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Export in Cina, un’ancora di salvezza

Zitti zitti, che a Brunetta gli potrebbe venire un colpo, nel caso qualcuno lo informi. Visto che, ad ogni dato comunicato dall’Istat, sbandiera il “boom economico” per cui bisognerebbe dire grazie a Draghi, ieri sono usciti i dati import-export tra Italia e Cina.

Crescita tumultuosa di quel paese non solo come export – +33% in 9 mesi – ma anche come import, +32%. E questo nonostante pandemia, crollo immobiliare, colli di bottiglia produttivo, crisi energetica.

Ma a Brunetta il colpo potrebbe arrivare grazie ad un dato, in particolare: nei primi 9 mesi di quest’anno le esportazioni verso la Cina di prodotti fabbricati in Italia – che passano dal porto di Rotterdam, dagli scali merci aerei svizzeri e belgi, e dunque non conteggiati come “italiani” dall’istituto di statistica – sono arrivate alla sbalorditiva cifra di 22, 3 miliardi: +47% rispetto allo scorso anno.

Nel 2019 la cifra era appena di 13 miliardi.

Se dovesse continuare questo trend si raggiungerebbero quest’anno circa 26, 27 miliardi di dollari, 14 miliardi in più del 2019, che fa circa un punto percentuale di Pil dovuto soltanto all’export in Cina.

I cinesi, dal canto loro, lo scorso anno furono di parola: andarono nelle aziende nazionali consigliando di importare merci italiane e così stanno facendo da allora, con un boom quest’anno.

Se si dovessero considerare i dati della Dogana cinese, e non quelli dell’Istat, il dato sul deficit commerciale sarebbe inferiore. I cinesi onorano il Memorandum di Intesa Italia-Cina del 2019 (firmato dal governo Conte, ora diventato “orfano”), non si scompongono più di tanto per la campagna stampa condotta contro di loro in questo Paese. Vanno aldilà di tutto ciò.

Questo significa avere una civiltà millenaria, e tenerlo presente in ogni atto. Una “dettaglio” che ci siamo dimenticati di possedere.

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