Il pendolo delle banche centrali inizia ad oscillare verso il “ritorno alla normalità”, anche per non mandare in recessione l’intera economia euro-atlantica.
La decisione del presidente della Federal Reserve Usa, Jerome Powell, era attesa col fiato sospeso dagli operatori finanziari e industriali dell’Occidente.
Due anni di aumenti continui dei tassi di interesse – l’unica strategia esistente nel manuale del neoliberismo per quanto riguarda le politiche monetarie di contrasto all’inflazione – sono riusciti in parte a ridurre l’aumento dei prezzi esploso con la guerra in Ucraina e le sanzioni suicide alla Russia (e in parte anche alla Cina, per altre ragioni). Ma al prezzo di stroncare qualsiasi velleità di crescita.
Classicamente, infatti, l’aumento del costo del denaro da prestito influisce negativamente su una miriade di attività economiche – dagli investimenti ai mutui immobiliari – e quindi “congela” le decisioni di spesa in attesa di tempi migliori.
Powell, sulla base dei dati sia dell’inflazione che della produzione (e dell’occupazione) negli Stati Uniti, ha deciso per la terza volta consecutiva – com’era nelle attese – di non toccare i tassi di interesse base (quelli praticati dalla Fed alle banche), ormai arrivati al 5,25-5,5%, il livello più alto del terzo millennio.
Ma soprattutto – e non era affatto scontato – ha annunciato di “vedere lo spazio” per almeno tre riduzioni dei tassi nel 2024. Di fatto l’inizio di una retromarcia – con calma, senza fretta, con prudenza… – rispetto alla politica monetaria degli ultimi due anni.
Non mancano neanche ragioni politiche. Alla fine dell’anno che si apre si terranno le elezioni presidenziali statunitensi, e l’amministrazione uscente mostra segni di evidente difficoltà. Sia nei sondaggi, dove il sempre più dclinante Joe Biden è ormai molto indietro rispetto a Trump. Sia nelle dinamiche parlamentari, tra blocchi degli aiuti per l’Ucraina, richieste di impeachment (gli affari del figlio Hunter, proprio in Ucraina, per cui rischia 17 anni di carcere), ed economia con l’asma.
Un “aiutino” da parte della Fed fa parte del gioco, visto che la banca centrale Usa non è del tutto indipendente (come la Bce) e soprattutto grazie al diverso statuto, che impone a Powell di perseguire due obiettivi: la lotta all’inflazione, ovviamente, ma anche un basso tasso di disoccupazione.
Le borse mondiali hanno ovviamente festeggiato, perché un allentamento monetario – seppure ancora solo annunciato – permette di programmare un maggior numero di attività economiche, quindi una crescita dei profitti più equamente distribuita… tra frazioni del capitale, sia chiaro.
Sommariamente si può dire che calerà un pochino lo strapotere delle banche e della finanza, e potranno rifiatare le industrie propriamente dette.
E anche per i lavoratori organizzati si aprono margini di conflittualità più ampi rispetto ad una fase in cui è stato facile per le aziende piangere sui margini di guadagno troppo stretti a causa degli alti tassi (anche quando non era per niente vero).
La Bce, che comunicherà le sue decisioni oggi, ha già lasciato trapelare che seguirà la stessa strada del “collega americano”. Incredibile, chi l’avrebbe mai immaginato…
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