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Eurostat: chi nasce povero in Italia (e in Bulgaria e Romania) resta povero a vita

L’Eurostat, istituto di statistica continentale, ha da poco pubblicato una serie di dati con cui ha cercato di calcolare il peso della condizione economica di partenza su quella raggiunta in età adulta.

Il fenomeno viene chiamato “trasmissione inter-generazionale degli svantaggi“, ed è molto utile per analizzare il grado di mobilità sociale in un paese.

I risultati hanno mostrato che un europeo su cinque tra i 25 e i 59 anni, se proveniente da una famiglia che viveva tra le ristrettezze economiche, continua a sperimentare le stesse difficoltà da adulto.

Ma l’Italia, al solito, registra record negativi e lo fa anche in questa occasione, salendo sul podio dei paesi in cui l’ascensore sociale è fermo.

Chi, a meno di 14 anni, viveva in condizioni vicine alla o direttamente di povertà continua tutt’ora a trovarsi in questa situazione, soprattutto in Bulgaria (48,1%), in Romania (42,1%) e, infine, nel Bel Paese (34%). In Italia solo il 14,4% registra una buona situazione finanziaria una volta cresciuto.

In particolare, il fenomeno è peggiorato con la pandemia, a ribadire come le classi dirigenti del paese non siano state in grado di affrontare adeguatamente la crisi sanitaria.

Prima del COVID-19 i dati italiani si fermavano rispettivamente al 30,7% e al 15,9%: pur sempre sotto la media europea, ma decisamente migliori.

Uno dei fattori che gioca un ruolo fondamentale è l’istruzione. L’istituto europeo sottolinea che “il tasso di rischio di povertà per le persone di età compresa tra 25 e 59 anni era inferiore di 10,6 punti percentuali per coloro i cui genitori avevano un livello di istruzione superiore (8,5 per cento) rispetto a coloro i cui genitori avevano un livello di istruzione inferiore (19,1 per cento)“.

È da vedere quanto ancora questo elemento sarà così dirimente, vista la precarietà dilagante anche tra i laureati e la crescente mancanza di opportunità nel paese, che spinge migliaia di giovani a emigrare. L’Istat ha calcolato che tra il 2013 e il 2022 se ne sono andate dall’Italia 352 mila persone nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni, e 132 mila avevano un titolo di laurea in tasca.

A volte viene definita ‘iperqualificazione’, quando in realtà significa che non c’è un tessuto produttivo capace di assorbire l’alta formazione del paese. E non parliamo nemmeno di numeri imponenti: nella stessa fascia d’età, nel 2023 i laureati erano il 30,6%, quasi 13 punti sotto la media europea.

Questo è il quadro prodotto dal ‘combinato disposto’ tra la crisi che non ha mai sostanzialmente lasciato l’Occidente dal 2008 a oggi, e la riorganizzazione continentale spinta dai trattati europei. E di certo la realtà italiana è stata una di quelle maggiormente colpite da questi processi.

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1 Commento


  • Antonio

    La realtà è che in Italia non si vogliono assumere personale preparato perché altrimenti i datori di lavoro hanno difficoltà di gestione. D’ altro canto invece assumono personale con basso quoziente intellettivo e di bassa qualifica ,così sono disposti a lavorare in silenzio, non conoscono i loro diritti perché non hanno studiato e sono più facili da gestire. Il tutto perché devono abbattere i costi e aumentare la produttività. Poi non devono lamentarsi se i datori di lavoro non trovano personale qualificato. Pagare per vedere il cammello.Con il sistema attuale in Italia andiamo a sbattere e non ci dobbiamo lamentare.

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