Il panico è partito già nella notte. Tanto più forte quanto più le ore della vigilia erano trascorse nella convinzione generale che la Brexit non ci sarebbe stata. Lo dicevano i sondaggi super-segreti delle grandi banche d’ffari, che ieri avevano guidato una giornata di rialzi super-ottimistici (Milano +3,7%, in un listino gonfio di banche sull’orlo del dissesto finanziario). Lo dicevano gli occhiuti bookmaker londinesi, che a mezzanotte ancora davano il remain vincente al 95% (e quindi stavano accettando scommesse 20 a 1; moltisaranno sull’orlo del suicidio, a quest’ora).
Soprattutto bisogna togliersi il sorrisetto dalla faccia prendere le misure alla realtà Questo è panico vero, generalizzato, senza rete.
Già ieri, nelle strade di Londra, si sono viste code per scambiare sterline in euro ma soprattutto dollari temendo gli effetti della Brexit sul valore della sterlina. Scene che non si vedevano dal 2008.
Quel che non poteva accadere è accaduto, ora tutti gli operatori sui mercati stanno facendo – ognuno per proprio conto e interesse – mosse “razionali”. Spostano investimenti (che nel giro di pochi minuti sono evaporati anche del 10% o più), “scelgono la liquidità” (soldi in tasca e poi si vede), puniscono la sterlina (salita a 1,50 contro il dollaro ieri sera, pi crollata a 1,32), si preparano a traslocare da Canary Warf verso altri lidi, magari nei Caraibi o nelle isole della Manica.
Ma tutta questa fredda razionalità individuale produce un cataclisma collettivo, sistemico, tettonico. Alle 11 la situazione era questa: Londra -5% (ed è paradossalmente il risultato migliore d’Europa!), Francoforte -6,6, Parigi -7,4, Madrid e Milano oltre il 10%, Tokyo aveva chiuso a -8, mentre la disperata Atene tocca i -15.
Perdite che non si vedevano, in appena due ore, dal fallimento di Lehmann Brothers, nell’ottobre del 2008, data di inizio ufficiale (ma non veritiero) della più grande e lunga crisi della storia capitalistica. Anzi: che non sierano viste neanche allora, quando di fatto “i mercati” rimasero congelati per alcuni giorni, senza più nessuno che osasse fare una mossa purchessia.
Cede l’euro nei confronti del dollaro (e questo farà piacere a Confindustria), crolla di nuovo il prezzo del petrolio (-4%, col Brent a 48,9 dollari al barile) perché la Brexit dovrebbe riaprire una fase di recessione globale. Corre il prezzo dell’oro, bene rifugio antico nei momenti di panico, salendo di quasi il 4% (l’esatto contratio matematico del petrolio) e superando i 1.300 dollari l’oncia.
Vola anche lo spread tra i titoli di stato dei paesi Piigs e quelli tedeschi, con i Btp decennali a 157 punti di scarto rispetto ai Bund.
Il problema non è però né solo economico, né solo finanziario. Dopo anni di quantitative easing da parte della Federal Reserve statunitense, poi della Bank of Japan e della bank of England, da un anno e mezzo anche della Bce, c’è in circolo una quantità di denaro senza limiti. Purtroppo, il denaro chiede di essere remunerato, investito, per portare altro denaro, guadagni, ricavi… E qui non c’è nessun asset che risulti abbastanza solido da far correre il rischio a investitori resi cauti da anni di scottature. Soprattutto, il gruppo dirigente dell’Unione Europea – a prescindere dai singoli paesi o dalle “durezza” dei singoli cerberi – esce sfiduciato in pieno rispetto a quello che “i mercati” chiedono sempre: esser garanti della “stabilità”, attraverso gli strumenti della politica istituzionale. Missione fallita: Merkel, Scaeuble, Dijsselbloem, Juncker, non ne escono meglio di Cameron.
La prospettiva di una nuova “gelata” a livello gobale è dunque quella più probabile. La Banca d’Inghilterra, ha detto il suo presidente Mark Carney, in un’estremo sforzo di normalizzazione, è pronta a iniettare 250 miliardi di sterline di liquidità per garantire il regolare funzionamento del mercato. Quello che “si brucia” in un quarto d’ora, in certi momenti, E anche le dimensioni del bazooka in mano a Mario Draghi e alla Bce sembra, stamattina, decisamente insufficienti a “fare tutto ciò che è necessario”. Questioni di calibro e gittata, non di volontà…
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