“Partono ‘e bastimente pe’ terre assaje luntane…” Ma non piangono affatto. Sono torinesi ricchi, mica napoletani poveri!
Parliamo della Fiat marchionnizzata, cui “la famiglia” Agnelli-Elkann ha affidato il compito “epocale” di trasferire oltreoceano l’industria che più di ogni altra ha segnato lo sviluppo asimmetrico di questo paese.
Ormai è ufficiale, dopo che il Wall Street Journal ha confermato le “indiscrezioni” che – assai timidamente – uscivano dai piani bassi del Lingotto (quelli che sanno prima degli altri che per loro non c’è più futuro). Del resto, con l’acquisizione del 100% di Chrysler, non aveva più senso considerare “italiana” un’azienda che qui ormai ha soltanto gli uffici amministrativi, una parte della progettazione (il “core” del settore ha già preso la strada di Detroit) e qualche stabilimento condannatoa produzioni di nicchia (il “lusso”, a partire da Ferrari e Maserati) o del tutto residuale (Melfi, Cassino, Pomigliano).
La produzione di macchine agricole o industriali – Cbh – aveva già preso la via dell’Olanda, per una “banale” questione di normative fiscali più favorevoli (la “concorrenza”, nell’eurozona, si fa anche in questo modo; ma naturalmente guai a chiamarli “aiuti di stato”, questi sarebbero “normali meccanismi di mercato”).
Il consiglio di amministrazione di mercoledì 29 gennaio dovrà far chiarezza sui conti – dopo il salasso dilazionato per l’acquisto della quota Veba di Chrysler – e formalizzare la decisione di quotare la società su una piazza diversa da Milano. New York, ovviamente, perché il peso specifico della “parte americana” è troppo più alto del residuo italico. Ma la quotazione si porta dietro anche la “domiciliazione” delle sede legale, e anche questa non può più restare in Italia. Punto.
E quindi Marchionne proporrà al consiglio di amministrazione il listing (la quotazione) della nuova società a New York, fissando però la residenza fiscale in Gran Bretagna. Per continuare a negare di aver abbandnato il paese che ha ricoperto Fiat di aiuti di Stato – oltre ad aver sagomato il sistema nazionale del trasporto sulla base dei suoi desiderata – verrà lasciata a Milano la quotazione di ua parte del gruppo (Fabbrica Italia, probabilmente); ovvero una frazione molto minoritaria del tutto. È il “modello Cnh”, ovvero lo schema seguito per la produzione industrial: sede fiscale a Londra e sede legale in Olanda. La legge olandese consente infatti di avere azioni che valgono più delle altre – per gli azionisti di maggioranza – in sede di assemblea. Un “maggioritario” aziendale, non politico, ma che segue l’identico spirito “decisionista”.
Resta quindi da sottolineare come il governo italiano (Bersconi prima, Monti poi, Letta ora) e l’intera classe politica di questo paese costituiscano un’autentica bizzarria nel panorama mondiale. Sono infatti gli unici che non si curano affatto di cosa facciano “imprese strategiche” sul proprio territorio. Né quando si costituiscono, né quando si installano o rilevano aziende locali, né – tantomeno – quando se ne vanno. “Servi del capitale”, come si diceva una volta, suona quasi come un complimento, rispetto a tanta inesistenza…
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