Nella tana dei falchi dell’austerità – la Finlandia che ha tirato fuori un folle come Jirky Katainen e ne comincia ora a pagare le scelte fatte come primo ministro – Mario Draghi ha scosso ancor auna volta la testa davanti al mondo in cui l’Unione Europea intera sta affrontando la crisi.
Il punto “sistemico” da cui il presidente della Bce è obbligato a partire sono naturalmente le prospettive di cescita economica del Vecchio continente. Pessime, ma soprattutto «circondate da svariati rischi di peggioramento». Il quadro è così fosco da non permettere più previsioni attendibili, «anche le previsioni più recenti di istituzioni pubbliche e private sono state riviste al ribasso». Tradotto: nessuno ci capisce più niente e tutti sparano cifre un po’ a casaccio. Non solo Renzi e Juncker, insomma, anche se questi due sono davvero esagerati…
Ma una parola di speanza va sempre lasciata – da parte di un’istituzione come la Bce – altrimenti si spargerebbe il panico: «manteniamo le nostre aspettative di una moderata ripresa nei prossimi anni, di riflesso alle misure di politica monetaria, ai miglioramenti in atto delle condizioni finanziarie e ai progressi fatti sul fronte delle riforme strutturali e del consolidamento fiscale». Se si lega questa affermazione con la precedente, si dovrebbe leggere in quest’altro modo: non abbiamo idea di come possa funzionare davvero, perché previsioni non se ne possono più fare, ma dai sacri testi dell’economia liberista apprendiamo che quanto stiamo indicando a tutti i paesi dell’Unione potrebbe avere un esisto positivo…
Non basta: anche se solo eventuale, «la ripresa sarà probabilmente frenata dall’alta disoccupazione, dalla considerevole capacità non utilizzata e dai necessari aggiustamenti di bilancio». La traduzione è necessaria solo per i non addetti ai lavori: a) la disoccupazione è un bene per le singole imprese, che possono pagare così stipendi più bassi ricattando la forza lavoro, ma è un disastro per il sistema delle imprese, in quanto riduce la domanda solvibile e quindi anche il mercato di sbocco; b) siamo in sovrapproduzione, gli impianti aperti potrebbero già ora produrre molto più di quanto non fanno, ergo non si possono fare investimenti remunerativi neanche volendo; c) gli “aggiustamenti di bilancio” che noi della Troika – insieme alla Ue e al Fmi – stiano prescrivendo a tutti sono in effetti recessivi; insomma, non favoriscono la crescita, ma la impediscono.
Ciò nonostante, avanti così.
Con una prima avvertenza; la politica monetaria della Bce, accomodante come mai prima nella sua storia, da sola non può bastare a “rilanciare” l’economia reale. Il perché lo spiega perfettamente Walter Riolfi su IlSole24Ore di oggi: il quantitative easing della Bce – le “iniezioni di liquidità” fatte comprando titoli spazzatura privati o titoli di stato dei paesi in difficoltà – fa bene solo ai mercati finanziari e al ministero del Tesoro tedesco. La liquidità che la Bce emette, infatti, va a nutrire la speculazione finanziaria e non si trasmette affatto a un’economia che soffre già ora di “sovracapacità produttiva”. Certamente i paesi i cui titoli verranno acquistati dalla Bce vedranno ridursi lo spread e quindi anche il costo degli interessi sul debito pubblico; ma il beneficio maggiore continuerebbe ad andare alla Germania, che da molti anni, ormai, rifinanzia il proprio debito a tasso zero o inferiore. Per esempio, l’ultima asta di Bund decennali ha messo in circolo titoli a lunga scadenza che rendono appena lo 0,74%. Con l’inflazione tedesca allo 0,8, insomma, il Tesoro di Berlino non solo non pagherà interessi effettivi su questo “prestito”, ma ci guadagnerà addirittura qualcosa. Perché, dunque, dovrebbe cambiare linea abbandonando l’austerità (per gli altri)?
Il disperato Draghi, tutto questo, lo sa meglio di noi, naturalmente. Le misure che ha preso finora possono, sì, far aumentare leggermente l’inflazione, riportandola intorno al livello considerato fisiologico (il 2%), ma non mettono in moto né crescita del Pil, né – tantomeno – occupazione. Perché la politica monetaria non può risolvere il problema della “sovracapacità produttiva”…
Quindi ha spiegato che i tecnici della Bce sono al lavoro per immaginare nuove misure (di politica monetaria), ma senza grandi speranze di efficacia.
Il suo “consiglio” all’Unione Europea è sempre lo stesso: “condividere ulteriormente sovranità” sulle politiche economiche nazionali, far fare un “salto in avanti dalle regole comuni verso istituzioni comuni”. Il che può significare molte cose differenti, naturalmente, dalla “mutualizzazione del debito pubblico” (tra paesi poveri e paesi ricchi) alla comune politica fiscale, da una sola politica industriale sovranazionale (possibilmente “attiva” e non solo in attesa che “i provati” si degnino di investire; cosa impossibile, come detto, fin quando esiste “sovracapacità”). Ecc.
Di più – lui e la Bce – non possono fare. E, come dimostra il Giappone di Shinzo Abe, non è neppure detto che funzioni.
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