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Il “piano” di Schaeuble: devastare i sistemi bancari del resto d’Europa

L’Unione Europea è un dispositivo “comunitario” costrittivo senza alcuna regola uguale per tutti. Più sei piccolo e/o debole, meno potere contrattuale ti spetta. Peggio ancora, è una fisiologia che non funziona e che produce anticorpi potenti.

È noto che non esiste un metodo di risoluzione dei problemi e dei contrasti. O meglio, un metodo si è affermato nel tempo, nella prassi. Consiste nell’arrivare a un punto di crisi quasi devastante e a quel punto “trovare una quadra” tra interessi anche nazionali divergenti, sotto la spinta dei capitali multinazionali più forti che devono necessariamente imporsi attraverso soggettività politiche dominanti nell’Unione. Il ruolo della Germania si è rafforzato in questo modo, sul piano politico-istituzionale, di pari passo con la ristrutturazione di molte filiere produttive intorno alle imprese o alla finanza “based in Germany”.

In filosofia politica questo metodo ha avuto – non per caso – un teorico naturalmente tedesco e decisamente reazionario. Il Carl Schmitt di “sovrano è chi decide nello stato di eccezione”. Nel momento di massima crisi, in altri termini, la soluzione è imposta (orientata, suggerita, preparata) dal più forte. Non dal più giusto, più “corretto”, più “rispettoso delle regole”.

La contraddizione originaria della costruzione europea è del resto quella tra una tensione politica unificante e una realtà fatta di notevoli differenze sul piano economico, sociale, istituzionale. Il “trasferimento di sovranità” verso le istituzioni sovranazionali è dunque avvenuto a pezzi, partendo dalla creazione prima di un mercato comune, poi di una moneta unica (ma non condivisa da tutti i paesi membri), sotto la vigilanza di istituzioni che solo formalmente possono esser definiti “comunitarie”, visto che i pesi nazionali relativi sono lì dentro quasi sempre predominanti. Si può insomma vedere una Unione Europea durissima, ai limiti delle ferocia, nei confronti della piccola Grecia; ma difficilmente si andrà oltre qualche mugugno nei confronti delle violazioni tedesche o francesi.

Il passaggio sull’”unione bancaria” sta oggi dominando l’agenda europea più delle minacce di guerra, e mostra che il cosiddetto “terzo pilastro” – con molta probabilità – non potrà più esser costruito, lasciando così pericolosamente squilibrata una costruzione che anche completata avrebbe avuto comunque grossi problemi. Stiamo parlando della “condivisione dei rischi” in caso di crisi bancarie, con l’assicurazione europea sui depositi.

La recente querelle tra l’italietta renziana e la Ue sul “salvataggio” delle quattro banche dello scandalo d’autunno (più una quinta, TerCas, su cui si è ripetuto il contrasto) ha messo a nudo il fatto che non ci sono affatto “regole europee comuni” per casi come questo. Il sistema bancario tedesco – e anche quello francese – ha problemi enormi, probabilmente superiori a quelli italiani, ma lì si è proceduto con iniezioni di denaro pubblico anche in tempi recentissimi.

Le contraddizioni e i contrasti su questa materia si vanno insomma addensando, prefigurando un momento di crisi in cui tutta l’Unione Europea sarà chiamata a un capezzale per definire quali siano le regole da applicare anche in futuro.

Non è che non ci siano idee in proposito, soprattutto nel governo tedesco, ma si tratta di soluzioni che aprono la strada all’esplosione del sistema bancario europeo, ovvero alla sua “ri-nazionalizzazione”. Una lettera inviata da Wolfgang Schaeuble al capo della Commissione Finanza e Bilancio del Parlamento tedesco è stata al centro di un preoccupato articolo di Carlo Bastasin, editorialista de IlSole24Ore, apparso in due versioni leggermente differenti – ma con due titoli di assai diversa drammaticità – sul quotidiano di Confindustria e sul sito di Brookings Institution, considerato il miglior think tank globale.

Il “piano” di Schaeuble è semplice e “automatico” come tutti i piani che sono stati partoriti fin qui. “Automatico” perché non deve poter essere più oggetto di interpretazione o sottoposto a condizioni di applicabilità che potrebbero variare col tempo. “Semplice” per l’identica ragione. Del resto, premette lo stesso Bastasin, ”Il governo tedesco sembra aver perso fiducia verso qualsiasi forma di governance centralizzata, e potrebbe ora cercare solamente di proteggere i contribuenti tedeschi da qualsiasi condivisione dei potenziali costi delle crisi dei debiti pubblici negli altri paesi.

L’idea di fondo è antica: i sistemi bancari nazionali sono strettamente irrelati con i titoli del debito pubblico nazionale, visto che è prassi ovunque che le banche private facciano incetta di titoli di stato, piazzandoli poi in gran parte presso la propria clientela al dettaglio (Il famoso “popolo dei Bot”). Dunque, visto che i debiti pubblici nazionali sono molto diversi per dimensione e rischiosità, invece di procedere in direzione della “condivisione dei rischi” secondo Schaeuble bisognerebbe delineare “meccanismo automatico di ristrutturazione del debito pubblico per qualsiasi paese europeo che richieda assistenza finanziaria. Una volta che un paese ha chiesto aiuto tramite il Meccanismo Europeo di Stabilità (un fondo creato ad hoc nel 2012), quale che sia la ragione, i tempi di scadenza dei titoli pubblici saranno automaticamente prolungati, riducendo il valore di mercato di questi titoli e provocando gravi perdite a chi li detiene”.

Tradotto per i non addetti ai lavori: se chiedi aiuto ti ammazzo.

Un assaggio di questa terapia di fine vita lo si è avuto con le crisi di Grecia e Cipro. In quest’ultimo caso ha preso corpo il bail in, per cui le perdite di una banca vanno addebitate ad azionisti e obbligazionisti, ma anche ai correntisti al di sopra dei 100.000 euro. Però, se viene a mancare una “garanzia comunitaria”, non è detto che anche i correntisti ben al di sotto di quella cifra – i normali operai, impiegati, pensionati costretti ad aprire un conto corrente per poter ricevere lo stipendio – possano dormire sonni tranquilli. Anche l’eventuale “garanzia nazionale”, fornita fin qui dallo Stato di appartenenza, potrebbe facilmente esser considerata “aiuto di stato” e quindi vietata.

Ma anche a prescindere dall’identità di chi viene chiamato a pagare per un fallimento bancario, questo meccanismo “nazionalizza” i problemi nel mentre stesso rende impossibile qualsiasi soluzione. Più è debole lo stato nazionale, infatti, meno margine di manovra avrà per salvaguardare gli istituti di credito “basati” sul proprio territorio ed anche i risparmiatori relativi.

In realtà una soluzione, secondo questo piano, c’è, anche se resta sullo sfondo. Le ondate di fallmenti e impoverimento di grandi fette di popolazione lascerebbe campo aperto a “soluzioni di mercato”, come – senza troppa fantasia – l’irruzione di istituti di credito “comunitari” (mgari gli stessi salvati a forza di denaro pubblico “in patria”) in una terra desolata e ormai fortemente indebolit sul piano dell’eutonomia finanziaria. Dunque anche economica.

Il rischio, evidente, è che in questo modo l’Unione Europea venga “rotta dall’alto”, dai soggetti più forti. Mentre qui ancora ci si balocca con concetti ormai vuoti come “l’Europa”.

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Titolo su Brookings: La soluzione finale di W. Schäuble: ristrutturare i debiti pubblici europei

Titolo sul Sole24Ore: Il piano tedesco su debito e aiuti Ue

Carlo Bastasin, 15 dicembre 2015

Un piano tedesco per riformare l’eurozona propone un meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani. Questo meccanismo, progettato dal Ministro delle Finanze tedesco, ha lo scopo di impedire qualsiasi forma di condivisione dei rischi tra i paesi dell’eurozona, e di confinare i costi dell’instabilità finanziaria e fiscale il più possibile all’interno dei paesi più deboli. Dal punto di vista dei default sul debito, il piano può imporre maggiore disciplina, però rischia anche di esacerbare qualsiasi futuro episodio di instabilità finanziaria.

I 18 paesi dell’area euro stentano ancora a riprendersi dopo sette anni di difficoltà finanziarie che hanno minacciato la sopravvivenza stessa della moneta unica. Dal 2010 si è assistito ad una sfilza di proposte su come migliorare la centralizzazione della governance dell’area economica dell’eurozona, o al contrario su come decentralizzare i rischi e limitarne la condivisione. Il governo tedesco sembra aver perso fiducia verso qualsiasi forma di governance centralizzata, e potrebbe ora cercare solamente di proteggere i contribuenti tedeschi da qualsiasi condivisione dei potenziali costi delle crisi dei debiti pubblici negli altri paesi.

Il piano è descritto in una lettera inviata fine novembre dal Ministro delle Finanze al capo della Commissione Finanza e Bilancio del Parlamento tedesco. La lettera, non pubblicata, prescrive un meccanismo automatico di ristrutturazione del debito pubblico per qualsiasi paese europeo che richieda assistenza finanziaria. Una volta che un paese ha chiesto aiuto tramite il Meccanismo Europeo di Stabilità (un fondo creato ad hoc nel 2012), quale che sia la ragione, i tempi di scadenza dei titoli pubblici saranno automaticamente prolungati, riducendo il valore di mercato di questi titoli e provocando gravi perdite a chi li detiene.

Il meccanismo trasformerebbe i titoli pubblici dell’eurozona in asset finanziari più rischiosi — è questo anche l’obiettivo di un’altra proposta del governo tedesco, che mira a eliminare l’eccezione normativa che permette alle banche di detenerli senza dover possedere riserve di capitale per coprire le eventuali perdite. Secondo un’interpretazione piuttosto astratta del modo in cui funzionano le economie europee, rendere esplicitamente più rischiosi i titoli sovrani incoraggerebbe banche e famiglie a evitare di sottoscriverli alla leggera. I governi avrebbero meno incentivi ad accumulare debito. Le banche eviterebbero a loro volta di investire in titoli pubblici e forse si impegnerebbero maggiormente a prestare denaro all’economia reale. L’efficienza economica in tutta l’eurozona aumenterebbe.

Purtroppo però stabilire un meccanismo automatico per sanzionare le situazioni economiche problematiche che si vorrebbero evitare può, nei fatti, renderle ancora più probabili. I titoli pubblici hanno un ruolo unico e fondamentale per il sistema finanziario dell’eurozona. Pertanto, una volta che i titoli sovrani nei paesi dell’eurozona sono diventati più rischiosi, l’intero sistema finanziario potrebbe diventare più fragile, e questo potrebbe influenzare negativamente la crescita e la stabilità finanziaria. Da ultimo, anziché imporre una sana disciplina ad alcuni paesi membri, il nuovo regime potrebbe ampliare i differenziali di rendimento dei titoli di stato e rendere impossibile la convergenza dei debiti, aumentando la probabilità di rottura dell’eurozona.

Il piano di Berlino va in parallelo all’idea che il contenimento della crisi sia solo una questione che riguarda i paesi più colpiti. Si basa inoltre sull’assunzione che qualsiasi forma di condivisione del rischio fornisca ai governi gli incentivi sbagliati, producendo moral hazard. Comunque, come la crisi ha dimostrato, la vulnerabilità finanziaria può avere origini non fiscali ed essere il risultato di problemi comuni; sanzionare i singoli paesi può generare un’instabilità che potrebbe degenerare in una nuova crisi.

Il documento del governo tedesco dimostra una sfiducia fondamentale verso gli atteggiamenti fiscali degli altri governi. L’applicazione ripetuta delle “clausole di flessibilità” per sottrarre alcune spese con finalità specifiche dal conteggio del deficit sta facendo storcere il naso a Berlino. Il governo tedesco guarda con disprezzo la Commissione Europea, considerandola troppo esposta ai ricatti dei governi nazionali, con particolare preoccupazione per l’ascesa dei movimenti populisti e anti-europei. Negli anni passati la cattiva gestione della crisi ha reso l’idea di una governance fiscale centralizzata sempre meno attrattiva anche per gli altri paesi dell’eurozona. L’applicazione asimmetrica delle regole, le decisioni fuori luogo e al momento sbagliato, la tendenza ad applicare la “legge del creditore” anziché gli interessi comuni, nonché certe propensioni ideologiche, hanno fatto venire meno la fiducia verso le decisioni comuni. I governi nazionali, ciascuno a suo modo, stanno passando da una timida propensione a condividere il rischio a una decisa volontà di decentralizzare qualsiasi rischio, come unica ed esclusiva modalità di gestione dell’unione monetaria.

Nel considerare la minaccia di una ristrutturazione del debito come politica efficace per imporre la disciplina, Berlino chiede che i titoli di debito pubblico perdano la loro condizione di asset considerati privi di rischio. Quest’ultima “eccezione normativa” faceva in modo che le banche accumulassero titoli di debito sovrano nel loro bilancio senza la necessità di incrementare il proprio capitale. Nel documento inviato al Bundestag, il Ministro delle Finanze propone che l’eurozona anticipi la regolamentazione internazionale nel riconoscere la specifica rischiosità dei titoli di debito sovrano. Una volta che sia stato stabilito che i titoli pubblici sono a rischio come tutti gli altri, le banche saranno incoraggiate a ridurre l’ammontare di titoli di Stato che detengono, rompendo il circolo vizioso che ha caratterizzato la crisi, col finanziamento del debito pubblico che minacciava la stabilità bancaria e viceversa. Secondo il documento di Berlino, i paesi dell’eurozona dovrebbero anche ridurre in modo permanente i loro livelli di debito pubblico su PIL. Per poterlo fare, Berlino vuole impedire che ciascun paese invochi clausole di flessibilità. In particolare, la richiesta italiana di flessibilità ha ottenuto un certo cedimento da parte della Commissione Europea durante i negoziati. La Francia non si pone nemmeno il problema di ottenere l’autorizzazione per le sue generose politiche fiscali. Nelle trattative coi primi ministri dell’eurozona, il presidente della Commissione Europea Juncker è stato costretto a scegliere tra autorizzare i governi in carica ad ampliare i loro deficit per ogni sorta di ragioni oppure fomentare i movimenti populisti anti-europei che vogliono mandare all’aria l’intera unione monetaria. Questa specifica debolezza nella coordinazione delle politiche fiscali a livello centralizzato ha convinto le autorità tedesche a chiedere la decentralizzazione dei rischi e un controllo depoliticizzato.

 

 

 

Il ruolo di sorveglianza della Commissione” – dice il documento sottoscritto dal Ministro delle Finanze “non deve limitarsi a degli obiettivi politici“. Per rendere il giudizio di Bruxelles indipendente dalle convenienze politiche, Berlino mira a separare la funzione di supervisione svolta dalla Commissione dal suo ruolo nell’orientare le scelte politiche. In alternativa, il controllo delle politiche fiscali potrebbe essere consegnato a una nuova istituzione tecnica e indipendente. Se questi meccanismi dovessero ancora fallire nel tenere a freno il debito pubblico, allora la minaccia di un semplice meccanismo automatico di ristrutturazione del debito farà il trucco: i mercati diventeranno subito estremamente sensibili alla mancanza di disciplina fiscale, e puniranno ciò che i politici perdonano.

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