Edgar Allan Poe ci insegna, e la saggezza popolare lo conferma, che il posto migliore per nascondere qualcosa è in piena vista. Se, dunque, il Governo attualmente in carica volesse nascondere la vera portata delle proprie scelte di politica economica, quale sarebbe il posto migliore per trovare documenti compromettenti? Probabilmente, sarebbe il sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, un luogo dove è possibile trovare facile e immediata conferma della natura di questo Governo, l’ennesimo solerte esecutore dei diktat che soffocano la nostra economia da più di vent’anni.
Com’è noto ai più, il 29 maggio scorso la Commissione Europea ha avvertito il Governo italiano che gli sforzi che Tria, Conte e soci stanno facendo per ridurre il debito pubblico sono insufficienti. La risposta dell’esecutivo gialloverde non si è fatta attendere. Due giorni dopo la richiesta di chiarimenti della Commissione, infatti, da via Venti Settembre è partita la lettera di Tria, accompagnata da un rapporto contenente i cosiddetti ‘fattori rilevanti’ ai fini della valutazione della situazione debitoria dell’Italia. Come la Commissione abbia accolto le giustificazioni del Governo italiano, è cosa nota. I commissari, sempre assetati di tagli, non si sono fatti convincere dalle argomentazioni dei tecnici del MEF e hanno suggerito l’apertura di una procedura d’infrazione. D’altro canto, l’austerità non è mai abbastanza e la lotta feroce tra europeisti liberisti e sovranisti liberisti su chi deve esserne l’amministratore ultimo è stato il tema politico principale degli ultimi mesi.
In attesa dei prossimi passi delle istituzioni comunitarie, che consisteranno in un parere del Comitato Economico e Finanziario (il cosiddetto ECOFIN, che riunisce i ministri dell’Economia dei paesi dell’UE) e nella decisione finale del Consiglio Europeo sull’apertura della procedura, i membri dell’esecutivo non hanno fatto a meno di sfoderare una prevedibile, quanto ipocrita, levata di scudi contro i vampiri dell’austerità. Di Maio ha sostenuto che la lettera della Commissione è paradossale e che l’Unione Europea non ha imparato nulla dal passato, mentre Salvini ha tuonato: “Se mio figlio ha fame e mi chiede di dargli da mangiare secondo voi io rispetto le regole di Bruxelles o gli do da mangiare? Secondo me viene prima mio figlio, i miei figli sono 60 milioni di italiani”.
Ci sarebbe da tirare un sospiro di sollievo. Questo Governo di chiacchieroni (quando c’è da interagire con l’Europa; quando c’è da bastonare l’immigrato o il contestatore, alle parole seguono anche i fatti) parrebbe finalmente deciso a fare quanto promesso in campagna elettorale: difenderci dall’austerità e perseguire con tutti i mezzi la piena occupazione. Viene voglia, quindi, per abbandonarci nel salviniano abbraccio paterno, di andare a leggere il rapporto sui famosi fattori rilevanti che i nostri hanno approntato per difenderci. Il problema, però, è proprio lì, nascosto in bella vista in un documento ufficiale del Governo.
Il rapporto è un documento in inglese che spiega le ragioni per le quali il nostro debito non dovrebbe produrre preoccupazioni nelle istituzioni europee. Il punto più interessante è a pagina 3, dove si legge:
“Secondo le stime del Governo, il rapporto deficit/PIL dello scorso anno si è attestato all’1,4 per cento, invariato rispetto al 2017. Il Governo precedente si era impegnato a una riduzione di tale rapporto pari allo 0,3 per cento. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo è dovuto, in parte, alla revisione al ribasso dell’output gap a causa della revisione al ribasso delle stime di crescita per l’intero periodo 2018-2022, nonché a un aumento nei contributi in conto capitale”.
Il bello viene adesso:
“Il nuovo governo ha rispettato gli impegni già esistenti astenendosi da qualsiasi espansione fiscale nel 2018” – e qui si va nel pulp più spinto – “nonostante gli indicatori del ciclo siano improvvisamente peggiorati nella seconda parte dell’anno”.
In questo passaggio c’è tutto: dall’ipocrisia del Governo gialloverde alla follia imposta dai trattati europei. Direte voi: “ma sì, era già noto che questi dicevano di combattere l’austerità e invece facevano tagli su tagli”. Vero, ma quel che leggiamo in questo documento va ben oltre lo svelamento di un atteggiamento ipocrita. Siamo alla vera e propria confessione di un delitto. In soldoni, quel che il MEF sta cercando di dire alla Commissione europea è: “Avete visto quanto siamo stati bravi? Nonostante il rallentamento dell’economia, la recessione e la disoccupazione galoppante, abbiamo deciso di non dare alcuno stimolo all’economia – cosa che avrebbe richiesto un aumento di spesa pubblica – proprio per non darvi un dispiacere troppo grande. Certo, a causa della minor crescita – alla quale contribuiamo attivamente facendo i compiti per casa che ci assegnate – non siamo esattamente riusciti a mantenere fino in fondo gli impegni, ma che altro potevamo fare? Noi ci abbiamo provato, a darvi ragioni per essere orgogliosi di noi”.
Alla faccia, dunque, dei sessanta milioni di figli e pur sapendo che, a causa del rallentamento della crescita, molti di questi ‘figli’ sarebbero rimasti disoccupati, il cosiddetto Governo del cambiamento, nemico giurato delle tecnocratiche élite di Bruxelles, non si è fatto scrupoli a continuare a impartire e amministrare l’austerità per conto delle tecnocratiche élite di Bruxelles. Si legge, infatti, nella lettera di Tria, che il Governo (in perfetta continuità con i Governi precedenti), confermando quanto contenuto nel Programma di Stabilità del DEF 2019, intende ridurre gradualmente il deficit pubblico fino all’1,5 per cento del PIL nel 2022, con un “miglioramento” del saldo strutturale di quasi 0,8 punti percentuali rispetto al 2019. Addirittura, l’avanzo primario – ovvero la differenza tra entrate e uscite totali dello Stato, al netto della spesa per interessi passivi – raggiungerebbe il 3,1 per cento su base strutturale nel 2022 (andando così a realizzare i sogni più perversi di un Cottarelli qualsiasi). In altri termini, nel 2022 raggiungeremmo una situazione in cui ogni anno lo Stato sottrarrebbe circa 55 miliardi di euro dall’economia italiana, con conseguenze sulla crescita, sulla disoccupazione, sui servizi ai cittadini, sulle spese per infrastrutture, che sarebbero disastrose. In sostanza, l’ennesima ripetizione della solita strategia suicida: per migliorare gli indici di salute dei conti pubblici – deficit/PIL e debito pubblico/PIL – si ricorre a tagli della spesa nella speranza di far diminuire il numeratore, fingendo di ignorare che si causa un calo del denominatore ancora maggiore. Per poi magari stupirsi di una crescita dell’economia minore di quella attesa.
Ancora una volta, il governo gialloverde conferma la sua natura clownesca, fingendo di fregarsene dei vincoli europei e imponendoli, invece, nella maniera più ligia e riverente. Mentre i ciarlatani più in vista, con l’aiuto del dilettantismo delle opposizioni, abbagliano il pubblico con mirabolanti promesse su fantomatici modi per fottere il sistema, gli esponenti ‘istituzionali’, dietro le quinte, contrattano con l’Europa le condizioni della resa. Almeno in questo, però, la Lega dimostra una sua coerenza di fondo: al blocco sociale di riferimento di questa forza politica (il piccolo, medio e grande padronato del nord Italia) l’austerità piace, perché fornisce uno strumento di disciplina dei lavoratori senza neanche il bisogno di sporcarsi le mani. Salvini e i suoi accoliti hanno passato le ultime due campagne elettorali a cercare di farcelo dimenticare, ma per rinfrescarsi la memoria è sufficiente leggere i documenti ufficiali di questo Governo di pagliacci.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
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