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Il Ttip è solo un guscio vuoto? C’è da augurarselo

Venerdi prossimo il vertice del Consiglio Europeo dovrebbe discutere anche del Ttip, il famigerato Transatlantic Trade and Investment Partnership. Ma sulla firma del Trattato su commercio e investimenti tra Unione Europea e Stati Uniti pesano – fortunatamente – molte incognite che potrebbero alla fine mandarlo in archivio come accadde per l’Ami (accordo multilaterale sugli investimenti) alcuni anni fa.

Secondo alcune fonti i governi europei avrebbero fissato un nuovo traguardo temporale per la firma del Ttip a dicembre 2015. In realtà i negoziati tra Usa e Ue sul Ttip – avviati nel luglio 2013 da Obama e da Barroso – rodovuto chiudersi entro dicembre del 2014. Ma qualcosa continua a non quadrare ed a far rinviare la firma. Le otto tornate negoziali fino ad ora non sono approdate a nulla, c’è stata solo una intesa sugli standard nell’industria automobilistica. Permangono invece divergenze profonde ad esempio sui servizi finanziari che gli Usa intendono lasciare fuori dal trattato. Non è un dettaglio visto che il 70% degli investimenti statunitensi in Europa sono proprio i servizi finanziari.

Il problema principale per la firma del Ttip non sono tanto le barriere tariffarie tra Usa e Ue (piuttosto contenute), quanto le barriere “non tariffarie” su settori come automobile, chimico-farmaceutico, telecomunicazioni e servizi finanziari. Molte di queste “barriere” altro non sono che gli standard legali ad esempio sui diritti di proprietà intellettuale, sull’approvazione dei prodotti che possono avere effetti sulla salute (vedi Ogm), sulla protezione dei dati personali (sui quali pesano i veleni del Datagate, lo spionaggio Usa sugli europei, inclusi capi di stato e uomini d’affari).

Ci sono poi divergenze sulle barriere protezioniste nella possibilità di accedere alle commesse pubbliche, barriere più forti negli Usa che in Europa. Infatti mentre la Ue è “aperta” a imprese straniere per l’85% e gli Usa “aprono” a imprese straniere solo il 32% delle loro commesse pubbliche. Emiliano Brancaccio, nel suo intervento al convegno di Parma, sottolineava come negli ultimi anni siano state introdotte almeno 600 misure di carattere protezionista, soprattutto negli Usa e nella Ue.

Altre divergenze sono poi relative al settore energetico e alle telecomunicazioni ma in particolare, come abbiamo visto, ai servizi finanziari, che rappresentano ben il 70% degli investimenti statunitensi nell’Unione Europea e che gli Usa non intendono includere nei temi da negoziare nel Ttip.

Un rapporto dell’Istituto Affari Interazionali riporta che gli investimenti europei negli Usa sono pari a 123 miliardi di euro e quelli statunitensi in Europa sono 150 miliardi. Lo scambio di servizi tra le due aree è di circa 282 miliardi di euro, mentre gli Usa acquistano beni dalla Ue per 264 mld di euro e vendono beni alla Ue per 192 miliardi di euro. Secondo alcune prime proiezioni, se il Ttip venisse approvato l’export europeo verso gli Usa aumenterebbe del 2% mentre quello Usa verso la Ue del 6%, in pratica il triplo, il che è una asimmetria evidente. Infine c’è una questione pesante come un macigno: con quale rapporto monetario avverrebbero gli scambi nell’ambito del Ttip? Euro o dollaro e se entrambi con quale rapporto di cambio? L’ideale sarebbe di “1 a 1” ma questo implica e complica moltissime cose in entrambi i poli.

Insomma, come scrive Giovanni Del Re, buon conoscitore di quanto avviene nei corridoi di Bruxelles, “più passa il tempo, più appare improbabile che  il controverso Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) vada in porto”. Se le dichiarazioni ufficiali continuano ad affermare di voler procedere alla fima del trattato, i fatti concreti dicono cose diverse . A Bruxelles ufficialmente nessuno vuole ammetterlo – tanto meno la commissaria al Commercio Cecilia Malmström – sottolinea Del Re, ma dietro le quinte ormai sono tanti i negoziatori coinvolti a vedere il Ttip praticamente spacciato. “Non si farà mai, non siamo avanzati sulla sostanza neppure di un millimetro”, confessa un funzionario della Commissione Europea.

Da un lato contro la firma del Ttip gioca il fattore tempo. “Il più grande nemico del Ttip – e dell’Ue – è il tempo. Le negoziazioni con gli Stati Uniti hanno faticato a partire, anche a causa della forte opposizione che il trattato suscita in alcuni settori in Europa” scrive Affari Internazionali – “Se non sarà possibile raggiungere un accordo entro le prossime elezioni presidenziali Usa del 2016 il Ttip rischia di diventare un guscio vuoto”.

Dall’altro pesa anche la crescente opposizione popolare alla firma di un trattato da cui i lavoratori e gli utenti dei servizi dell’Unione Europea hanno tutto da perdere. Già 1,3 milioni di europei hanno firmato un’iniziativa popolare per fermare i negoziati del Ttip, e una coalizione di 350 organizzazioni, sindacati, reti sociali si sono coalizzate nll’iniziativa «Stop Ttip». La cancelliera tedesca Angela Merkel o Renzi anche di recente hanno ribadito il loro sostegno alla firma del Ttip. Ma, ad esempio, secondo un sondaggio effettuato a gennaio dal Pew Research Center, solo il 39% dei tedeschi si dice favorevole all’accordo. In Italia invece i favorevoli sono al 58%, ma una precedente ricerca del Pew effettuata nel 2014 rivela che, disaggregando i dati, il 59% degli italiani teme una perdita di posti di lavoro, il 52% un calo dei salari.

Ancora più forte è l’opposizione popolare (e non solo) agli Isds, cioè il meccanismo di risoluzione delle controversie tra stati e multinazionali ,che affiderebbe i contenziosi non ai tribunali ma ad un soggetto arbitrale terzo annullando la sovranità delle legislazioni nazionali. Washington è irremovibile sul fatto che le clausole arbitrali debbano essere incluse nel trattato, mentre il Parlamento europeo non sembra intenzionato ad approvarli. Una recente consultazione pubblica realizzata dalla Commissione Europea, conclusasi nel luglio scorso, ha raccolto 150mila risposte, di cui il 97% provenienti da singoli cittadini Il responso è  stato chiaro: “Le risposte riflettono un’ampia opposizione agli Isds nel Ttip. C’è anche una vasta maggioranza di risposte che si oppongono al Ttip in generale”, scrive la Commissione, senza però quantificare esattamente” racconta ancora Del Re.

In sostanza possiamo affermare che le possibilità che il Ttip venga firmato o invece archiviato sono equivalenti. Sullo sfondo pesa indubbiamente l’accresciuta competizione tra Unione Europea e Stati Uniti, di cui la recentissima partecipazione di alcuni paesi europei alla Banca per gli Investimenti Infrastrutturali Asiatica (cinese di fatto) e la rabbiosa reazione statunitense, è l’ulteriore dimostrazione. Una competizione interimperialista si potrebbe affermare a ragion veduta, come ampiamente documentato dal recente convegno di Bologna sul “Piano inclinato degli imperialismi”.

Ma dal dibattito e dalla mobilitazione in corso sulla questione del Ttip, questi “dettagli” così rilevanti sembrano mancare completamente, esattamente come accadde nei primi anni di questo secolo nel movimento altermondialista, dove pochi alberi sono stati scambiati per foresta. Attac e Le Monde Diplomatique sono persone serie e producono anche cose interessanti, ma continuano ad avere una visione molto eurocentrista e molto limitata sulle contraddizioni della realtà internazionale, la quale – purtroppo e per fortuna – appare molto più grave e articolata di quanto ci metta a disposizione la visione degli “altermondialisti”.

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