Sui mercati non sono passati inosservati i forti rialzi degli interessi sui titoli di stato di tutti i principali paesi europei. C’è stata una vera e propria corsa a vendere Btp italiani e Oat francesi, ma soprattutto Bund tedeschi, i cui rendimenti sono arrivati ad aumentare di 29 punti base: secondo Bloomberg non si vedeva una tale impennata dai tempi della caduta del Muro di Berlino.
Infine, il tasso di interesse è poi sceso, attestandosi al 2,68%, ma ha comunque innescato il rialzo anche per i titoli decennali italiano (3,76%), francese (3,35%) e spagnolo (3,30%). Tutti gli esperti del settore hanno individuato l’origine di questa dinamica nei passi che la Germania ha intrapreso per sostanziare il riarmo europeo promosso da Bruxelles.
Martedì, infatti, Cdu, Csu e Spd – i cristiano-sociali e i social-democratici tedeschi – hanno stretto un accordo per un sostanzioso pacchetto fiscale che, per le spese militari, porterebbe a superare il ‘freno al debito’ imposto dalla Costituzione. Che il piano vada in porto dipende dal fatto che abbiano i voti per modificare la legge fondamentale della Germania, quando il 25 marzo si insedierà il Parlamento.
Lasciamo da parte il fatto che, nel caso, la rinnovata unità tra il ‘centro-destra’ e il ‘centro-sinistra’ tedeschi verrà trovata negli obiettivi di riarmo, il che potrebbe diventare un modello anche per altri paesi europei. Rimane il fatto che i mercati hanno reagito immediatamente a un accordo che significherà una vera e propria rivoluzione per i conti di Berlino.
Il pacchetto prevede l’esclusione dal calcolo del deficit delle spese per la difesa superiori all’1% del Pil e l’istituzione di un fondo speciale da 500 miliardi di euro per investimenti infrastrutturali (che non abbiamo dubbi verrebbero indirizzati verso la mobilità militare). Sono poi previsti anche 100 miliardi per le spese centrali e altri fondi ai governi locali.
Secondo le stime di Commerzbank, in questo modo il debito tedesco – che nel 2024 era al 63,6% del PIL – potrebbe crescere velocemente, con alcuni analisti che, immaginando una spesa per la difesa al 3,5%, calcolano un aumento del rapporto debito/PIL del 2,5% all’anno: entro una decina d’anni esso arriverebbe al 90%.
Insomma, Berlino si troverebbe ad emettere molti più titoli, e ciò porterebbe a modificare profondamente l’attitudine degli investitori, che fino a oggi hanno visto il Bund come un bene rifugio: la richiesta sarà quella di un premio per il rischio maggiore, cioè interessi più alti. Le prime avvisaglie sono quelle viste ieri.
Per dirla in poche parole, che valgano non solo per il caso emblematico della Germania ma per tutti i paesi UE, il riarmo non sarà solo spese aggiuntive, ma anche spese per pagare gli interessi sul debito in costante crescita. Questo perché il problema di fondo è negli stessi vincoli europei da tutti sottoscritti.
I Trattati europei non prevedono giochi contabili, perché la borghesia continentale ha costruito dei meccanismi feroci per i perdenti del continente, che ora però gli si rivolgono contro. Attivare la clausola di salvaguardia per armi e armamenti, infatti, non significa cancellare l’insieme di altre tagliole, quale le procedure di infrazione sul debito.
E anche con deroghe e proroghe, in generale un’espansione dell’indebitamento di questo tipo, con il circolo vizioso che verrebbe innescato dal crescente servizio sul debito associato al mantenimento della cornice dei Trattati, porterebbe a una profonda instabilità dei conti dei paesi UE, persino della Germania.
Siccome la classe dirigente europea non sembra spingere – e probabilmente non ne ha nemmeno le capacità politiche e culturali – verso un netto cambiamento delle fondamenta del progetto comunitario, l’unica soluzione rimasta sarebbe quella di un ombrello BCE. Cioè, che la BCE vari un nuovo piano di acquisti di quegli stessi titoli (o addirittura emetta dei propri Eurobond).
Ciò metterebbe al riparo, almeno parzialmente, dalla speculazione e porterebbe alla diminuzione dei tassi di interesse. Ma non si è sentita una voce che abbia parlato della BCE, la quale anzi si appresta ad un altro probabilissimo taglio dei tassi di interesse con i ‘falchi’ che si oppongono perché, del resto, il basso costo del denaro non ha riattivato gli investimenti, vista l’asfittica domanda interna.
Nonostante fino ad oggi la politica monetaria abbia fatto da surrogato a quella fiscale, bloccata appunto dai vincoli europei, i vertici della UE non sembrano pronti a fare quel salto di qualità della costruzione comunitaria che Draghi ha chiesto più volte (forse dimenticandosi che a quei vertici c’è stato pure lui).
Ma anche lo facessero sarebbe, per chiunque guarda a un’alternativa sistemica, persino peggio. Nel senso che se davvero la UE riuscisse a diventare una realtà imperialistica compiuta, capace di giocarsela se non alla pari, almeno autonomamente nello scenario globale, sarebbe solo un fattore di moltiplicazione dei punti di tensione internazionale nella crisi strutturale che viviamo.
Tanto più se questo salto di qualità avvenisse in virtù della sua proiezione militare, ma anche indipendetemente da essa. Per riassumere, la UE rimane il problema principale da affrontare, nel Vecchio Continente, per imprimere una rottura al piano inclinato della guerra su cui ci stanno portando le classi dirigenti dell’area euroatlantica.
Persino la garrota dei Trattati europei fa a pugni con le esigenze che Bruxelles si trova a fronteggiare nell’attuale fase della competizione globale, ma il nodo fondamentale non risiede nel fatto che alla fine i soldi per le armi li trovano, né cambierebbe la questione quegli stessi miliardi venissero destinati alle spese sociali.
Se le classi dirigenti europee fossero in grado di reimmaginare – e di questo comunque dubitiamo – un modello di sviluppo in cui i settori popolari godrebbero di maggiori dividendi della ricchezza socialmente prodotta, lo farebbero solo nell’orizzonte della creazione della UE imperialista, con tutti i pericoli conseguenti (innanzitutto per i popoli del vicino Nord Africa e Medio Oriente).
Il punto delle contraddizioni rimane la cornice impostata dai Trattati europei. Chi l’ha costruita può rendersi conto per tempo di quanto sia inadeguata ai tempi, oppure proseguire col pilota automatico e portarci al macello. Ma in ogni caso non ci sarà alternativa per noi se non si attacca il problema alla radice, approfittando degli spazi apertisi con l’evidente sbandamento in cui si trova ora la UE.
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