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Un paese di camerieri, ristoratori e albergatori non basta più “a fare Pil”

Il boom del turismo non basta più a fare Pil. Nonostante che a luglio ci sia stato un aumento del +10,0% sul 2022 della spesa dei turisti stranieri in Italia (+20,4% sul 2019) o che anche i passeggeri negli aeroporti italiani si siano mantenuti oltre i volumi pre-crisi (+3,7%), l’economia italiana non cresce.

A soffrire è l’industria che a luglio ha subito una nuova caduta (-0,7%; da inizio anno -1,9%). I consumi, rimasti fermi nel secondo trimestre, hanno avuto un continuo calo nel terzo, con i beni che restano penalizzati rispetto ai servizi. E poi ci sono la precarietà e le basse retribuzioni nel mercato del lavoro che producono un freno ai redditi e al potere d’acquisto dei salari.

Questo scenario, non particolarmente roseo, si rileva da quanto descritto da Confindustria nel suo rapporto sulla congiuntura: “Dopo la caduta nel secondo trimestre, il Pil italiano è stimato debole anche nel terzo e le attese sul quarto non sono migliori: al calo di industria e costruzioni si affianca la battuta d’arresto nei servizi. Non si fermano i rialzi dei tassi Bce, il credito è in caduta insieme alla liquidità, il costo dell’energia torna a salire. Ne risentono consumi e investimenti, mentre latita la domanda estera”. 

L’inflazione è scesa al +5,3% annuo a settembre ma per i generi alimentari la moderazione non si vede proprio (+8,6%). I prezzi energetici al consumo crescono poco (+1,7% annuo), ma a settembre le quotazioni di gas e petrolio sono già risalite (35euro/mwh e 93 dollari al barile).

Per Confindustria l’altro tasto dolente, è quello sui mutui, dove l’effetto provocato dalla Bce, con il rialzo veloce e pesante dei tassi di interesse, ha provocato un raffreddamento della domanda interna nel tentativo di ridurre l’inflazione.

Secondo Confindustria l’aumento dei tassi è di +2,84 punti percentuali fino a luglio 2023, lo stock di mutui è di 425 miliardi di euro, di cui vanno considerati solo quelli a tasso variabile, stimati al 38% del totale (162 miliardi). “Risulta un aggravio di interessi annui pari a +4,6 miliardi, in aggregato. Che pesa da subito, nel 2023, dato che le rate sui mutui variabili si aggiornano mese per mese”.   

Il maggiore onere connesso all’aumento degli interessi è abbastanza concentrato, perché riguarda solo le famiglie che hanno comprato casa con un mutuo variabile, una quota che è stimata pari al 4,9% delle famiglie italiane (1,2 milioni, su 25,6 totali). E non si tratta necessariamente di famiglie povere, infatti in Italia l’affitto è più diffuso tra le famiglie a minor reddito, mentre la proprietà e quindi il mutuo è più diffuso tra quelle a maggior reddito.

Ma così procede e incide anche la corsa del costo del credito  per le imprese italiane (+5,09% a luglio) e peggiora la caduta dei prestiti (-4,0% annuo). Una quota crescente di imprese non ottiene credito (8,2% a settembre). Secondo Confindustria la domanda è frenata da condizioni troppo onerose, ma pesano anche i più rigidi criteri di accesso. La liquidità delle imprese si sta prosciugando (-10,1% in un anno i depositi), mentre aumentano i ritardi nei pagamenti e il deterioramento dei vecchi prestiti.

Emerge da questi dati che lo storico progetto delle destre di fare dell’Italia un paese meramente a vocazione turistica – piegando a questa investimenti, domanda alloggiativa, urbanizzazione, territori etc. – non può funzionare come volano dell’economia. Un paese di camerieri, albergatori, ristoratori per i turisti non ha un futuro. Serve anche un sistema industriale non desertificato come quello che ormai abbiamo, investimenti tecnologici e infrastrutturali “utili”, salari decenti per chi lavora. Prima ce se ne rende conto, meglio è.

Pensare di risollevarsi con i pellegrini nel Giubileo o con l’Expo è una mera e dolorosa illusione. A meno che, come ai tempi passati, non si immagini una economia fondata sul “taccheggio” dei pellegrini lungo la via Francigena o il “saccheggio”dei turisti nelle città d’arte. Ma alla fine la voce si sparge e la pacchia finisce.

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1 Commento


  • Daniela Martino

    Stefano Porcari, questo articolo avrei voluto scriverlo io con i suoi stessi concetti.
    Non ho un record che mi permetta di pesare quanti articoli dello stesso tono siano stati scritti negli ultimi trent’anni, ma se lo avessi costruito nel tempo sono abbastanza sicura che sarebbe semi-vuoto.
    Sono decenni di disprezzo verso gli istituti tecnici, di lavoro tecnico considerato poco cool, non desiderabile.
    Sono decenni che soprattutto al sud si nutre il sogno del turismo che ci fa svoltare, ma per un proprietario con masseria-resort 5 stelle ci sono cinquecento precari stagionali spesso in nero e sempre malpagati.
    In città c’è una pizza al taglio ogni 300 mt, ma i meccanici di biciclette sono più a rischio estinzione dell’orso marsicano.
    Dove abito io !1.200 abitanti in montagna) ci sono due fiorai una gioielleria una miniboutique “tutta-lavanda” e cinque bar ma nessuno che vende legna da ardere (e qui 1 casa su 2 ha ancora il camino). E statene certi: al momento di installare pannelli fotovoltaici e pompe di calore, andremo tutti in ginocchio con i soldi in bocca a far la fila dai pochissimi installatori. Nessuno sa più far nulla, ma tutti hanno l’autobiografia nel cassetto. Ho la brutta sensazione che ormai sia troppo tardi, eppure il flusso in città di fuorisede fuoricorso in lettere e filosofia è inarrestabile.

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