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Democrazia e multinazionali. Per esempio, Musk

Il rapporto tra democrazia e potere effettivo è un tema trattato con molte difficoltà dalla filosofia politica liberale, che preferisce di gran lunga arrovellarsi sulle “forme istituzionali” e i meccanismi elettorali anziché centrare il punto su chi decide davvero, in che misura, in che modo. In virtù di quale potere.

E quindi non ci sembra strano che la questione emerga dal fondo del baule solo quando si deve affrontare il rapporto tra politica ed economia in un paese, o in un sistema, diverso dal capitalismo neoliberista occidentale.

E ancor meno sorprende che il nodo venga fuori su uno dei megafoni principali di questo capitalismo – il Wall Street Journal – per di più in imbarazzo per il “peso politico” straripante assunto da uno dei suoi principali campioni.

L’articolo di Greg Ip è inquietante fin dal titolo: “Ecco come Elon Musk è arrivato a influenzare i destini delle nazioni”. Perché dovrebbe essere scontato per un “liberale” balzare sulla sedia quando scopre che un singolo imprenditore è praticamente più potente di intere nazioni.

Tanta retorica sulle “autocrazie” (qualsiasi paese fuori dall’influenza diretta degli Stati Uniti, a prescindere dai sistemi politici ed economici) e poi ti ritrovi in casa uno che fa il bello e il cattivo tempo ovunque? Anche o soprattutto in casa tua.

Ma al Wall Street Journal non sono certo diventati socialisti e dunque lo “scandalo” è molto mirato sul singolo individuo e sul paese “influenzato”, non certo sul “sistema” che ha reso possibile questo “problema”.

La questione è infatti posta da un’angolatura molto yankee-centrata: “L’influenza internazionale di Musk pone un problema interessante per gli Stati Uniti: in un mondo in cui la leadership geopolitica dipende sempre di più dalla tecnologia, Musk dovrebbe essere una delle risorse più importanti degli Stati Uniti. Tuttavia, è un attore di fatto indipendente.

Quindi scandaloso non è il suo smodato potere internazionale, ma il fatto che questo venga esercitato in modo autonomo rispetto allo Stato. E non uno staterello qualsiasi, ma addirittura l’ex unica superpotenza.

Persino in un campo che dovrebbe rappresentare il massimo della centralizzazione strategico-militare – l’aerospaziale – Musk si muove per conto suo, spesso imponendo le proprie scelte anziché limitarsi ad aspettare le ricche commesse della Casa Bianca o del Pentagono, come formalmente fanno Lockheed Martin, Boeing, ecc (sappiamo bene che ‘sostanzialmente’ la storia è bene diversa, visto che fu addirittura un presidente ex generale come Eisenhower a denunciare il peso determinante del “complesso militare industriale”).

Questa influenza “mascherata” – se esercitata con spirito “nazionale” – non preoccupa il Wall Street Journal, che cita con malcelata “comprensione” le glorie della Compagnia delle Indie per  l’impero inglese o di imprenditori Usa come Hearst, Ford, Soros o Hammer, altrettanto in grado di pesare sulle scelte della Casa Bianca anche in tema di guerra.

Il problema per Ip è la completa autonomia strategica di Musk, che più volte in poco tempo è entrata in collisione con la politica estera e militare Usa. Ad esempio sull’Ucraina e Taiwan.

E non certo perché Musk sia un “pacifista” – tutt’altro – ma perché “sensibile” dal lato del portafoglio, specie là dove le sue industrie in effetti corrono qualche rischio politico, al contrario che negli Usa.

Per dei marxisti è la scoperta dell’acqua calda. Il capitale multinazionale ha interessi diversi da quelli degli Stati e misurano soltanto il grado di “libertà” che viene loro concessa in questo o quel territorio.

Anzi: il concetto stesso di “libertà”, per un capitalista, è assolutamente “proprietà privata”. Non gli interessa affatto che tutti possano essere o sentirsi liberi (dal bisogno di trovare un reddito, magari da schiavi), ma che la propria impresa possa agire come meglio crede. La “libertà” dipende dal “peso”, non è per tutti…

Una constatazione che mette radicalmente in questione l’idea stessa di “democrazia” esistente in Occidente (e fatto proprio, quasi in modo subconscio, anche da tanti che si sentono “di sinistra”), di fatto limitata alla possibilità di “dire la propria” (senza alcun potere effettivo e comunque con qualche rischio repressivo) ed esercitare il “diritto di voto” (anche se i meccanismi elettorali sono ovunque disegnati apposta per renderlo ininfluente, relegato a scelta tra la padella e la brace in nome della “governabilità”).

Una constatazione, insomma, che induce in contraddizione il povero liberale pro-impresa. Che è costretto a sparare – concettualmente – una scemenza come la seguente: “forse solo negli Stati Uniti poteva avere così tanta autonomia politica. Musk è in conflitto quasi continuo con lo Stato, dalla Federal Trade Commission al Dipartimento di Giustizia.

In Cina o in Russia, dove il potere passa da un solo uomo, questo potrebbe costare la propria attività, libertà o entrambe. Negli Stati Uniti, dove il potere è diffuso tra diversi rami e partiti, Musk prospera.”

Tradotto: “purtroppo” viviamo in un sistema con una pluralità di poteri (curioso che non gli venga in mente di definirlo una “democrazia”) e dunque uno come Musk può spadroneggiare in virtù della sua ricchezza e della centralità delle sue tecnologie. Laddove invece ha a che fare con un potere politico solido (“il potere di un uomo solo” non esisteva neanche al tempo delle monarchie assolute) ecco che si deve fermare davanti a un sistema “chiuso” alle influenze di poteri incontrollabili, specie se “stranieri”.

Manca solo il “consiglio” a seguire l’esempio… O di attendere che la “concorrenza” eroda il potere di Musk, come se tre o quattro soggetti che si distribuiscono tutto quel potere potessero essere meno invasivi e “autonomi” rispetto alle scelte dello Stato.

E’ fin troppo evidente che della “democrazia”, al Wall Street Journal, non importa nulla. Se Musk fosse più “governabile” da potere economico e politico Usa non ci sarebbe alcun problema. E come sempre chissenefrega degli elettori, dei cittadini, del “popolo” (sia del mondo che statunitense, ovvio).

Ma proprio questa indifferenza dimostra – involontariamente, certo – quale sia la situazione contemporanea. Quella in cui aziende multinazionali e multisettoriali (industriali, tecnologiche, finanziarie) condizionano interi Stati, svuotando il potere politico di ogni residua “sovranità”.

Niente da eccepire, dicono laggiù, se il giochino riguarda gli staterelli del resto del mondo, tipo quelli africani o europei. Ma se l’impotenza investe ormai il cuore dell’imperialismo, il problema diventa serissimo.

Quasi mortale.

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Ecco come Elon Musk è arrivato a influenzare i destini delle nazioni

Greg Ip – Wall Street Journal

La maggior parte dei dirigenti d’azienda passa una vita senza provocare incidenti internazionali. Elon Musk lo ha fatto due volte, solo in questo mese.

Prima si è attirato le ire dell’Ucraina per le rivelazioni contenute nella biografia di Walter Isaacson, secondo cui avrebbe rifiutato la richiesta di attivare il suo servizio satellitare, Starlink, sulla Crimea, sventando così un attacco ucraino alla marina russa.

Qualche giorno dopo, Taiwan lo ha criticato per aver detto che la Cina vede l’isola autogovernata come gli Stati Uniti vedono le Hawaii: «Taiwan non fa parte della Repubblica Popolare Cinese e di certo non è in vendita!», ha dichiarato il ministero degli Esteri di Taiwan su X, il sito di proprietà di Musk, precedentemente noto come Twitter.

Questi sono solo alcuni dei punti dell’agenda diplomatica di Musk questo mese, che ha incluso incontri con i leader di Israele, Turchia e Ungheria.

L’influenza internazionale di Musk pone un problema interessante per gli Stati Uniti: in un mondo in cui la leadership geopolitica dipende sempre di più dalla tecnologia, Musk dovrebbe essere una delle risorse più importanti degli Stati Uniti. Tuttavia, è un attore di fatto indipendente.

Sulle orme della Compagnia delle Indie

Naturalmente, da secoli il commercio si mescola con l’abilità politica. Nel 1700, la Compagnia Britannica delle Indie Orientali divenne uno Stato a sé stante, colonizzando l’India alla ricerca di profitti. «Un grande principe dipendeva dal mio piacere; una città opulenta era alla mia mercé», disse Robert Clive, il suo leader de facto, al Parlamento britannico.

Più vicino a noi, William Randolph Hearst spinse gli Stati Uniti in guerra contro la Spagna, in parte per vendere giornali, mentre Henry Ford, un fervente isolazionista, cercò di tenere gli Stati Uniti fuori da entrambe le guerre mondiali. Nel 1940, Ford pose il veto a un contratto per la costruzione di motori per aerei da combattimento di cui la Gran Bretagna aveva bisogno per combattere la Germania nazista.

Durante la Guerra Fredda, Armand Hammer usò la sua posizione in cima alla Occidental Petroleum per coltivare la distensione tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. George Soros ha usato la ricchezza guadagnata scommettendo contro le valute di alcuni Paesi per premere per la democrazia e i diritti umani in altri.

Il controllo della tecnologia

Musk deve la sua influenza non al controllo del petrolio, dei capitali o di eserciti privati, quanto alle tecnologie vitali per la competitività economica, la sicurezza nazionale e l’opinione pubblica.

La Nasa e il Pentagono dipendono fortemente dalla SpaceX, di proprietà di Musk, per andare nello spazio. Come ha evidenziato Gregory Allen del Center for Strategic and International Studies (Csis), SpaceX non è come un tradizionale appaltatore della difesa quasi interamente dipendente dalle vendite approvate dal Governo statunitense, il che significa che Musk sente meno l’obbligo di allineare le sue opinioni con quelle di Washington.

Dopo che la Russia ha messo fuori uso l’altro servizio satellitare dell’Ucraina nelle prime ore della sua invasione nel febbraio del 2022, gli ucraini attribuiscono alla fornitura di terminali di Starlink da parte di Musk il merito di aver ripristinato la connettività e aver aiutato l’Ucraina a evitare la sconfitta.

Musk ha dichiarato di aver rifiutato la richiesta di attivare Starlink sulla Crimea per evitare di essere «esplicitamente complice di un importante atto di guerra e conflitto».

Tesla non è l’unico produttore di veicoli elettrici al mondo, ma è il più avanzato e prestigioso. I leader nazionali pensano, in modo comprensibile, che ospitare una fabbrica Tesla sia un appiglio per il futuro dell’industria.

È per questo che la Cina ha permesso alla compagnia statunitense di aprire una filiale interamente controllata, la prima per una casa automobilistica straniera, a Shanghai nel 2019, scommettendo correttamente che la presenza di Tesla avrebbe rinvigorito i marchi nazionali. Ed è esattamente per questo che l’Arabia Saudita sta discutendo con Tesla di un investimento, come ha riferito il Wall Street Journal. Tuttavia, Musk ha smentito.

Se da un lato l’acquisto di X da parte di Musk si è rivelato immensamente diluitivo dal punto di vista finanziario, dall’altro è stato accrescitivo dal punto di vista politico, garantendo a Musk la possibilità di decidere chi viene ascoltato, amplificato, filtrato o interdetto dalla piattaforma di social media più influente del mondo.

Solo gli Stati Uniti potevano dare vita a un imprenditore come Musk, che da adolescente è emigrato dal Sudafrica al Canada e poi negli Stati Uniti. «Gli Stati Uniti sono letteralmente un distillato dello spirito umano di esplorazione», ha detto a Isaacson.

Tuttavia, forse solo negli Stati Uniti poteva avere così tanta autonomia politica. Musk è in conflitto quasi continuo con lo Stato, dalla Federal Trade Commission al Dipartimento di Giustizia.

In Cina o in Russia, dove il potere passa da un solo uomo, questo potrebbe costare la propria attività, libertà o entrambe. Negli Stati Uniti, dove il potere è diffuso tra diversi rami e partiti, Musk prospera.

L’influenza di Musk sulla politica estera ha suscitato molta costernazione; tuttavia, le aziende intervengono regolarmente su questioni di questo tipo, senza però la stessa reazione che accoglie Musk, una figura polarizzante.

Vulnerabile alla Cina

Tuttavia, più importante dell’indipendenza di Musk dal Governo statunitense è la sua vulnerabilità nei confronti di quello cinese.

Isaacson scrive che le chiusure di fabbriche imposte dalla Cina e poi dalla California per contenere la Covid-19 «hanno infiammato la sua vena antiautoritaria». Tuttavia, solo la California è stata oggetto dell’ira pubblica di Musk, che ha definito fasciste le chiusure e ignorante il funzionario responsabile. Non ha detto nulla di simile pubblicamente sulla Cina, anche quando lo stabilimento Tesla di Shanghai è rimasto chiuso per 22 giorni l’anno scorso.

La deferenza di Musk nei confronti della Cina si estende anche a X. Isaacson scrive che poco dopo il suo acquisto, disse al giornalista Bari Weiss che la piattaforma avrebbe dovuto stare attenta «alle parole che usava riguardo alla Cina, perché l’attività di Tesla poteva essere minacciata».

Non si dovrebbe distinguere Musk per aver preso per le corna i politici americani mentre si inchinava a Pechino, poiché i ceo di molte aziende fanno lo stesso, da Walt Disney a JPMorgan Chase.

La differenza è che il destino delle nazioni dipende molto di più da chi possiede la migliore tecnologia che dal miglior prestito bancario o dal miglior film d’animazione. Il modo più sicuro per attenuare l’influenza di Musk sulle relazioni internazionali è diminuire la sua influenza sulla tecnologia.

La concorrenza è al lavoro per cercare di indebolire la quota di mercato di SpaceX nei lanci e X nei social media. Per quanto riguarda le auto elettriche, ora che i marchi cinesi hanno recuperato terreno, ci si aspetta che Tesla venga estromessa dal mercato cinese, proprio come è successo ad altre aziende straniere una volta che Pechino non le ha più ritenute utili.

Musk potrebbe essere meno vulnerabile nei confronti della Cina quando non avrà più vendite da proteggere.

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