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La Germania frena, le borse inchiodano

In un’economia globale, nessun paese può godere a lungo delle sfortune altrui. Prima o poi – e, data la velocità di circolazione della finanza e delle merci, più prima che poi – il rimbalzo negativo colpisce anche chi pensava di godersela a pancia all’aria.

È il caso della Germania, dove stamattibna l’indice Zew, che misura la fiducia degli investitori tedeschi, è precipitato a sorpresa a 55,7 punti (dai 61,7 di gennaio). Gli analisti si aspettavano un lievissimo calo (61,5), non questo botto che avvicina pericolosamente la soglia dei 50 punti, ovvero la porta della recessione.

Quali le ragioni del capitombolo? «Gli investitori sembrano riconoscere che, data la sua vocazione per l’export, i principali rischi per l’economia tedesca rimangono il rallentamento della crescita globale e gli shock che potrebbero arrivare dai Paesi Emergenti». Ovvero da quei paesi sui quali soprattutto Stati Uniti e Giappone avevano scaricato parte dei propri problemi aprendo la “guerra delle valute” a colpi di “stimoli alle economie nazionali”.

Le borse hanno immediatamente preso atto del cambio di vento, innestando la retromarcia. Non lo avevano invece fatto davanti ai dati di Eurostat, pochi giorni fa.

Lì si poteva vedere abbastanza chiaramente – per chi sa leggere le tabelle e interpretarle (basta sommare i tassi di variazione delle ultime quattro colonne e dividerli per quattro) – che nel 2013 l’insieme della Ue a 27 non è tecnicamente in recessione solo perchè cresce appena dello 0,1%. Mentre l’eurozona vi è ancora invischiata, visto che cala dello 0,4%. Tra i paesi maggiori, l’Italia è rimasta molto negativa, come previsto; la crescita tedesca è stata comunque inferiore a quella del 2012 (+0,7%), raggiungendo appena +0,4% nel 2013. Insomma, un trend in forte rallentamento che avrebbe dovuto allarmare “gli analisti” e far prevedere per l’indice Zew un calo maggiore di quello da loro stimato. La Francia, infine, va forse ancora peggio: può registrare un +0,3%, ma solo grazie allo slittamento nell’attuazione della convergenza al 3%, come del resto annunciato un anno fa (sul punto, non stranamente, i tedeschi non avevano sollevato alcuna obiezione, al contrario di quanto fanno ancora oggi con Grecia, Italia, ecc).

 

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