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Prodi, l’europeista “non stupido”

Che l’unità dell’Unione Europea non si più un tabù lo dimostrano molte cose. La realtà di tutti i giorni, in via di peggioramento senza speranze, è la principale.

Ma anche le autocritiche tardive, o le critiche a singoli aspetti particolarmente “stupidi” dell’attuale assetto istituzione della Ue (i suoi trattati e parametri), fanno intravedere che la tela unitaria mostra ormai strappi importanti.

L’intervista concessa da Romano Prodi al quotidiano di centrodestra La Nazione (distribuito soprattutto in Toscana ed Emila Romagna) segnala puntigliosamente queste smagliature dal punto di vista di uno che l’Unione Europea l’ha contrattata (male) e costruita. E’ quindi interessante non tanto per le “soluzioni” che propone, quanto per la crisi che segnala.

E quindi anche lui riparte dalla definizione che diede dei parametri di Maastricht: «Non è stupido che ci siano i parametri come punto di riferimento. È stupido che si lascino immutati 20 anni. Il 3% di deficit/Pil ha senso in certi momenti, in altri sarebbe giusto lo zero, in altri il 4 o il 5%. Un accordo presuppone una politica che lo gestisca e la politica non si fa con le tabelline». Sembra una banalità, ed in parte lo è. Ma se l’unione di 17 paesi nella stessa moneta (e di 28 in un complicato sistema di relazioni stabili) viene governata “con le tabelline” invece che con “la politica” c’è un problema di “costituzione” di questa strana creatura. Difficile insomma pensare che la creattura sia stata ben pensata ma pessimamente gestita. Certe rigidità “aritmetiche”, tipiche della gestione imposta dalla Germania merkeliana, sono possibili, plausibili o addirittura “benedette” solo se nella struttura dei trattati costitutivi sono state previste come “vincolanti”.

E’ ovvio anche per un negoziante di paese – figuriamoci per un governatore di banche centrali – che quando gli affari vanno bene bisogna metter qualcosa da parte (o ridurre i debiti), mentre quando vanno male bisogna “purtroppo” spendere qualcosa di più del posseduto per restare a galla e non chiudere. La “rigidità aritmetica”, semmai, è propria dello strozzino che ti dice “mi devi questa percentuale perché l’abbiamo stabilita tempo fa”, a prescindee – appunto – dall’alterarsi dei cicli economici.

Ma chi ha voluto, signor Prodi, costruire un’Unione Europea a misura di strozzino?

Romano Prodi critica aspramente anche l’austerity tedesca (l’avevano fatto nei giorni scorsi anche il Tesoro statunitense e il Fondo Monetario internazionale): «Dovrebbero battere i pugni sul tavolo insieme Francia, Italia e Spagna, ma non lo fanno perché ciascuno si illude di cavarsela da solo». Tradotto: l’Unione non c’è, forse nemmeno ci può essere. In ogni caso le scelte vengono fatte dal più forte (Berlino), mentre gli altri partner di media potenza si combattono tra loro per il posto migliore in seconda fila. E perché si comportano così? Non ci sono delle regole che permettano loro di agire in coalizione mettendo così in minoranza l’ingordo socio tedesco? E’ per questo risultato che bisogna accettare “sacrifici” che ci distruggono la vita e negano il futuro ai più giovani?

Sull’Italia Prodi osserva che in tre anni di austerità «il rapporto debito/Pil è sempre aumentato, é una politica sbagliata, ma se sforassimo i parametri i tassi andrebbero alle stelle. Bisogna escludere temporaneamente dal computo i 51 miliardi versati dall’Italia alla solidarietà europea e usare quelle risorse per investimenti pubblici straordinari. I conti non si mettono a posto senza crescita». Un artificio contabile, peraltro di grandi dimensioni, per “migliorare” parametri altrimenti devastanti. Tutto qui, quel che le viene in mente soltanto ora, mr. Prodi?

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