Diciamo subito che non nessun governo avrebbe potuto evitarlo, ma per questo suona comunque come una condanna.
I dati Istat pubblicati stamattina sono tutti negativi. Li riassumiamo brevemente per dare il quadro.
Sul fronte della “crescita”, nel terzo trimestre del 2018 il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dello 0,7% nei confronti del terzo trimestre del 2017. Ma il dato è più negativo, perché il terzo trimestre ha avuto due giornate lavorative in più del trimestre precedente. Si è insomma lavorato di più, ma prodoto di meno.
In pratica stiamo entrando in recessione (sarà tecnicamente vero se anche il quarto trimestre sarà negativo), e la differenza positiva rispetto all’anno precedente è pressoché irrilevante. Tanto più se si tiene conto che il Pil italiano – a prezzi costanti, ovvero senza calcolare l’inflazione – è del 5% inferiore a quello del 2008 (inizio statistico della grande crisi finanziaria ancora in corso, perlomeo nell’Occidente).
A cadere sono stati soprattutto gli investimenti fissi lordi (-1,1%), segno che le imprese hanno fatto i loro conti, guardato gli ordinativi, e deciso che non è il caso di mettere soldi nella produzione, per ora. Calano anche i consumi, “grazie” a salari reali in continua diminuzione. A tenere a galla i numeri del paese sono ancora le esportazioni, come da modello mercantilista imposto dalll’Unione Europea (deflazione salariale e compressione dei consumi interni per “competere” meglio sul mercato globale). Ma nessun paese può crescere davvero contando solo sul mercato esterno: una crisi, un incidente diplomatico, un aumento dei dazi, ecc, puà velocemente innescare il disastro.
La verifica immediata arriva dai dati sull’inflazione. Nel mese di novembre 2018 l’indice nazionale dei prezzi al consumo (NIC), al lordo dei tabacchi, registra una diminuzione dello 0,1% su base mensile. Mentre resiste un aumento dell’1,7% su base annua. E’ perfettamente coerente: se i conusmi calano, i prezzi scendono (almeno un po’). Soprattutto, visto che per i generi di prima necessità la spesa individuale è ormai quasi incomprimibile (e infatti i prezzi degli alimentari salgono), si risparmia sulle altre spese, come quelle per i Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-1,2%).
Anche l’occupazione segue in modo perfettamente coerente questa tendenza.
La stima degli occupati a ottobre 2018 risulta infatti sostanzialmente stabile. Il tasso di occupazione, pari al 58,7%, non fa registrare variazioni congiunturali. Per quanto riguarda le diverse componenti dell’occupazione, aumentano i dipendenti permanenti (+37 mila), mentre calano ,quelli a termine (-13 mila) e gli indipendenti (-16 mila). Con riferimento all’età, calano gli occupati tra i 25 e i 49 anni mentre si registra una lieve crescita tra i 15-24enni e un aumento più consistente tra gli ultracinquantenni.
Aumentano anche coloro che sono in cerca di un lavoro (+2,4%, pari a +64 mila unità), sia uomini che donne. Di conseguenza cresce il tasso di disoccupazione (al 10,6%, +0,2 punti percentuali su base mensile), anche a livello giovanile (32,5%, +0,1 punti).
Segni concordanti e univoci, insomma, senza nessuna controtendenza o via di fuga.
E questo governo, ormai sotto la morsa sempre più stretta della Commissione Europea, non può far nulla per invertire la rotta.
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Daniele
Errata Corrige: questo Govern(icchi)o NON VUOLE fare nulla per invertire la tendenza.