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Escalation in Turchia. Guerra contro curdi, sinistre e aleviti

La situazione in Turchia sta diventando davvero esplosiva e si moltiplicano gli episodi di repressione anche militare da parte del regime turco mentre le varie organizzazioni curde e della sinistra rivoluzionaria turca tentano di rispondere aumentando il livello dello scontro. 
In un comunicato emesso dopo una riunione d’emergenza i co-presidenti dell’HDP (Partito democratico dei popoli), del DBP (Partito democratico delle regioni, ex BDP), dell’HDK (Congresso democratico dei popoli) e del DTK (Congresso democratico della società) hanno definito l’Akp – il partito islamista del premier uscente e del presidente – un “consiglio di guerra” che ha creato deliberatamente una crisi di sicurezza con l’obiettivo di giocare al ruolo del salvatore della patria e mantenere il suo potere. Appare più che evidente che in difficoltà dopo la sconfitta elettorale di inizio giugno, quando il suo partito liberista e islamista non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, Erdogan stia tentando di rilegittimarsi facendo appello ai più bassi istinti nazionalisti della popolazione turca, rivolgendosi non solo alla sua tradizionale base di consenso islamica conservatrice ma anche ai settori della destra sciovinista ma tendenzialmente laica che da tempo chiedevano la fine delle trattative – per quanto infruttuose – con la guerriglia curda. Equiparando nel suo discorso – ma anche dal punto di vista militare, per quanto i colpi inferti allo Stato Islamico e a chi lo sostiene siano per ora poco più che simbolici – l’asse Erdogan-Davutoglu spera di attirare il consenso di ampi settori trasversali dell’opinione pubblica, spaventati tanto dalla pressione ai propri confini delle milizie islamiste quanto dai crescenti spazi politici conquistati dai partiti curdi alleati con alcuni pezzi della sinistra radicale. 
Nel loro comunicato congiunto l’Hdp, il Bdp, l’Hdk e il Dtk hanno denunciato i continui divieti delle manifestazioni e dei raduni organizzati dalla comunità curda e dalle opposizioni politiche, la censura sulla stampa e sui social media attraverso i quali l’Akp tenta di chiudere la bocca a chi non è d’accordo con la strategia del premier e di un presidente che non sono neanche legittimati da un governo con il sostegno parlamentare. I copresidenti delle forze politiche e sociali del fronte curdo hanno anche affermato però il loro impegno per mantenere la pace e la democrazia, dichiarando che non permetteranno all’Akp di “scatenare la guerra” e chiedendo a tutte le forze democratiche di  “mobilitarsi per fermare la guerra e la violenza nel paese, di porre fine all’isolamento di Öcalan,e di avviare negoziati per una pace durevole in Turchia”.
Dichiarazioni parzialmente distensive che cozzano con i continui attacchi che sia i fronti urbani che la guerriglia del Pkk stanno conducendo ormai da giorni contro le forze di sicurezza turche in tutto il Kurdistan e che alcuni analisti leggono come il tentativo da parte del fronte politico curdo di distanziarsi da quello militare per non subire le conseguenze di una repressione turca che potrebbe scatenarsi non più solo contro i militanti del Partito Democratico dei Popoli e del Bdp ma anche nei confronti dei dirigenti, dei deputati e dei partiti stessi. Del resto la maxiretata che nel fine settimana ha portato all’arresto di 600 persone, la maggior parte delle quali membri delle forze politiche della sinistra curda – oltre che di organizzazioni dell’estrema sinistra turca, comunista e anarchica – dimostrano assai vividamente qual è la strategia del governo di Ankara.
La grande “Marcia per la Pace” convocata da numerose organizzazioni curde e turche per domenica a Istanbul contro il terrorismo islamista e le complicità con Daesh dell’Akp e dei suoi apparati è stata proibita dalle autorità ma i promotori hanno deciso di scendere comunque in piazza ad Aksaray; la polizia è intervenuta con i gas lacrimogeni e i manganelli ed ha sgomberato con la violenza migliaia di manifestanti.
Nelle ultime ore le forze di sicurezza turche hanno realizzato un pesantissimo blitz all’interno del tempio della comunità alevita di Gazi, dove gli abitanti del popolare quartiere di Istanbul e numerosi militanti della sinistra rivoluzionaria stavano vegliando la salma di Günay Özarslan, la militante del Fronte Popolare (Dhkp-C) crivellata di colpi da parte della polizia turca durante un’irruzione nella sua abitazione. 
Dopo che le forze di sicurezza avevano impedito che si potessero celebrare i funerali della militante assassinata e tentato di sequestrare la bara, a suon di lacrimogeni, idranti e arresti, i militanti delle organizzazioni rivoluzionarie avevano eretto barricate attorno al tempio e vi si erano rifugiati all’interno, resistendo per molte ore agli assalti dei reparti antisommossa. Che, alla fine, sono riusciti ad avere la meglio rimuovendo le barricate e, con il sostegno di alcuni membri armati del partito di governo islamista hanno fatto irruzione all’interno del tempio alevita – corrente sciita dell’Islam generalmente progressista e fautrice della laicità dello stato – dedicandosi a distruzioni e pestaggi. 
Gli scontri sulle barricate e nelle strade del quartiere sono stati durissimi, e contro gli agenti sono stati esplosi anche dei colpi di arma da fuoco. Durante gli ultimi giorni i militanti del Dhkp-C hanno attaccato un commissariato in un altro popoloso e conflittuale quartiere di Istanbul, Okmeidani, dove durante gli scontri un agente di polizia è rimasto ucciso. Varie bombe hanno colpito gli uffici dell’Akp ad Izmir ed in altre città, provocando danno ingenti ma nessuna vittima. Alcuni commissariati sono stati oggetto anche di azioni da parte dei fronti urbani del Pkk, mentre la guerriglia ha colpito in Kurdistan una pattuglia di militari turchi. Sabato un’autobomba ha colpito un convoglio dell’esercito ed ha ucciso due soldati e ne ha feriti altri quattro nella città di Lice, a poca distanza da Diyarbakir.
Ieri, invece, nella città di Cizre (nella provincia di Sirnak) un ragazzo di 21 anni è stato ucciso dai colpi d’arma da fuoco sparati dalla polizia contro i manifestanti curdi che avevano eretto barricate per protestare contro i bombardamenti in Iraq e in Rojava e contro la repressione.
Un’altra vittima curda nelle ultime ore si registra a Nusaybin, nel distretto di Mardin. Un ragazzo è stato ucciso quando la polizia e i corpi speciali hanno attaccato con le armi i giovani che nel corso della scorsa notte protestavano contro il governo.

 

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