Ci sarà modo e tempo per approfondire i vari aspetti di questa decisione, e vi proporremo i contributi migliori dal nostro punto di vista.
Ma intanto si può dire che con quesat mossa la Bce si assume un ruolo decisivo nel processo di costruzione europea. Le “condizionalità” che pone agli Stati per “aiutarli” sono tali da precostituire un governo esterno e preponderante a ogni singolo paese. Per la “democrazia” di Tocqueville non è una grande giornata. Il ruolo “indipendente” della banca centrale è diventato il ruolo sovraordinante, in bbase alle “competenze tecniche” dei banchieri centrali, ovvero al loro indirizzo teorico e ideologico. Gi interessi della finanza europea – non genericamente “dei mercati” – diventano il baricentro di questa azione. “Salvare” la moneta unica è del resto la precondizione sine qua non per far avanzare il processo di unificazione secondo lo schema un po’ idiota messo in piedi col trattato di Maastricht.
La crisi dunque non viene affatto superata, ma evolve a un nuovo stadio.
Non viene superata perché, per quanto grande ed economicamente forte sia, l’Europa non è il centro di gravità dell’economia globale. E perché la sovraproduzione generale di capitali – monetari, umani, tecnologici, mercantili – è tale da non consentire una ripresa dell’accumululazione in queste condizioni.
Evolve a un nuovo stadio perché la nuova configurazione dei poteri non corrisponde esattamente a quella precedente. Il ruolo secondario che viene ad assumere la Germania e la sua banca centrale, Bundesbank (che si è clamorosamente spaccata al suo interno, con Asmussen favorevole alla scelta e Weidmann contrario), è una novità assoluta. Nonostante sia il primo contributore in cifra assoluta, il suo peso politico non è più preponderante.
Ma vediamo le prime reazioni della stampa mainstream.
Gli effetti collaterali
Lucrezia ReichlinLa la conferenza stampa più attesa nella storia della Banca centrale europea. Mercati, governi e cittadini aspettavano di capire se Draghi avrebbe ottenuto il consenso nel consiglio per mettere in opera quegli interventi straordinari sul mercato dei titoli di Stato che aveva annunciato a fine luglio.
Gli interventi ci saranno, nonostante l’opposizione esplicita della tedesca Bundesbank. È un avvenimento importante, un nuovo capitolo nella storia dell’Unione monetaria, una condizione necessaria per la soluzione della crisi dell’euro, ma rimangono ombre e rischi. La Banca centrale europea (Bce) farà acquisti di titoli di Stato con scadenze fino a tre anni per stabilizzare la differenza di tassi tra Paesi (il cosiddetto spread). Differenziali giudicati irrealistici rispetto alle condizioni economiche fondamentali.
Lo farà senza limiti quantitativi, ma solo per quei Paesi che si sottopongano a una stretta supervisione delle loro politiche di bilancio e di competitività. Rinuncerà al suo ruolo di creditore privilegiato, agirà, in questo caso, e si prenderà i rischi come qualsiasi altra banca. Su tutti i fronti, quindi, farà quanto promesso.Per la Spagna e per l’Italia questo significa evitare il peggio e guadagnare tempo per perseguire le politiche di contenimento del debito. Ma anche per il futuro dell’euro nel suo insieme l’annuncio è di grande importanza. Se queste misure saranno attuate con tempestività, accompagnate da una comunicazione chiara e trasparente, si può sperare che si crei una nuova fiducia tra gli investitori. Nell’ultimo anno, i flussi di capitali extra- europei verso l’Europa e quelli del Nord Europa verso il Sud si sono arrestati.
Questo blocco di fatto del processo di integrazione finanziaria, che strozza il credito nei Paesi fragili, non è compatibile con la moneta unica. Disinnescarlo è il compito principe della Bce. La coscienza di questa responsabilità è quello che guida le decisioni di Francoforte.
Ma veniamo alle ombre e ai rischi. Primo, il programma può funzionare solo se gli investitori percepiranno che il processo decisionale che lo accompagna non sarà caotico e connotato da una divisione all’interno del consiglio Bce tra Europa forte e Europa debole. Questo renderebbe il consiglio simile a un Parlamento intergovernativo, diviso negli interessi e paralizzato nell’azione. L’efficacia della politica monetaria si basa sulla trasparenza e la credibilità.
Per questa ragione la Bce aveva, dalla sua costituzione, insistito su una comunicazione a una sola voce, quella del presidente. Con il dissenso esplicito e persistente della Bundesbank questo è finito. Secondo, la nuova politica monetaria può avere successo nel preservare l’euro solo se si prenderanno altre misure a livello europeo.
Di queste misure, come l’unione bancaria, si è molto parlato ma l’Europa rimane profondamente divisa. Le differenze sono complesse e il loro superamento richiede un processo politico quanto mai periglioso. Il terzo problema tocca il cuore dell’architettura europea ed è quello della condizionalità. Dando aiuti a Paesi ma legandoli al rispetto di precise condizioni, la Bce deve entrare in temi economici che vanno molto al di là di quelli che competono alla politica monetaria.
L’indipendenza della Banca centrale dai governi è un concetto chiave della costruzione della moneta unica che viene dalla tradizione tedesca ed è motivato dal successo della Bundesbank nel dopoguerra. La condizionalità, invece, implica una relazione stretta tra politiche monetarie e di bilancio e mette a repentaglio l’indipendenza. In questo senso è un paradosso che sia proprio la Germania, sostenitrice storica della separazione tra banca centrale e governo, a chiedere un impegno di Francoforte sul fronte delle politiche di bilancio nazionali.
L’ultima ombra è la più seria. La politica monetaria può aiutare, ma non risolve il problema di Paesi che rimangono intrappolati in una crescita negativa e non riescono a riformarsi. Draghi ha fatto la sua parte, ma ora spetta agli altri fare la loro: governi e partiti del Nord e del Sud Europa, sapendo che la situazione rimane molto grave e il sentiero per uscirne è altrettanto stretto.
dal Corriere della sera
«Herr Nein» Weidmann resta isolato nella Bce. E la Buba dirama un contro-comunicato: sono aiuti mascherati
Vittorio Da Rold «L’Eurotower non è la Bundesbank, questa è la Bce», avrebbe sibilato alla fine delle discussioni un banchiere centrale al collega tedesco che non accettava la resa all’acquisto di bond dei paesi con spread troppo alti. Ma il presidente della Buba, la banca centrale tedesca, Jens Weidmann, è rimasto irremovibile sulla sua posizione anche se isolato sul previsto piano di acquisti di bond da parte della Bce.
Poi è arrivata la conferma ufficiale della stessa Bundesbank che in una nota ha detto che il suo Presidente, Jens Weidmann, «è contrario al piano di acquisti illimitati di titoli di Stato da parte della Bce», precisando che il piano «potrebbe far slittare le riforme» nei Paesi a rischio.
Per il numero uno della Bundesbank il piano annunciato da Draghi «è in pratica un finanziamento ai Paesi stampando banconote». Non solo. La politica monetaria, prosegue il comunicato, «rischia di essere assoggettata a politiche di bilancio. Non deve essere permesso al piano di acquisti di titoli di mettere in pericolo la capacità della politica monetaria di salvaguardare la stabilità dei prezzi nell’eurozona». Un attacco duro e articolato a tutto tondo contro la politica monetaria di Draghi.
Una sorta di contro-comunicato, come se la Federal Reserve di New York sconfessasse il comunicato ufficiale della Federal Reserve di Washington. Un’assurdità. Ma se Weidmann non si arrende appare chiaro il suo isolamento visto che neppure il presidente della Banca centrale olandese e membro del direttorio della Bce, Klaas Knot, un rigorista non é contrario ai progetti del presidente della Bce, Mario Draghi.
Insomma Draghi è riuscito a isolare Weidmann, seppure egli sia il maggior azionista della Banca centrale europea. Un capolavoro diplomatico ottenuto con l’appoggio politico del cancelliere Angela Merkel. Anche il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble è intervenuto sul caso per placare l’opinione pubblica tedesca e dire che non vede «alcun conflitto tra il presidente della Bce Mario Draghi e il presidente di Bundesbank Jens Weidmann». Il ministro lo ha detto intervenendo a Francoforte a un convegno organizzato dal quotidiano economico Handelsblatt. «E se anche lo vedessi – ha aggiunto Schaeuble sornione – non farei alcun commento».
dal Sole 24 Ore
Bce, ecco il bazooka anti-spread. Ma per chi chiede gli aiuti arriva la tutela del Fmi
I paletti rigidissimi hanno convinto la Merkel a sostenere
la linea di DraghiTONIA MASTROBUONI
Ormai non si parlano più. Ad agosto erano riusciti a evitare lo scontro perché uno era in ferie. Ieri i due tedeschi della Bce, Jorg Asmussen e Jens Weidmann si sono trovati su due fronti opposti. E hanno votato uno sì e l’altro no al terzo piano di acquisti di titoli di Stato deciso dall’Eurotower, l’Omt. Asmussen è il primo tedesco ad appoggiare una decisione che è stata finora la “linea del Piave” per i suoi connazionali: il primo programma ha portato alle dimissioni dell’ex presidente della Bundesbank e candidato alla Bce in pectore, Axel Weber, il secondo alla fuoruscita del capo economista Juergen Stark. Questo vuol dire, fra l’altro, che Mario Draghi ha ricompattato anche l’organismo più ristretto del vertice, il comitato esecutivo.Asmussen ha sottoscritto un piano di acquisti che nella testa dell’italiano doveva andare al di là dei vecchi piani inaugurati dal suo predecessore Trichet, perché doveva convincere i mercati: senza dichiarare ex ante la quantità, senza dare limiti temporali, ed eliminando la regola di “seniority”. I bond che Francoforte si prenderà in carico non saranno privilegiati e correranno dunque gli stessi rischi di quelli acquistati dagli altri. Tre caratteristiche che hanno messo ieri il turbo alle Borse e allegerito gli spread.
Il fatto è che 21 banchieri centrali su 22 condividono la diagnosi drammatica di Draghi: la politica monetaria non riesce più a correggere le storture dei mercati e gli spread non dipendono più dai fondamentali dei Paesi, come ha dimostrato anche uno studio della Banca d’Italia diffuso nei giorni scorsi. Comanda la percezione che l’euro sia a rischio. Però, ha ripetuto ieri Draghi, «l’euro è irreversibile» e i mercati devono capire che è un azzardo scommettere sulla sua rottura. Analisi totalmente condivisa da Asmussen che per difenderla, nelle scorse settimane, ha preso a prestito le parole del presidente.
Non va dimenticato che il terzo angolo – non casuale – della consonanza tra Draghi e Asmussen è il governo di Angela Merkel. E’ lei la chiave per capire le divisioni tedesche nella Bce. La cancelliera, strattonata dalla destra del suo partito e dai liberali schierati con la Bundesbank, non ha mai smesso di appoggiare la linea dell’italiano dal 2 agosto scorso. Anche ieri ha garantito il suo endorsement. L’appoggio della prima economia europea, quando si parla di salvare giganti come la Spagna o l’Italia, è imprescindibile. Merkel è alla vigilia di un anno elettorale durante il quale non può che cercare di salvaguardare l’integrità dell’eurozona: sulle macerie della moneta unica sarebbe difficile immaginare una conferma alla cancelleria. Però è anche consapevole che c’è una parte crescente del Paese sempre più insofferente verso la catena di salvataggi che sembra non finire mai.
Un semicommissariamento di Spagna e Italia che completerebbe il quadro di un’Europa periferica integralmente sotto tutela le garantirebbe un percorso meno accidentato verso la terza rielezione. Così, il consenso della cancelliera a Draghi è legato a un dettaglio non trascurabile: la «condizionalità». Il presidente della Bce ha legato i futuri interventi anti-spread al fatto che i paesi chiedano prima aiuti al fondo salva Stati Efsf o all’Esm. Il bazooka è carico ma per sparare dovrà aspettare che la Spagna o l’Italia chinino il capo a un piano di risanamento. Qui entra in gioco un secondo dettaglio molto “germanico” dello scudo draghiano: il ruolo del Fondo monetario internazionale. La Bce è della stessa opinione di Berlino: le condizioni dovranno essere pesanti, contrariamente a quanto concordato al vertice Ue di giugno e a quanto Roma e Madrid stanno tentando di ottenere.
Italia e Spagna continuano a negare la necessità di un aiuto europeo. Ma fonti della Bce raccontano che il memorandumper Madrid circola già ed è «molto pesante». Impegnerebbe la Spagna – anche per i governi futuri – a ricapitalizzare le banche, a una revisione profonda della governance delle Cajas, crocevia degli interessi politici, e a una riforma del lavoro. Ci si chiede se si arriverà ai controlli trimestrali della Trojka. Se ne parlerà all’Eurogruppo della prossima settimana. Da ieri è chiaro cosa ne pensa la Bce.
da La Stamoa
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Paul De Marco
Non lo dimostra, ma il Monti è morto di gioia ..! Figuriamoci: Ha ricevuto l’impegno dopo la lettera di Trichet; ora, dopo il OMT de Sig. Britannia alias Draghi, dovrà andare al FESF-MES per ricevere le “condizionalità” senza potere negoziare niente.
Siamo arrivati a questo punto nel nostro Paese. Ovviamente, ci sono politici che non hanno mai detto nulla di civile al momento giusto che vogliono un governo Monti-bis pur di conservare la loro paga di deputati.
Paul De Marco