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Vivere come dei bancomat

I dettagli della Legge di Stabilità rivelano sempre più il diavolo presente nelle misure varate dal governo Letta. Mentre si consuma la pagliacciata della riduzione del cuneo fiscale – da 14 euro in giù al mese per i lavoratori dipendenti – scavando meglio si rileva come a fare le spese delle politiche di austerità saranno ancora una volta i settori sociali che solo fino a pochi anni fa affollavano la categoria dei cosiddetti ceti medi e che dal 2008 vedono precipitare sistematicamente le loro condizioni di vita.  La loro è diventata una doppia condanna: da un lato ammortizzatore sociale de facto, dall’altro vero e proprio bancomat per espropri sicuri da riversare nelle casse dello Stato e da lì in quelle delle banche e dei fondi finanziari che possiedono l’84% dei titoli del debito pubblico italiano. In particolare le misure adottate vanno a colpire i pensionati e i lavoratori pubblici, in pratica quelli che in questi anni di crisi hanno funzionato da “ammortizzatore sociale” in circa 9 milioni di famiglie, assicurando un minimo di reddito “certo” dentro le incertezze che la crisi prima e la recessione determinata dalle misure di austerità poi, hanno gettato sull’intera società. Eccezion fatta, ovviamente, per quel 14% della popolazione che era ricca e lo è diventata ancora di più nonostante la crisi.

 

Il 44% dei pensionati italiani percepisce una pensione che non raggiunge i mille euro al mese. I pensionati a ricadere in questa categoria sono 7,4 milioni, mentre il numero complessivo di coloro che percepiscono una pensione è di 16,7 milioni. Sono invece circa 900 mila i pensionati, che percepiscono più di 3000 euro al mese. Mentre all’ incirca un quarto del totale – il 25,8%, – percepisce un assegno superiore ai 2000. Sulla base di questo dato, è interessante la simulazione effettuata dalla Spi Cgil sugli effetti della Legge di Stabilità per alcune fasce di pensionati. Se mediamente, nel triennio, la perdita di potere d’acquisto, sarà pari a 615 euro (tra il 2014 e il 2016), ovviamente più aumenta l’assegno e più peserà il mancato aggiornamento. Secondo l’organizzazione sindacale la perdita sarà notevole per circa 5 milioni di pensionati per effetto proprio dai nuovi meccanismi di indicizzazione previsti. L’unica cosa sicura è che lo Stato risparmierà complessivamente 4,1 miliardi: 580 milioni sul 2014, 1.380 milioni nel 2015 e ben 2.160 milioni nel 2016. Numeri troppo grandi per dei pensionati che riscuotono un assegno che va da 3 a 4 volte la soglia minima (tra i 1.500 e i 2mila euro).

 

Un salasso ancora più pesante è quello destinato a continuare sui lavoratori pubblici. Per il 2014, infatti, sia il mantenimento del blocco della contrattazione collettiva per i dipendenti della pubblica amministrazione, che lo stop al turnover promesso precedentemente alle nuove misure sui precari costeranno parecchio e andranno a pesare fortemente su lavoratori pubblici. Si tratta del quarto anno consecutivo in cui gli stipendi rimangono allo stesso livello di indicizzazione e, complessivamente, sono alcuni milioni i lavoratori coinvolti da questo ennesimo freno sull’aggiornamento delle buste paga degli pubblici. Per i lavoratori pubblici ogni anno l’effetto della Legge di Stabilità si tradurrebbe in 4-5 mila euro in meno a seguito dello stop decretato dall’esecutivo sull’incremento del salario. secondo i calcoli effettuati, sarebbero 3milioni i dipendenti coinvolti nell’operazione risparmio avviata dai precedenti governi e che prosegue anche con l’attuale, per ben 5 anni di congelamento dello stipendio, cui la nuova Legge di Stabilità aggiunge la perdita dell’indennità di vacanza contrattuale per il biennio 2013-2014 e il blocco della rivalutazione delle pensioni. tra il 2010 e il 2012 gli statali hanno perso l’1,6% del valore degli stipendi. E rispetto ai tassi di inflazione registrati nel corso del triennio, il loro potere di acquisto (fiaccato dalla corsa dei prezzi) ha conosciuto una erosione pari al 7,2%. Che in soldoni fa circa 2 mila e 500 euro a testa di salario reale sacrificato sull’altare del contenimento della spesa pubblica. A forza di tagli, le casse dello Stato realizzeranno alla fine del 2013 un risultato sconosciuto negli ultimi 34 anni: il livello più basso di spesa per le retribuzioni degli statali. Vale a dire 162 miliardi di euro: più o meno l’11% del Pil. Che confrontati con i 172 del 2010, vogliono dire un taglio di 10 miliardi di euro per le retribuzioni. Non solo ma occorre anche tenere conto delle enormi disparità retributive nel pubblico impiego tra dirigenti (più numerosi del dovuto e del necessario) e lavoratori (sempre più spesso sotto organico). I dati ‘parlano di almeno 265.000 posti di lavoro in meno negli ospedali, nelle scuole e in generale nel sistema dei servizi ai cittadini,

 

Colpire i redditi di pensionati e lavoratori pubblici, per alcuni, potrebbe sembrare consolatorio e addirittura un fenomeno di tipo redistributivo del reddito nazionale. Il problema ovviamente è malposto. Solo la malafede o l’introiezione della guerra tra poveri può far ritenere che siano queste le categorie privilegiate da colpire. E’ addirittura la Banca d’Italia a ricordarci che la distribuzione della ricchezza in Italia è molto squilibrata: il 10 per cento delle famiglie possiede il 45 per cento della ricchezza, mentre c’è un 50 per cento delle famiglie che in totale arriva a mettere insieme il 10 per cento della ricchezza totale

 

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