Menu

Il boom dei prezzi delle materie prime ipoteca la “ripartenza” dell’economia globale

I prezzi delle materie prime – inclusi i combustibili fossili – hanno continuato la loro corsa con aumenti piuttosto pesanti. Nonostante le dichiarazioni di circostanza che evocano un futuro green, il carbone è arrivato a costare 218 dollari per tonnellata, mentre un anno fa si aggirava intorno ai 50. Il petrolio vede il Brent arrivare a 78 dollari al barile e il Wti sopra i 74 dollari. Un anno fa, nessuno dei due arrivava a 40. E poi c’è il gas naturale che in un anno è passato da 2,50 dollari al metro cubo a oltre 5,90. Le ripercussioni di tutto questo le abbiamo viste anche con la stangata sulle bollette di luce e gas nel nostro paese.

L’esplosione dei prezzi è il sintomo di un’economia mondiale che ha ripreso a funzionare dopo la recessione causata della pandemia, ma che deve fare i conti con diverse strozzature del sistema (una tra questi l’aumenti dei noli marittimi del 682% a maggio scorso).  I big dell’economia mondiale, Stati Uniti, Cina, Unione Europea, hanno fame di energia e questo si ripercuote sui prezzi.

Ma non è solo l’aumento dei prezzi energetici a surriscaldare l’economia gobale. Si è parlato in questi mesi della carenza dei microchip, che ha gravato in modo particolare sull’industria automobilistica. E ha fatto molto parlare la decisione della Cina di limitare il consumo di energia nelle sue fabbriche. Una restrizione che ha colpito anche multinazionali statunitensi come la Apple e la Tesla, che dovranno quindi rallentare il loro ritmo produttivo a causa dei blackout. La spiegazione ufficiale dietro alla decisione di Pechino è la volontà di non costruire altre centrali energetiche a carbone, per concentrarsi sulla transizione energetica verso fonti rinnovabili. Un obiettivo sacrosante ma probabilmente sulla decisione incide anche il caro materie prime sta rendendo troppo costosi la produzione e l’approvvigionamento.

“Secondo uno studio di Deloitte, il mercato dei semiconduttori dovrebbe raggiungere un valore di 550 miliardi di dollari nel 2022”, spiega a Milano Finanza Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Im Italia. “Le telecomunicazioni e il data processing generano insieme il 65% del valore di questo mercato. Non dimentichiamo però altre voci molto importanti, come le componenti elettroniche utilizzate nei beni di largo consumo (9%), nell’industria automobilistica (12%) e nella produzione industriale in generale (13%). È evidente, quindi, il largo utilizzo che si fa dei semiconduttori nelle catene di valore del mondo globalizzato e digitalizzato”. 

E’ inevitabile che la scarsità di approvvigionamenti stia condizionando la crescita in tutti i questi settori.

Tornano poi a pesare, anche su questo fronte, gli attriti geopolitici. “La concentrazione regionale della produzione di semiconduttori vede l’Asia dominare il resto del mondo, con un output del 70%. Il resto se lo spartiscono Europa, Giappone e Stati Uniti”, analizza Tentori. “Questi punti sono di importanza strategica, come evidenziato dal Piano quinquennale del governo di Pechino, nonché dall’intensificarsi degli attriti tra Cina e Stati Uniti”.

E già perché la nuova Guerra Fredda scatenata dagli Usa contro la Cina e la Russia potrebbe avere ripercussioni serie a livello internazionale. Secondo l’analista finanziario Antonio Cesarano sentito da Milano Finanza: “Russia e Cina probabilmente cercano di orientare il nuovo atteggiamento geopolitico dell’area verso di loro. Per facilitare il tutto, fanno pesare la loro importanza, rallentando la catena di fornitura. La Russia lo fa con il gas, la Cina non solo con la componentistica, ma anche con i fosfati, importanti per i fertilizzanti, di cui è primo esportatore mondiale e per i quali è stato bloccato l’export nel 2022. Anche per queste ragioni i livelli di scorte di gas in Europa sono su livelli molto bassi, esponendo al rischio di una crisi energetica, soprattutto se l’inverno non sarà mite”.

Qualcuno comincia già ad evocare l’incubo delle crisi petrolifere degli anni Settanta, quando l’Opec decise un brusco aumento del prezzo del greggio e dei suoi derivati tra il 1973 e il 1974. Lo spettro della crisi irrisolta di quegli anni torna a fare a capolino nelle preoccupate previsioni dei centri studi del capitalismo.

 

 

 

 

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *