L’Italia, tra i paesi aderenti all’Eurozona, è quello con le disuguaglianze sociali e territoriali più profonde. Secondo il parametro del Pil pro-capite, il centro-nord dell’Italia con 31.124 euro per abitante, e’ vicino ai valori dei paesi piu’ ricchi del nucleo centrale dell’Eurozona come la Germania, dove il Pil pro-capite e’ di 31.703 euro. Al contrario, i livelli del Meridione appaiono piu’ vicini o addiritturi inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18.000 euro per abitanti e la Grecia registra 18.500 euro di Pil pro-capite). E’ quanto afferma il Censis nel suo ”Rapporto sulla situazione sociale del paese – 2013”, che sottolinea questo dato in un apposito capitole: ”Meridione: problema irrisolto”. In particolare colpisce il contributo decrescente alla creazione di ricchezza per il Paese, con l’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale passata dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012, frutto di una contrazione di 41 miliardi di euro, il 36% dei 113 miliardi persi dall’Italia a causa della crisi economica. Nel Meridione nel 2013 hanno chiuso i battenti 39.500 imprese rispetto al 2009, tra cui 9.900 scomparse nel settore manifatturiero. Pesantissima poi la situazione nel mercato del lavoro, con un tasso di occupazione del 42,1% nel secondo trimestre del 2013, a fronte del 55,7% nazionale, e un tasso di disoccupazione che sfiora il 20% (8 punti in piu’ rispetto alla media del Paese). Infine, a Sud il livello di ricchezza pro-capite pari al 57% di quella del Centro-Nord e un’alta concentrazione di famiglie materialmente povere (cioe’ con difficolta’ oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate ad affrontare tali spese per mancanza di denaro), pari al 26% di quelle residenti nel Mezzogiorno, a fronte di una media nazionale del 15,7%; in aggiunta, nel Mezzogiorno sono a rischio di poverta’ 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6% .
Il Censis ha presentato oggi suo annuale ”Rapporto sulla situazione sociale nel paese – 2013”, uno studio spesso alla ricerca dell’originalità sociologica ma sempre pieno di spunti interessanti.
Il rapporto sottolinea significativamente la ”scelta implicita e ambigua di ‘drammatizzare la crisi per gestire la crisi’ da parte della classe dirigente, che tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilita’ al sistema partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre”. Un aspetto che contribuisce a creare ”una condizione di incertezza senza prospettive di elite”. Eppure ”il crollo atteso da molti non c’e’ stato. Negli anni della crisi abbiamo avuto il dominio di un solo processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza”, rilevano i ricercatori del Censis. Secondo i quali, nel momento di maggiore difficolta’ ”abbiamo fatto tesoro di cio’ che restava nella cultura collettiva dei valori acquisiti nello sviluppo passato (lo ‘scheletro contadino’, l’imprenditorialita’ artigiana, l’internazionalizzazione su base mercantile), abbiamo fatto conto sulla capacita’ collettiva di riorientare i propri comportamenti (misura, sobrieta’, autocontrollo), abbiamo sviluppato la propensione a riposizionare gli interessi (nelle strategie aziendali come in quelle familiari)”.
La contropartita di questa capacita’ a resistere e’ – secondo le categorie del Censis – l’apparire sempre piu’ ”sciapi”, senza fermento, e ”malcontenti” a fronte di un ”inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali”. Per il Censis si e’, infatti, ”rotto il ‘grande lago della cetomedizzazione’, storico perno della agiatezza e della coesione sociale. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale”. Ed e’ in tale contesto che gli esperti individuano una crisi della societa’ civile la quale ”verosimilmente ha consumato il suo orgoglio in illusorie ambizioni di una superiorità morale e utilizzata come strumento politico”. Ma il Censis individua ”due grandi ambiti che consentirebbero l’apertura di nuovi spazi imprenditoriali e di nuove occasioni occupazionali: un processo di radicale revisione del welfare e l’economia digitale. Il filo rosso – aggiunge – che puo’ fare da nuovo motore dello sviluppo e’ la connettivita’ (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti coinvolti in questi processi”. Se, pero’, ”le istituzioni non possono fare connettivita’ perche’ sono autoreferenziali, avvitate su se stesse, e puo’ succedere che in una societa’ ‘sciapa’ l’unico fevore sia quello dell’antipolitica”, allora, secondo il Censis, ”la spinta alla connettivita’ sara’ in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva”. Questo perche’ ”L’Italia di oggi sara’ bella o brutta, a seconda degli occhiali con cui la si guarda, ma – secondo il Censis – resta una realta’ solida perche’ non e’ figlia di idee e di progetti, ma della collettiva partecipazione ai processi storici che l’hanno attraversata”.
Come al solito il rapporto del Censis si fa apprezzare per le analisi ma delude per le conclusioni. E’ uno dei problemi più seri della ricerca e delle elaborazioni troppo vincolate dagli input politici ed economici a cui in qualche modo devono rispondere.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa