Uno studio reperibile nei documenti del Senato afferma che “per ogni euro di valore aggiunto creato dal settore Difesa, si generano un euro e sessanta centesimi addizionali di valore aggiunto sull’economia”. E’ questo il concetto sul quale nell’immediato dopoguerra negli Stati Uniti esplose il complesso militare-industriale denunciato da un presidente USA – Eisenhower – che pure era stato un militare.
In Italia, rivela il Corriere della Sera, ci sarebbe un “piano segreto” per avviare la riconversione industriale nell’auto dal civile al militare. Secondo il retroscena del Corriere, di questo si è già cominciato a parlare nel governo tra i ministeri dell’economia, quello della Difesa e la stessa Meloni, in occasione della discussione sul dossier Stellantis.
Il quotidiano cita virgolettati alcuni passaggi di questo documento “Se il nostro obiettivo è tentare di mettere insicurezza i lavoratori e la Germania sta riconvertendo in armamenti preparandosi a spendere duecento miliardi, l’Italia deve adeguarsi per non perdere la filiera”. Perciò il governo deve immaginare come aiutare il passaggio al comparto bellico.
Il ragionamento ha una sua base materiale. Gran parte dell’industria italiana del Nord opera come subfornitura di componenti per le industrie tedesche. Se queste cambiano prodotto – passando dal civile al militare – tutta la catena della subfornitura deve adeguarsi per non perdere le commesse. Insomma una ulteriore conferma della subalternità dell’industria italiana dall’estero.
Già un anno fa Lettera 43 segnalava un seminario a Bergamo con un centinaio di imprese attratte dalla riconversione dalla componentistica civile a quella militare. “Ad agevolare questa transizione nella transizione c’è la grande volontà di gruppi italiani che chiama «aziende-faro», come Fincantieri e Leonardo, che stanno mettendo in campo progetti interessanti per rafforzare l’affidabilità delle filiere e questo processo rappresenta per le aziende della componentistica automotive un’occasione irripetibile” – scriveva nel marzo 2024 Lettera 43 – “Già ci sono un paio di casi-pilota come il gruppo Camozzi e la Elcom di Manerbio che stanno collaborando con le aziende faro e il cui lavoro è molto apprezzato. Del resto in soldoni le aspettative di crescita dell’aerospazio e difesa solo in Italia per il 2025-30 parlano di 7-8 miliardi di crescita”.
Del resto in questi anni la filiera produttiva della Leonardo si è estesa enormemente, mentre Mediobanca in un recente rapporto invita esplicitamente a investire nell’industria militare.
Il problema è, come il solito, il reperimento dei finanziamenti. La Germania ha annunciato prima 100 e poi 200 miliardi di spese militari. Un esempio lampante è quello della tedesca Rheinmetall di cui il nostro giornale ha parlato ieri. L’Italia è alle prese con un debito pubblico già stellare. Solo l’emissione di eurobond destinati specificatamente alle spese militari potrebbe creare il gruzzolo necessario.
Ma la vera domanda sta nella risposta. Se l’industria italiana ed europea vede la sola via d’uscita dalla crisi industriale nella produzione di armamenti e nell’economia di guerra, quale è il mercato di sbocco di queste produzioni? Gli anni Trenta dello scorso secolo ci hanno dato una risposta… terrificante.
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