scopre che il primo dei due differenziali è sceso, ma l’altro – quello di cui dovrebbero beneficiare famiglie e imprese – ancora no. Le cifre pubblicate ieri dalla Bce (sui dati fornitigli dalla Banca d’Italia) sono relative al mese di aprile, un periodo nel quale lo scarto fra i titoli di Stato decennali di Italia e Germania era tornato più o meno stabilmente sotto la soglia dei 300 punti base . Ma nonostante il ribasso dello spread i nuovi mutui messi a disposizione dalle banche hanno sempre lo stesso tasso interesse per le famiglie italiane, anzi costano qualche centesimo in più in media rispetto al mese precedente: 3,95% contro il 3,90 per cento. Anche i finanziamenti alle imprese, ad aprile sono cresciuti di un decimo al 3,6 per cento invece di diluire proporzionalmente con la riduzione dello spread. Dunque mentre i cosiddetti “mercati finanziari” allentavano la pressione attorno al nostro paese, le banche italiane potevano rifornirsi senza particolari problemi sui mercati dei capitali, ma sul versante dei prestiti e dei loro tassi, gli interessi collettivi non ne hanno tratto alcun beneficio. In sostanza famiglie e aziende italiane continuano a pagare più delle altre europee l’accesso al credito. ”L’Italia si trova in una situazione di credit crunch molto evidente” ha commentato oggi a Milano il capo economista per l’Europa di Standard & Poor’s, Jean-Michel Six, secondo il quale anche quest’anno l’economia italiana ”sara’ in recessione: le nostre stime sono di un calo del Pil dell’1,5%”.
L’altro dato che grida vendetta è quello reso noto oggi dall’Inps, secondo cui tra il 2012 e il 2021 la riforma Fornero sulle pensioni dovrebbe produrre 80 miliardi di “risparmi”. E’ quanto si legge in un Rapporto dell’Inps secondo il quale “la spesa subisce una notevole contrazione che nel 2019 é di oltre un punto di Pil”. I risparmi ottenuti, secondo una proiezione, si azzerano però nel 2045. Nel grafico contenuto nel Rapporto con proiezioni fino al 2050 sulla spesa pensionistica, si evidenzia come la riforma Fornero sia quella che ha dato maggiori risparmi a breve con il picco negativo per la spesa nel 2019 (poco sopra l’8,6% del pil). Poi la spesa risale restando al di sotto di quella prevista con le riforme precedenti (e quindi ulteriori risparmi oltre gli 80 miliardi stimati nel decennio 2012-2021) fino al 2045 quando incrocia e supera le curve delle altre riforme per spesa in termini di percentuale sul Pil (poco sotto il 10,5%). In pratica in meno di dieci anni, sul lavoro, le pensioni (e le aspettative di vita) di milioni di lavoratori e lavoratici verranno sottratti ben 80 miliardi che verranno buttati nel secchio senza fondo del pagamento del debito pubblico e dei suoi interessi che – nell’84% – finiscono nelle casse di banche, assicurazioni e fondi investimento italiani e stranieri. Intanto, come noto, il potere d’acquisto delle pensioni è già oggi in caduta libera: in 15 anni è diminuito del 33%. Nello stesso arco temporale il valore di una pensione media è sceso del 5,1%. Loro li chiamano risparmi, noi lacrime e sangue, non quelle false della Fornero.


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