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Se le borse hanno paura dell’aumento dell’occupazione…

La notizia è stata così buona che nessuno se l’aspettava. L’economia statunitense è stata in grado di creare a giugno 195mila nuovi posti di lavoro, 30.000 in più delle previsioni degli analisti (165mila). Il tasso di disoccupazione, nonostante questo, è rimasto al 7,6%. Si tratta di un dato rilevante, perché la Federal Reserve ha legato il ritiro dello stimolo monetario (il cosiddetto quantitative easing) e il futuro rialzo dei tassi al ritorno di questo valore sotto la soglia del 6,5%.
Come hanno ragionato i mercati finanziari? Come i drogati nei sotterranei delle stazioni: se la Fed smette di mettere in circolazione 85 miliardi di dollari al mese (come sta facendo da ottobre), a noi verrà a mancare una dose eccezionale di “liquidità” che ci ha consentito di riprendere alla grande il giochino della speculazione finanziaria con i prodotti derivati et simiilia. Quindi hanno subito manifestato la loro preoccupazione cominciando a disinvestire o a cambiare “asset” in cui farlo. E quindi la borsa Usa – e a ruota (in senso anche tossicologico) tutte le altre – hanno cominciato a perdere quota, incerte se prendere la notizia come buona oppure pessima. In gergo, si chiama “fibrillazione”…
«Crediamo che il progressivo miglioramento dello stato di salute del mondo del lavoro nel paese a stelle e strisce incentiverà i membri del Board a ridurre il programma di acquisto di titoli governativi di 20-25 mld di dollari circa al mese nei vertici del Fomc di settembre (17/18) o al massimo nella riunione di ottobre (29/30)», ha spiegato al Sole24Ore tal Filippo Diodovich, della banca olandese Ig (quella della “zucca”), peraltro priva di un qualsiasi sportello fisico.
La preoccupazione che ha prodotto questo primo calo non è neppure riferita a un (improbabile) “azzeramento” delle “iniezioni”, ma anche alla semplice “riduzione” (60-65 mld di dollari circa al mese invece degli attuali 85).
Insomma: per rilanciare un po’ di economia “reale”, oltre che a “ripulire” le casseforti delle banche di investimento da un bel po’ di spazzatura “derivata”, il presidente della Fed Bernanke ha regalato soldi agli investitori. La cura ha avuto qualche effetto modesto sulla “crescita” del Pil e sulla diminuzione della disoccupazione, m olto più alto sui guadagni finanziari.
Ma ora l’effetto positivo sull’occupazione (soltanto statunitense, è bene ricordare) diventa un boomerang per i mercati finanziari (di tutto il mondo).
Viviamo in una bolla inconcepibile, quella del dollaro. E sembra che la sua pressione interna stia eccedendo le capacità di resistenza delle sue “pareti”.

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