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Expo colpisce ancora

Expo non finirà di propinarci slogan propagandistici nemmeno dopo la sua fine. Prima ha millantato l’obiettivo di “nutrire il mondo”, ora, nel momento in cui si tratta di riqualificare l’area che ha ospitato l’evento (esorcizzando i più che fondati timori di nuove, colossali operazioni speculative) il governo presenta un piano che promette addirittura di regalarci “una vita più lunga e di qualità”. Così esordisce un lunghissimo (due pagine piene) articolo di Enrico Marro sul Corriere di domenica scorsa.

Come potrà essere trasformato in fatti un annuncio tanto ambizioso? Costruendo un polo internazionale di ricerca e tecnologia applicate che arruolerà 1600 ricercatori italiani e stranieri con il prestigioso contributo dell’Istituto italiano di tecnologia diretto da Roberto Cingolani (esperto in nanotecnologie di fama mondiale), di altri centri di eccellenza e di varie università (fra cui la Statale e il Politecnico di Milano). Fra i campi interessati la genomica (per combattere il cancro e altre malattie letali); lo sviluppo di nuovi materiali da utilizzare nell’alimentazione, nello smaltimento dei rifiuti e nella tutela ambientale; l’uso dei Big Data per sviluppare nuovi modelli per le analisi socioeconomiche e molto altro. Come contenere l’entusiasmo di fronte a tanto ben di dio?

Eppure basta leggere fra le righe per cogliere alcuni motivi di perplessità. Fra i partner privati del progetto troviamo infatti elencate, fra le altre, le seguenti imprese multinazionali: Ferrero, Barilla e Nestlé per il settore agroalimentare, IBM, Google e St Microelectronics per le Information Technologies, Bayer, Dupont e l’industria farmaceutica italiana per il settore chimico farmaceutico. Ora non è necessario essere trinariciuti antagonisti per dubitare del fatto che la prima preoccupazione di questi nobili signori sia donarci “una vita più lunga e di qualità” piuttosto che gonfiare il portafogli. Non per essere pregiudizialmente contrari alla ricerca applicata e ideologicamente a favore di quella pura, ma questo progetto puzza di integrazione accelerata fra pubblico e privato. Un obiettivo che i governi neoliberisti italiani perseguono da decenni, incontrando resistenze “corporative” che in questo modo potrebbero essere bypassate, onde poter finalmente veleggiare verso il modello americano (un Paese che, dati statistici alla mano, non ha per nulla regalato ai suoi cittadini una vita lunga e felice, e dove la privatizzazione della ricerca universitaria ha piuttosto prodotto montagne di brevetti e fatto levitare i prezzi di prodotti e servizi, sia nel campo del software che in quello farmaceutico).

Altro campanello di allarme: il polo scientifico in questione occuperebbe 70mila metri quadrati sul milione e più dell’Expo “lasciando ampio spazio, cito letteralmente dall’articolo, ai progetti immobiliari che verranno sviluppati da Arexpo, la società della Regione Lombardia e del Comune di Milano”. Qui la puzza di dilaganti interessi privati si fa ammorbante, prospettando uno scenario di gentrificazione di un’immensa area metropolitana (come se non bastassero le operazioni già realizzate all’Isola Garibaldi e nell’area della vecchia Fiera Campionaria) con l’inevitabile contorno di speculazioni immobiliari. Né il coinvolgimento delle amministrazioni locali è una garanzia credibile contro un simile esito, considerate le varie tangentopoli e i vari casi di malaffare legati al sistema sanitario regionale (a proposito: un altro obiettivo poco rassicurante del progetto consistere nel promettere “la riduzione del servizio sanitario nazionale di almeno il 20% in dieci anni”…). Insomma: dopo il disastro di Mafia Capitale, l’affaire Marino e le campagne mediatiche sugli incorreggibili vizi capitolini, si cerca di raddrizzare lo stellone italico facendo risplendere le virtù del modello Milano. Il guaio è che quel modello potrebbe essere persino peggio. (la foto è di Claudio Gobbi)

* Ross@, Milano

(Articolo pubblicato anche su Ross.red e Micromega online blogautore)

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