Le politiche neoliberiste sono patrimonio dell’Occidente. Se la UE le ha rese trattati e vincoli funzionali a riorganizzare le filiere continentali, gli altri organismi euroatlantici le sostengono per continuare a mantenere deboli i lavoratori e le forze organizzate che li rappresentano.
È il caso del Fondo Monetario Internazionale, che a conclusione di una delle sue missioni periodiche di analisi ha lanciato un monito su conti pubblici e PNRR, chiedendo più rigore. “È urgente un aggiustamento fiscale risoluto e tempestivo” è stata la valutazione del board esecutivo.
Il FMI ha sottolineato come ci troviamo in una posizione ciclica dell’economia favorevole. Ma invece di coglierla per rilanciare gli investimenti pubblici e sollevare dalla povertà migliaia di persone, da Washington chiedono che venga usata “per realizzare un avanzo primario pari al 3% del PIL“.
Una richiesta del genere è paradossale, se non addirittura punitiva quando, allo stesso tempo, è stato confermato il rallentamento della domanda domestica, che dal 2,0% dello scorso anno si fermerà a quota 0,1%. In sostanza, la domanda si è fermata, e dal FMI stanno chiedendo di inficiare qualsiasi possibilità di stimolarla.
Sempre dal board dicono che “nonostante la ripresa, i deficit fiscali sono molto più ampi rispetto a quelli pre-Covid e, con l’aumento delle pressioni latenti sulla spesa, il debito pubblico e il fabbisogno finanziario rimangono molto elevati“. Velatamente, stanno dicendo che anche la politica di alti tassi ha peggiorato la situazione delle casse pubbliche.
La strada consigliata è quella di una riforma fiscale che aumenti le entrate, anche “rafforzando la supervisione e il controllo dei crediti d’imposta, razionalizzando la spesa pensionistica e riducendo gradualmente i prestiti garantiti dallo Stato al loro livello pre-pandemia“.
Ancora tagli, dunque, affidando agli investimenti del PNRR il compito di compensare il calo degli altri. Che però sono a termine, e non possono quindi sostituire una pianificazione dello sviluppo credibile.
Ad ogni modo, è ribadito che “un utilizzo incompleto della spesa del PNRR e dell’implementazione delle riforme indebolirebbe ulteriormente la crescita, mentre disavanzi fiscali ancora ampi potrebbero erodere la fiducia degli investitori, indebolendo ulteriormente le finanze pubbliche“.
Viene poi richiesto di rafforzare il settore bancario rispetto a possibili futuri crisi, monitorando soprattutto gli istituti di piccole dimensioni. Allo stesso modo, bisogna evitare oscillazioni nelle prossime emissioni di bond sovrani.
Si prevede che tra questo e il prossimo anno l’inflazione si stabilizzerà intorno all’obiettivo del 2%.
Ma i rischi di turbolenze sono tanti e la crescita “potrebbe essere negativamente influenzata da un’intensificazione dei conflitti regionali, da bruschi rallentamenti nei principali partner commerciali, da un approfondimento della frammentazione geoeconomica, da tassi di interesse significativamente più alti del previsto che potrebbero riaccendere preoccupazioni riguardo ai legami tra debito sovrano-banche-imprese“.
In sostanza, è tutto in mano alle velleità di guerra della filiera euroatlantica e alle scelte della BCE. Non c’è da fidarsi.
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