Il dubbio di aver diffuso negli anni scorsi una battuta dal sapore cinico ancora ci perseguita, così come non riusciamo a toglierci dalla testa il fatto che Cassandra prevedeva il futuro ma era condannata a non essere creduta. Ma quanto i dati statistici di due di fila danno ragione alla tesi secondo cui “dobbiamo morire prima”, un brivido corre lungo la schiena.
Un brivido continuamente alimentato dalle dichiarazioni come quelle della Ragioneria Generale dello Stato o del presidente dell’Inps Boeri o del Fondo Monetario Internazionale. Tutti a ribadire che i costi per il sistema previdenziale sono insopportabili (ma i soldi per banche, F35, bonus elettorali li trovano sempre). Ma se i costi sono insopportabili a causa dell’aspettativa di vita della popolazione italiana, cosa c’è di meglio del ridurre proprio l’aspettativa di vita e i titolari delle prestazioni sociali? E’ conseguenza che aumento dell’età pensionabile (che potrebbe arrivare a 70 anni) e drastica riduzione delle cure mediche (milioni di persone hanno cessato di curarsi per motivi economici) prima o poi i suoi “effetti” li produce. Certo saranno anche una riduzione dei costi per il sistema, ma, lasciatecelo dire, sembra proprio l’anticipazione distopica di quel “racconto maledetto” di Francois Haine pubblicato alcune settimane fa dal nostro giornale.
Lasciamo parlare i dati riportati nel giugno scorso da Infodata sul Sole 24 Ore.
L’Italia, è entrata nel 2015 nella recessione demografica, ma anche nel 2016 ha proseguito il trend negativo: la popolazione residente è infatti calata di 76mila unità (-0.13%).
Questo risultato è sì il frutto della diminuzione delle nascite (sotto quota 500mila), in costante crisi a partire dal 2009 quando erano 100mila nati più di oggi e più o meno proprozionali con il numero dei decessi. A partire da quella data, invece, oltre al un tracollo della natalità si è aggiunto un aumento delle morti, con un amaro conto finale nel 2016: -140mila in tutto, come se scomparisse una intera città delle dimensioni di Salerno. Ci sono poi 115mila italiani hanno deciso di lasciare l’Italia per andare all’estero e sono stati seguiti nella stessa scelta da 42mila stranieri che vivevano in Italia.
Come nel 2015, anche lo scorso anno questo crisi demografica dell’Italia è stata solo parzialmente mitigata fenomeni come l’immigrazione di 260mila cittadini stranieri e il rimpatrio di 40mila italiani che vivevano all’estero, ma questo non è bastato a salvare la stabilità demografica in Italia.
Le regioni la cui popolazione è maggiormente calata sono la Basilicata e il Molise: in soli dodici mesi hanno perso un abitante ogni 200, per cause naturali o per spostamenti, sul territorio o all’estero. La differenza tra nascite e morti, è positiva solo in Trentino-Alto Adige.
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