Non c’è tempo da perdere, se si vuole stare in ballo e mantenere le posizioni consolidate.
L’avvio della “guerra mondiale dei dazi” – persino il Corriere della Sera la chiama ormai così – è un fuoco d’artificio continuo, che illumina in qualche modo le differenti relazioni delle varie parti del mondo con il “cane pazzo” dell’ordine mondiale: gli Stati Uniti.
La minaccia “operativa” contro Messico e Canada è stata da ieri momentaneamente sospesa, ma soltanto per un mese. I due vicini diretti degli States, colpiti con un +25% a testa sulle loro esportazioni verso Washington, hanno reagito in modo razionale: una telefonata col tycoon per chiedere “che cosa vuoi realmente?”
Ben poco, all’apparenza. Solo 10.000 soldati a testa per controllare le proprie frontiere da cui passano, secondo l’accusa trumpiana, immigrati e fentanyl (un potente anestetico oppiaceo che sta facendo strage di cervelli nella superpotenza).
Calcolando che le due frontiere sono tra le più lunghe del mondo – oltre 9.000 km quella con il Canada, poco più di 3.000 con il Messico – si capisce bene che quelle maggiori presenze militari, tra turnazioni e difficoltà ambientali, non serviranno a molto. Giusto a far cantare facilmente vittoria a The Donald. Contento lui, si sono detti Trudeau e la “presidenta” Scheinbaum, in fondo che ci costa?
Tra un mese, però, si dovranno risentire, vedere cosa è successo, se c’è stato qualche risultato spendibile per la propaganda. E nel caso contrario ricomincia la tarantella “dazi sì, dazi no”.
Si può capire… Pur essendo guidati da due presidenti “diversamente progressisti” (2chiacchiere e distintivo2 per Trudeau, con qualche robusta ragione l’erede di “Amlo”), Canada e Messico sono due storici alleati obbligati, per gli States. E anche il primo mercato per entrambi i paesi. Difficile rinunciarci senza provare a tamponare…
Molto diversa invece la risposta della Cina, colpita con dazi del 10% che vanno ad incrementare quelli decisi a suo tempo da Biden (questa guerra, insomma, era già cominciata, anche se non verso tutto il mondo): 100% sulle auto elettriche, 50% sui pannelli solari, ecc.
Nel pieno rispetto di un “ordine internazionale condiviso” fino a qualche giorno fa, la Cina ha dichiarato di aver presentato un reclamo all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) “per difendere i suoi legittimi diritti e interessi” in risposta all’aumento delle tariffe unilaterali americane. “La Cina ha presentato un reclamo contro le misure tariffarie statunitensi nell’ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie del Wto”.
Ovvio che il Wto sia da considerare, come tutti gli altri organismi internazionali (dall’Onu in giù), poco più che una sede morta. Ma Pechino vuol far capire al resto del mondo di avere un atteggiamento “legalitario” e paritario, non suprematista come quello Usa.
In più. il ministero del Commercio e l’Amministrazione generale delle dogane cinesi hanno annunciato la stretta sui controlli alle esportazioni cinesi “di articoli relativi a tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio” con effetto immediato “al fine di salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali e di adempiere agli obblighi internazionali come la non proliferazione”.
Materiali strategici di cui Pechino dispone in grande quantità, ma che possono essere commerciati solo con chi accetta la reciprocità e un comportamento “alla pari”.
Drastica e quasi sprezzante, invece, la risposta relativa al fentanyl, definito “un pretesto”. Un portavoce ha infatti rivendicato il ruolo della Cina nella “lotta al narcotraffico”, affermando che il gigante asiatico è uno dei “Paesi più severi al mondo” in questo campo.
Anche perché, ricordiamo, fu proprio l’Occidente – gli inglesi – ad attaccare la Cina, quasi due secoli fa, per imporre laggiù il commercio dell’oppio prodotto in Afghanistan, quando Londra controllava l’India e il Kyber Pass.
Al contrario, sono gli “Gli Stati Uniti[che] devono valutare e risolvere il loro problema del fentanyl in modo obiettivo e razionale e apprezzare la buona volontà della Cina invece di minacciare altri Paesi con aumenti arbitrari dei dazi”. Insomma, se siete un paese di tossicodipendenti, vedete di curarvi invece di rompere le scatole al mondo…
Infine, per far sentire anche un po’ di ironia sulla “primazia artistica” o tecnologica, la Cina annuncia di aver inserito Pvh, il gruppo dietro ai brand Calvin Klein e Tommy Hilfiger, e Illumina Inc. (società specializzata in biotecnologie), nella lista delle “entità non affidabili” per aver “violato i principi del mercato, interrotto gli scambi regolari e adottato misure discriminatorie nei confronti delle aziende cinesi”.
Trema invece l’incerto insieme europeo, che non ha assolutamente una visione – né interessi economici – unitari.
“Se si considerano sia il commercio di beni che quello di servizi, il deficit degli Stati Uniti nei confronti dell’Unione europea è di soli 50 miliardi. Quindi crediamo che attraverso un impegno e una discussione costruttivi possiamo risolvere questo problema – ha spiegato il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic -. Al contempo è però molto chiaro che se saremo colpiti in modo ingiusto o arbitrario, risponderemo con fermezza. E’ stato confermato molto chiaramente dai leader Ue” riuniti ieri a Bruxelles.
Non è che l’inizio, il bello deve ancora venire…
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