C’è uno strategist molto noto negli ambienti finanziari italiani, è Alessandro Fugnoli di Kairos Partners. Cura una rubrica settimanale sul sito, ogni venerdì.
Questa settimana ipotizza che si vada verso un decennio di “reflazione mondiale”, con evento topico le elezioni americane. A far da miccia gli eventi sudamericani, che hanno allertato le élite mondiali.
Ma è tutto un concatenarsi di eventi. Innanzitutto Fugnoli ritiene che a fine novembre, al vertice Apec in Cile, verrà siglata l’intesa sulla fine della guerra commerciale Usa Cina tra Trump e Xi Jinping.
La stessa campagna elettorale americana ancora non ha definito chi sarà il candidato democratico, ma ci sono istanze socialdemocratiche nella sua base, con maggiori tasse ai contribuenti abbienti, sanità e istruzione gratuita, più la fine dei monopoli tecnologici.
Un’eventuale intesa tra Cina e Usa farebbe rimbalzare il settore manifatturiero e agricolo americano, con conseguente aumento occupazionale e reflazione salariale, che in alcuni settori in Usa già si nota. L’intesa siglerebbe il ricambio del favore cinese agli americani che più di 40 anni fa decisero di industrializzare quel paese.
Ora la produzione ritorna in Usa sotto forma di massicci acquisti da parte di Pechino. L’inflazione in Cina è al 3%, mentre continua la reflazione salariale in quel paese e in tutto il sud est asiatico.
Dopo decenni di shock di offerta potremmo assistere in quelle aree a shock di domanda, e il primo paese beneficiario sarebbe gli Usa. E’ questa la strategia di Trump da tre anni e al vertice Apec potremmo capire con quali risultati.
C’è da dire che in ogni caso Fugnoli parla al momento di reflazione da asset finanziari, con l’indice di Wall street arrivato a quota 3000 dopo l’inizio a dicembre da parte della Fed della politica monetaria accomodante.
L’intesa Cina Usa rafforzerebbe il ruolo mondiale del dollaro, e non potrebbe essere altrimenti, perché è la nazione che assorbe maggiormente l’offerta mondiale portando sempre il rosso nelle partite correnti.
Anche la Cina ha azzerato il surplus delle partite correnti, grazie alle spese dei turisti, ma rimane un forte surplus commerciale. La Cina non se la sente ancora di internazionalizzare maggiormente la sua valuta, va piano e nel frattempo acquista oro.
Quel che le interessa è il piano interno. Con un tasso di investimento del 41% sul pil ha accelerato in questi decenni sulla produttività totale dei fattori produttivi, declinando la reflazione da asset finanziari e puntando con la Legge del Lavoro del 2008, vero spartiacque dell’economia mondiale, alla reflazione salariale. Che ora,con l’intesa con gli americani,si sposterà in Usa.
Cocciuta, l’Unione Europea persegue il fine di surplus crescenti delle partite correnti con deflazione salariale e politica fiscale restrittiva, impedendo, come ha sottolineato giovedì al Forum Italo Russo Igor Sechin di Rosneft, di essere valuta mondiale; anzi perdendo in questo decennio l’8% delle riserve mondiali delle banche centrali in euro.
La danza verrà condotta da Usa e Cina. Si capirà che Trump è meno folle di quel che sembra ed è vicino al risultato. Hub mondiale del risparmio, hub mondiale energetico e agricolo, nel prossimo decennio, dopo 50 anni, hub mondiale manifatturiero. Usa is back, la Cina restituisce il favore dopo 50 anni.
Europa inesistente, e i fatti siriani lo dimostrano. Così come la Brexit non è altro che una fuga dalla deflazione europea verso la reflazione mondiale del prossimo decennio.
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