Chi è che decide quali politiche economiche vanno “applicate” nei paesi dell’Unione Europea? Gli imbecilli chiudono gli occhi davanti a questa domanda e parlano di “politica” come se fossimo ancora nel vecchio mondo, quando con un po’ di democristiana “consociazione” si poteva addentare qualche briciola che cadeva dal tavolo. Quando, insomma, si poteva pensare che “andare al governo”, magari all’interno di una coalizione molto più grande, poteva dare l’accesso a una “stanza dei bottoni” da cui far precipitare alcuni benefici (o una “riduzione del danno”) per le figure sociali da cui si traevano i consensi.
Non è più così. Noi lo scriviamo e diciamo da tempo, ma c’è ancora chi fa finta di non capire.
Proponiamo allora qui un articolo da IlSole24Ore, quotidiano di Confindustria, che per una volta dice chiarissimamente come stanno le cose. Naturalmente ciò è possibile perché nel pezzo non si parla dell’Italia, ma della derelitta Grecia. Ma siamo nello stesso corpo collettivo, l’Unione Europea, cui abbiamo trasferito totalmente le competenze (o la “sovranità” che dir si voglia) sia per quanto riguarda le politiche di bilancio (le “legge di stabilità”) che per le famosissime “riforme strautturali”. Sì, proprio quelle che il governo Renzi dice di voler fare rapidamente “per il bene dell’Italia, e non perché qualcuno ce le chiede”.
Ci dice Vittorio Da Rold, preciso giornalista economico de Il Sole, che Atene sta rischiando di tornare nel buco nero dell’insolvenza. Ma come? Veniva indicata come il paese che – nella sofferenza assoluta della sua popolazione – aveva accettato tutte le condizioni poste dalla Troika, quello che dopo aver perso in quattro anni oltre il 25% della propria capacità di generare ricchezza (Pil), proprio nell’ultimo trimestre aveva finalmente ripreso a “crescere” (appena lo 0,7%, ma comunque la miglior prestazioe europea…). Perché la Grecia?
Perché Atene non ha affatto finito di pagare i suoi debiti, nonostante l’haircut (il “taglio di capelli”) da 100 miliardi accettato dai creditori e nonostante la dismissione-svendita pressoché totale del proprio potenziale produttivo, la distruzione altrettanto totale del sistema di welfare, una “riforma del mercato del lavoro” che fa da format preciso per il jobs act renziano. E ma potrà finire di pagare, procedendo sulla strada seguita fin qui.
La Troika (Fmi, Ue e Bce) chiede 19 “misure di austerità” da approvare entro fine anno. Un ingenuo si potrebbe chiedere cosa c’entrano le “misure di austerità” col pagamento dei debiti. Banalmente, se fai certe “riforme” automaticamente metti a disposizione degli investitori stranieri (banche, multinazionali, ecc) la possibilità di fare grandi affari nel tuo paese. A scapito della popolazione e del tuo potenziale economico, certo, ma a vantaggio dei “creditori”.
E cosa potranno mai chiedere con tanta ultimatività i signori della Troika? L’elenco è da paura:
“firma di un accordo omnibus per le riforme riguardanti il sistema previdenziale per portare a 65 anni l’età pensionabile effettiva (oggi solo il 21% dei greci va in pensione a quell’età) e i licenziamenti nel settore pubblico e privato che il governo deve impegnarsi ad attuare alla fine del Memorandum.
Inoltre la troika vuole abolire le esenzioni che ancora esistono per alcune categorie professionali in campo previdenziale, che permettono di andare in pensione in anticipo. Vuole rendere più semplice l’acquisizione per le banche della prima casa se il proprietario non paga il mutuo da parecchi mesi e i sequestri per i debitori morosi, di aumentare l’Iva dopo averla appena ridotta e rendere più flessibili i licenziamenti nel settore privato e pubblico.La troika insiste anche per una riforma complessiva del sistema fiscale. I creditori, inoltre, vogliono, per riprendere le trattative, ridurre le spese pubbliche con ulteriori tagli per recuperare un «buco» nei conti da 2,6 miliardi di euro previsto nel bilancio del 2015”.
Vi suona familiare? Certo, sono le stesse misure che da diversi anni vengono decise “autonomamente” anche in Italia, con maggiore velocità da quando i governi in carica non sono più eletti (da Mario Monti in poi) e quindi non devono più preoccuparsi delle ricadute elettorali della propria impopolarità. La Grecia aveva già approvato leggi draconiane sugli stessi teni, naturalmente. Ora viene chiesto un giro di vite ulteriore, altrimenti la Troika non fornirà le garanzie necessarie (“linee di credito precauzionali”) affinché Atene possa ripresentarsi con qualche credibilità sul mercato dei capitali per chiedere nuovi prestiti. Un circuito infernale (prestiti, ossia debiti – “riforme” e tagli – nuovi prestiti e così via) che porterebbe qualsiasi paese alla morte civile in pochi anni.
Ma il punto di definitiva rottura sociale è in Grecia assai più vicino che in Italia, perché la sofferenza sociale ha in questo momento rappresentanze elettoralmente “forti” sia a sinistra (Syriza e Kke) che nell’estrema destra (Alba Dorata). E questo rende la risposta positiva alle imposizioni dlela Troka molto più complicata. Persino per un governo criminale come quello di Antonis Samaras.
Braccio di ferro tra Grecia e troika su 19 misure d’austerità, così Atene rischia di tornare al punto di partenza
di Vittorio Da Rold
La Grecia rischia di tornare alla casella di partenza nel grande risiko della crisi dei debiti sovrani dopo aver passato i quattro anni più duri della sua storia moderna. Il ministro delle Finanze greco, Gikas Hardouvelis, ha gettato acqua sul fuoco rassicurando che alla fine l’accordo si troverà, ma intanto continua il braccio di ferro tra Atene e la troika (Fmi, Ue e Bce) che chiede ben 19 misure di austerità da approvare a tambur battente entro fine anno.
I rappresentanti dei creditori chiedono la firma di un accordo omnibus per le riforme riguardanti il sistema previdenziale per portare a 65 anni l’età pensionabile effettiva (oggi solo il 21% dei greci va in pensione a quell’età) e i licenziamenti nel settore pubblico e privato che il governo deve impegnarsi ad attuare alla fine del Memorandum.
Inoltre la troika vuole abolire le esenzioni che ancora esistono per alcune categorie professionali in campo previdenziale, che permettono di andare in pensione in anticipo. Vuole rendere più semplice l’acquisizione per le banche della prima casa se il proprietario non paga il mutuo da parecchi mesi e i sequestri per i debitori morosi, di aumentare l’Iva dopo averla appena ridotta e rendere più flessibili i licenziamenti nel settore privato e pubblico.
La troika insiste anche per una riforma complessiva del sistema fiscale. I creditori, inoltre, vogliono, per riprendere le trattative, ridurre le spese pubbliche con ulteriori tagli per recuperare un «buco» nei conti da 2,6 miliardi di euro previsto nel bilancio del 2015.
Tutti temi socialmente molto caldi per il governo Samaras, deciso a chiudere prima possibile i negoziati con la troika per aprire il nuovo capitolo che riguarda la linea di sostegno precauzionale, ma senza l’adozione di tutte le 19 misure di austerità che la troika chiede.
Uno stallo tra governo greco e i rappresentanti dei creditori internazionali pericoloso, mentre si sta ormai esaurendo il tempo massimo per raggiungere un accordo prima della riunione dell’Eurogruppo prevista per l’otto dicembre a Bruxelles, vertice dove si dovrà decidere sulla linea di sostegno precauzionale alla Grecia dopo aver messo sul piatto 240 miliardi e un haircut di 100 miliardi di euro, il maggiore della storia moderna.
A fine anno scade il piano di aiuti di competenza dell’eurozona, dove l’Italia è il terzo creditore dopo Francia e Germania, mentre quello dell’Fmi finirà nel secondo trimestre del 2016 per una cifra residua di 12,5 miliardi di euro.
Secondo fonti di stampa la Commissione Juncker avrebbe inviato al governo greco un “ultimatum” invitandolo a definire tutte le questioni ancora sul tappeto per rendere possibile il ritorno della troika ad Atene in tempo utile e fornire la linea di credito precauzionale.
Fonti greche, raccolte ad Atene, fanno notare che i rappresentanti dei creditori internazionali questa volta stanno «tirando troppo la corda» e rischiano di far saltare in aria tutto quanto è stato fatto sinora.
In questo clima di tensione, i leader dei due partiti che formano il governo – il premier Antonis Samaras di Nea Dimokratia (centro-destra) e il vice premier Evanghelos Venizelos del Pasok (socialista) – stanno cercando di convincere i partner europei che il passaggio parlamentare di nuove misure di austerità rischierebbe di far precipitare il paese nel caos.
Lo stallo nei negoziati tra governo e troika arriva proprio mentre Atene ha messo a segno dei risultati economici sorprendenti che hanno visto la Grecia passare da ultima della classe al top. Atene ha visto crescere il Pil dello 0,7% nel terzo trimestre, il migliore dell’eurozona.
Dati che significano l’uscita dalla recessione più lunga della sua storia moderna, durata quattro anni. Quest’anno il Pil è previsto crescere dalla Ue dello 0,6% e del 2,9% nel 2015.
Per questo Samaras intende uscire dal piano di aiuti europei ma non dall’ombrello della linea di credito, puntando nel 2015 raccogliere circa 9 miliardi di euro direttamente sul mercato dei capitali.
L’exit strategy dovrebbe essere gestita in modo prudenziale accompagnandola con il supporto di linee di credito precauzionali, da attivare nel caso la Grecia avesse bisogno di maggiori fondi. Il partito di sinistra radicale Syriza di Alexis Tsipras, che nei sondaggi è al primo posto, spera nella rottura delle trattative e nelle elezioni anticipate. Ecco perché Samaras ha fretta di chiudere la partita con la troika senza ulteriori “danni collaterali”.
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