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Napoli. Mettere fine alla mattanza dei giovani

Gennaro, 17 anni, freddato ieri notte nelle strade del Rione Sanità di Napoli. I giornali hanno prontamente raccontato l’episodio come un agguato di camorra e descritto il ragazzo come un giovane pregiudicato. Poi nelle ore successive è venuta fuori la dinamica vera dei fatti di stanotte. Gennaro non era pregiudicato, né la vittima predestinata di una faida. E’ morto ucciso da una pallottola vagante. Vittima innocente di una guerra che non gli apparteneva. 

Il papà di Gennaro è uno storico compagno del movimento dei disoccupati napoletani, uno da sempre in strada e in prima linea contro l’emarginazione sociale, uno che lotta da anni per il riscatto delle fasce popolari di questa città. La magistratura lo ha coinvolto spesso nei tanti atti repressivi costruiti ad hoc per indebolire il movimento dei disoccupati, rispondendo con il solito pugno di ferro alla giusta pretesa di lavoro e dignità che il movimento rivolge alla politica. Questo accanimento gratuito contro chi lotta dà l’idea di quanto sia assurdo e ingiusto il mondo in cui ci muoviamo e di quanto, dopo ogni fatto di cronaca, siano insopportabili e ipocriti gli appelli alla galera e alla forca che si leggono sulla stampa.

In questa città è ormai rituale che l’attenzione mediatica agli eventi sia direttamente proporzionale al benessere dei quartieri in cui avvengono. E così se il quartiere è popolare anche l’omicidio di un diciassettenne può meritare due righe, un bel po’ di inesattezze e Gennaro può essere ucciso due volte, la seconda per mano delle bugie che lo raccontano come non era.
Questo tristissimo episodio è la goccia che fa traboccare un vaso colmo oramai da troppo tempo.
Mentre la società civile fatta di politici riciclati e di imprenditori, dopo il raid di qualche giorno fa a Piazza Bellini, si chiama a raccolta per allontanare l’immagine del degrado dal marciapiede buono della città, dinanzi all’episodio di stanotte che si iscrive nella serie di esecuzioni e brutali agguati a ragazzini a cui stiamo assistendo da gennaio scorso, siamo convinti sia arrivato il momento di una mobilitazione vera, che parta dal ventre della città.
Una mobilitazione che prima di ogni altra cosa si ponga l’obiettivo di fermare la violenza, interrompere la strage di giovanissimi che stanno pagando il prezzo più alto al disastro sociale. 
Una mobilitazione che rompa la retorica del noi e del loro, che rompa le distanze e che ci veda tutti mobilitati a difesa di noi stessi, dei nostri quartieri, dei nostri figli. 
Sappiamo che non è mai stato facile per i movimenti parlare di camorra. Meno che mai mobilitarsi sul tema. Il rischio securitario e giustizionalista è dietro l’angolo quando si parla di criminalità. Questo tuttavia non può più essere un alibi per costruire le agende politiche come se abitassimo in un altro posto del mondo, mentre sotto i nostri occhi si spara ogni giorno e ragazzini neppure maggiorenni perdono la vita.
E’ in atto un processo che non stentiamo a definire di auto-distruzione, di insensato annientamento tra subalterni, tutto finalizzato a servire gli interessi di chi opprime i territori. 

Di una cosa siamo certi e la provenienza familiare del piccolo Gennaro lo dimostra: non esiste battaglia contro la camorra che non sia guerra contro le logiche economiche di sfruttamento della città e non esiste vittoria che non passi per la pretesa di soldi (tanti) e di politiche di sviluppo per una città che è stata scientificamente lasciata in balia del degrado urbano, della povertà e dell’abbandono.

Gennaro era uno di noi. Il figlio di un fratello, un compagno di lotta, un nemico dei nostri nemici. Innanzitutto per lui dobbiamo trasformare la rabbia e il dolore in azione e assumerci come attiviste ed attivisti della città questa sfida complessa e però necessaria. Con l’obiettivo di rimettere al centro il riscatto e la dignità dei quartieri popolari.

Invitiamo tutti a discuterne al Centro Sociale Carlo Giuliani, via Cesare Rossarol oggi, lunedì’ 7 settembre, alle 17 per convocare una grande mobilitazione. Per Gennaro , per la sua famiglia, per la città

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1 Commento


  • giorgino

    Massima solidarietà a Gennaro ed al suo papà, l’ottimo articolo non può che evocare una critica intransigente al Paradigma Saviano. Uno come Saviano dice che dovremmo fare gli sceriffi, pensare a denunciare la camorra, per lui questa è l’unica attività possibile. Quindi anche il povero Gennaro avrebbe dovuto denunciare la camorra, magari a quegli stessi giornali che a priori lo fanno malavitoso solo per il quartiere in cui viveva. Gennaro avrebbe dovuto denunciare la camorra, a quello stato che su tanti livelli è interconnesso con la malavita, i giornali parlano perfino di membri delle forze dell’ordine a libro paga della stessa. Insomma il povero Gennaro avrebbe dovuto richiedere legalità allo stato e alla borghesia che per primi la violano, derubando le città e lasciando esistere la camorra che stabilizza i loro interessi di classe. E’ chiaro che la proposta di Saviano non può portare a niente, ed anzi è funzionale all’esistente, in una parola la classica lavata di faccia mentre i proletari continuerebbero a morire. Bene quindi la lotta per affermare le esigenze delle classi subalterne, è questo che impedisce l’espropriazione della città e spacca il terreno d’intesa tra borghesia arraffona e malavita, intesa che lo stato borghese reprime solo nei suoi aspetti troppo appariscenti. Per liberarci dall’espropriazione e della camorra, bene proprio quella lotta dei disoccupati, dei lavoratori, dei migranti e precarizzati, che tante volte Saviano ha denigrato, esprimendo un astio particolare per la nuova sinistra degli anni 70.

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