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Draghi stecca la prima sul “quantitative easing”

A forza di mediare, si finisce per non fare nulla di utile. E il piano fallisce.

E’ successo a Mario Draghi, presidente della Bce, che aveva suscitato grandi aspettative promettendo – in forma sempre molto obliqua, per nonindispettire l’azionista di maggioranza della banca centrale, ovvero i tedeschi di Bundesbank – di metter mano alle tipografie di Francoforte e “stampare denaro” per sostenere la crescita che non parte. Una misura “mirata”, che puntavatutto sul prestare soldi alle banche ma solo con garanzia (e controllo) che questi prestiti finissero poi alle imrpese manifatturiere e dei servizi, inchiodate daun “credit crunch” che in Europa ha ormai dimensioni stangolanti.

Aveva insomma fatto capire di vole agire come la Federal Reserve statunitense, anche se sette anni dopo. Il problema della “mediazione”, però, è diventato palese ieri pomeriggio, quando dei promessi 1.000 miliardi di prestiti agevolati del piano chiamato Tltro (targeted long term refinancing operations), e dei 400 già preventivati per la prima ondata, ne sono stati messi a disposizione “solo” 82,6 (23 quelli chiesti da banche italiane). Grande delusione, qualche preoccupazione, sguardi scoraggiati nelle borse continentali e soprattutto nelle Confindustrie dell’Unione Europea. La prossima asta si terrà l’11 dicembre, ma i soggetti interessanti dovranno farne richiesta entro il 20 novembre.Troppo lontano per avere effetto – eventualmente – nell’economia reale prime si otto-nove mesi.

Sulle cause contingenti, gli analisti spiegano che può aver pesato anche il fatto che le banche private europee sono prmai vicinissime all’esame sulla satbilità dei propri bilanci, condotti proprio dalla Bce, che ha assunto i comiti della vigilanza bancaria prima appannaggio delle banche centrali nazionali. Ma sembra chiaro che il “mestiere delle banche” non è più – e datempo – quello di prestare soldi a chi fa manifattura. Al massimo, si impegnano nell’acquisto di titoli di Stato o nel carry trade sulle monete a tasso zero.

Niente liquidi per nuovi investimenti, insomma. E senza investimenti – spiegava il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco,  qualche giorno fa – non ci può essere alcuna espansione dell’economia, neanche se il salrio scende a zero. Sembra dunque innescato un meccanismo di caduta a vite, per cui le imprese non investono in attesa di vedere asprirsi di nuovo i rubineti del credito e l’espansione della domanda di beni; le banche non prestano perché sono piene di crediti inesigibili intestati alle stesse imprese, e attendono di vedere se le “riforme strutturali” – in campo in tutta l’Unione Europea, non solo in Italia, Grecia o Portogallo – avranno effetti reali; i lavoratori non possono spendere per i cnsumi perché devono fare i conti con salari fermi o la perdita del postio di lavoro… E così via, in uno stallo generale che si chiama recessione e deflazione, contemporaneamente.

In questo quadro, spiegano altri analisti, l’azione della Bce è solo “astrattamente accomodante”, perché ha fin qui agito sui tassi di interesse, senza avventurarsi – come la Fed americana – nell’acquisto di titoli finanziari di dubbio valore che appesantiscono l’operatività delle banche private. Se li acquistasse, insomma, darebbe “denaro vero” invece che soltanto “condizioni migliori di finanziamento”. In altri termini, come confermano alcuni dati, la “liquidità” all’interno dell’Unione Europea si è contratta negli ultimi anni anche a dispetto di decisioni della Bce che – a rigor di manuale di macroeconomia – avrebbero dovuto espanderla.

Grande responsabilità per questa situazione viene attribuita alle banche tedesche, verso cui si è diretta – dopo l’esplosione della crisi e il precipitare di paesi come la Grecia – un’ondata di liquidità in fuga, alla ricerca di un “porto sicuro” (i Bund tedeschi). Così, mentre la Germani si sentiva complessivamente a posto, e senza necessità di dover ricorrere ai finanziamenti della Bce (anzi…), decina di banche “basate” negli altri paesi Ue avevano il problema esattamente opposto. Ma il “rigore” di Berlino congelava la situazione.

In queste condizioni, e con l’attuale statuto (che le affida soltanto il compito di tener bassa l’inflazione), l’azione della Bce non può avere quasi nessun effetto sull’economia reale. Bisognerebbe cambiarlo, ma chi glielo dice a Merkel e Weidmann?

 

 

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