Mentre in giro per il mondo ci si chiede come uscire dal tunnel della tripla crisi (economica, sanitaria, ambientale), e si ripropongono in salsa blanda alcune delle vecchie ricette para-keynesiane (investimenti pubblici, qualche tassa in più per i ricchi, ecc), qui nel Vecchio Continente nulla sembra turbare i sonni neoliberisti dell’Unione Europea.
E’ vero, davanti all’esplodere della pandemia si è vista costretta ad ammette – in via assolutamente straordinaria, per carità! – un briciolo di debito pubblico comune. Ma con tali limiti e condizionalità che qualche paese – il Portogallo, per esempio, e forse anche la Spagna – ha deciso, o sta pensando, di rifiutare la parte in “prestiti” e accettare soltanto la frazione in “grant”, finanziamenti detti “a fondo perduto” anche se comunque in parte da restituire.
L’entità del cosiddetto Recovery Fund (750 miliardi, se davvero sarà questa alla fine la cifra vera) è comunque risibile rispetto alla dimensione dei problemi e dell’Europa. E in ogni caso saranno (forse) elargiti nell’arco di sei anni. Solo negli Usa (con il 60% della popolazione europea) sono per il momento arrivati a 4.000 miliardi, di cui 2.000 già approvati, in un paio d’anni.
Da Bruxelles, anche a Draghi, arriva un solo messaggio: “appena finita ‘sta buriana, torniamo a viaggiare come prima: patto di stabilità, austerità, tagli di spesa”.
Crediamo che anche questa volta la burocrazia europea, che l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco qualche tempo fa definì “peggiore della nostra”, si stia dimostrando antistorica.
In diversi documenti “programmatici” si legge di aumento dell’età pensionabile, di flessibilità del lavoro (accentuata dallo smartworking), liberalizzazione del tempo determinato. Vale a dire allungamento della giornata lavorativa giornaliera, mensile, annuale, di vita.
Una forma di estrazione del plusvalore, in termini marxiani, assoluto. Che poi significa più tempo di lavoro a parità di investimenti da parte delle imprese. Il tutto, si dice, per “competere con la Cina” (e indirettamente con gli Usa).
Però, se si va a guardare quello che stanno facendo i cinesi si scopre che la “strategia” europea risulta – capitalisticamente parlando – fuori tempo.
A partire dalla legge del lavoro del 2008, infatti, la Cina è passata ad una forma più evoluta, il plusvalore relativo, imitata da altri paesi asiatici. Cosa significa? Un salto tecnologico nei mezzi di produzione, con investimenti pubblici in fabbriche, macchinari, automazione, ecc, tale che a parità di tempo di lavoro individuale – in un giorno e/o per tutta la vita – corrisponde una massa di prodotti, valore, profitti, salari, welfare, ecc, molto più alta.
Al contrario. Qui. si discute di come fronteggiare la “minaccia cinese”, e si mobilita il sistema dei media per farne “il nemico”, ma si utilizzano armi antiquate. Anche i lavoratori europei fossero costretti a lavorare 24 ore al giorno, infatti, non potrebbero mai eguagliare la produttività delle macchine. L’unico “vantaggio” del “modello europeo” appare dunque il risparmio per le imprese, che evitano di fare investimenti. Ma questo è anche il motivo del declino industriale europeo.
Neanche gli Usa seguono più questa idiozia, pur mantenendo comunque la Cina come “nemico” da fronteggiare. La ministra del Tesoro americano, già Presidente della Riserva Federale, qualche settimana fa ebbe a dire che puntare al ribasso nel mercato del lavoro per fronteggiare la Cina si è dimostrato “una scelta suicida”. E da lì ha fatto derivare il “piano Biden” (non basta la sua firma per attribuirgliene il merito….).
Un esempio: “Il presidente statunitense proporrà un’imposta federale massima sul capital gain del 43,4%, secondo quanto riportato dal sito Bloomberg, in rialzo dall’attuale 23,8%. L’aumento si tradurrebbe in un’imposta del 52,22% totale nello Stato di New York, per esempio. Il massimo dell’aliquota è previsto per chi guadagna più di un milione di dollari all’anno.”
Ovvio che i sostenitori di Trump, Bolsonaro o Salvini definirebbero queste misure “socialiste”, o almeno “troppo progressiste”. Ma è solo l’arretratezza del dibattito pubblico in Europa a far scambiare le “lucciole” di Biden-Yellen per “lanterne socialiste”.
Si tratta infatti, né più né meno, che di un blando ritorno al “Big Government” dei tempi di Lyndon Johnson, che allargava il welfare state dentro gli Stati Uniti e nel frattempo faceva la guerra in Vietnam, Laos, Cambogia, oltre ai golpe in America Latina. E nessuno, nel mondo, pensava che quella roba fosse “progressista”…
Il neoliberismo, che l’Europa non vuole abbandonare, a differenza degli Usa, si dimostra per quel che è: una forma di estrazione del valore antiquata, antistorica, perdente.
Nei prossimi anni – se questa “strategia” non verrà rottamata – le popolazioni europee verranno incitate a prendersela con “la Cina che divora tutto”; senza guardarci intorno e senza capire perché si è prodotto il veloce declino dell’Occidente capitalistico.
L’Ue e Draghi – anche in questi giorni – hanno ribadito la scelta economica degli ultimi 30 anni, quella che porta al declino economico e sociale.
Sono fuori dalla Storia e il fatto che i media li incensino la dice tutta sul livello “culturale” degli “intellettuali”.
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