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Que pasa

Negli anni 70 si pose per il capitalismo il problema di far fronte all’ondata di lotte dei lavoratori in tutto l’occidente, che allora equivaleva a tutto il capitalismo.

Il rapporto lavoro capitale era arrivato ad uno snodo che imponeva una scelta radicale.

Andare avanti e trovare nuovi modi di lavorare e di vivere, dato lo sviluppo della produzione. In altre parole “un altro mondo possibile”.

Oppure andare indietro, tornare ai rapporti di fine dell’Ottocento e inizio del Novecento con salari insufficienti, immiserimento delle masse, disoccupazione e povertà.

Il capitalismo scelse questa seconda opzione

Si trattava di smantellare le roccaforti operaie. Detroit è il simbolo di questa distruzione. Le fabbriche furono smembrate, interi reparti vennero delocalizzati a centinaia di chilometri in cittadine dove non c’era nessuna tradizione operaia.

Tutto ciò grazie ai nuovi strumenti di comunicazione elettronica,  al sistema dei trasporti per container e soprattutto alla finanziarizzazione.

La delocalizzazione non era solo interna ma soprattutto estera, spostando massicciamente la produzione nei paesi a bassi salari.

Le città industriali si trovarono con gli scheletri delle fabbriche dismesse.

Negli anni 70 iniziarono i rapporti con la Cina per la più grande localizzazione.

Le imprese americane avrebbero trasferito capitali e know how e formato joint ventures con il governo cinese che avrebbe assicurato terreni, infrastrutture, operai dalle campagne, detassazione per 5 anni.

Dal 1982 con l’apertura della prima zona ZEE la Cina si è messa in movimento ed è diventata in 20 anni la fabbrica del mondo, associando, in modo pianificato, alla crescita economica la crescita dei salari e delle infrastrutture, dei servizi per il funzionamento sociale, della formazione scolastica, dello sviluppo scientifico e tecnologico.

Un paese che cresce e un paese in declino.

Gli Usa come Atene possiedono un impero, sono il centro della cultura, del pensiero scientifico, dell’intrattenimento, attraggono i migliori cervelli, formano nei loro atenei di punta i vertici politici e l’alta dirigenza di vari paesi,  ma sono ormai i maggiori debitori del mondo. Per sorreggere i consumi e le imprese devono distribuire dollari con “l’elicottero”.

Sono impressionati e allarmati dalla straordinaria crescita della Cina, la cui produzione si espande e si diffonde in tutto il globo, compresi gli stessi States che per liberarsi degli operai hanno fatto una scelta di riportare i rapporti di classe indietro di cento anni, ai tempi del padrone delle ferriere.

La storia americana, non dissimile dalla storia degli altri paesi occidentali, si è volta all’indietro con Reagan e Thatcher. Con Reagan si inaugura la politica di tagliare le tasse ai ricchi e tagliare la spesa pubblica  ai salari, Supply side economy. Con loro inizia lo smantellamento dello Stato e non solo del welfare.

I risultati di questa guerra di classe sono sotto i nostri occhi. Da una parte austerità, dall’altra una straripante ricchezza soprattutto del centile più alto: si è tornati a rapporti di reddito tali che il decile superiore detiene una ricchezza maggiore del totale della ricchezza degli altri nove decili, una situazione situazione paragonabile, secondo Piketty, a quella vigente ai tempi di Proust.

Ma il capitalismo può vivere senza produzione e soprattutto senza produzione di plusvalore che costituisce la sostanza del profitto ?

La potenza e l’impero americano sono cresciuti quando gli Stati Uniti erano la Fabbrica del mondo. Oggi sono la fabbrica del debito, si reggono sul dollaro che un tempo rappresentava la forza produttiva del paese ed ora rappresenta soltanto la forza della potenza Imperiale, con 800 basi militari sparsi per il mondo e con una spesa militare 4 volte più grande di quella cinese, che è il secondo paese nella classifica della spesa militare.

Si è cercato di sostituire il profitto della produzione col profitto della finanza, soprattutto della Borsa. Per mantenere in vita l’economia, ormai dominata dalle multinazionali e dalle cosche, si sono stampate varie migliaia di miliardi di banconote.

Il QE ha letteralmente inondato la Borsa e sostenuto la crescita incredibile del Dow Jones. Le grandi corporation hanno scoperto che si guadagna di più speculando in vario modo che investendo nel rinnovo tecnologico e per espandere il mercato. Negli ultimi dieci o dodici anni non ci sono stati praticamente investimenti nella produzione.

Il risultato è una società della ricchezza che non ha impieghi e nemmeno li cerca. La maggioranza dei lavoratori è impegnata nei servizi, in cui il numero delle donne  ha superato quello degli uomini; i salari bassissimi, insufficienti per vivere, impongono il ricorso alle cucine federali che danno da mangiare a circa il 20% della popolazione, compresi anche molti insegnanti.

L’unica possibilità di cure risiede in organizzazioni di medici che saltuariamente affittano stadi per cure dentistiche e altre cure; la questione degli alloggi  è semplicemente drammatica. Le carceri sono strapiene, gli States con meno del 5% della popolazione  hanno il 25% della popolazione carceraria mondiale; il sistema giudiziario si fonda per l’80% sul ricatto del patteggiamento, a danno dei più deboli.

La massa di moneta vagante ha creato non pochi problemi in vari Paesi ma ne ha avviato un parziale sviluppo; una straripante corrente in cerca di sicurezza ha favorito la crescita dei paradisi fiscali, ormai diffusi in tutto il globo, ma soprattutto negli States, o il riparo, a pagamento in altri porti sicuri, come la Germania.

Nel contempo il governo americano annaspa nei debiti ed è stato più volte sull’orlo del default, non ultimo nei mesi scorsi e il capitalismo occidentale, nonostante i tassi zero e a quantità di Qe, che lo ha graziato, non esce dalla crisi.

In Cina c’è un altro modello che non si fonda sui bassi salari. Sembra quasi di assistere a una società organica che si preoccupa di uno sviluppo equilibrato di tutte le sue componenti .

La crescita cinese allarma gli States che vedono i loro primati prossimi ad essere raggiunti e in alcuni casi superati, soprattutto nelle alte tecnologie. Vedono scricchiolare le loro alleanze sotto l’assalto delle merci e delle risorse auree cinesi.

Quando nel febbraio 2022 viene siglata una sorta di alleanza cino-russa, negli ambienti di Washington scoppia il panico. Bisogna intervenire con forza per fermare un andamento così negativo, prima che sia troppo tardi. Sono ancora potenti, una terribile potenza e dunque cercano il modo di  imporsi sulla Cina sulla Russia e sulla pretesa di autonomia della UE.

Richiamano gli stati dell’Occidente ad una adunanza militare perché non è in gioco soltanto la perduta supremazia dell’Occidente, ma il futuro del suo capitalismo.

Le Borghesie, i governi, la Ue, gli stati anglofoni rispondono “pronti alla guerra”, una via apparentemente senza uscita, se non ci fosse il movimento reale, il fermento che anima interi continenti, giovani e desiderosi di futuro, le contraddizioni interne e gli interessi materiali che dilaniano il fronte armato.

* dalla pagina Telegram  Pianocontromercato

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1 Commento


  • Giuliano

    Non è stata una evoluzione ma una perfida occupazione, la mafia ha vinto ed occupato tutto escluso i la Russia e la Cina. Non meraviglia nessuno che la mafia sia sparita completamente evaporata, mentre, nel medesimo momento, un qualcosa di non meglio definito, con una forza di di comando e controllo che viene realizzato tramite teste di legno poste nei ruoli di comando, la cupola di comando non ha ne nome ne volto , proprietaria di immense ricchezze che non sono interessate trovare impieghi in possibili investimenti ma che imperversano nel mercato finanziario, e sono completamente disinteressata alle sempre più pesanti e precarie condizioni sociali delle popolazioni. Hanno realizzato l’impero della mafia, mentre noi giochiamo con delle marionette come i Zelensky,, Biden, Draghi, l’Europa. Ci mantengono in un clima di continua apprensione, tra guerre, armi nucleari, pandemie, omicidi politici ed altre e piacevoli bazzecole in perfetto stile mafioso. Veramente un gran bell’articolo FRANCO FERLINI, hai dipinto una triste e purtroppo vera realtà dell’umanità.

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