Festeggiamo anche noi l’assoluzione e la scarcerazione di Massimo Papini, avvenuta ieri.
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Oggi, la Prima Corte d’Assise del Tribunale di Roma ha assolto Massimo Papini con formula piena, ordinandone l’immediata scarcerazione. E’ dunque giunta ad un esito positivo l’odissea iniziata il 1 ottobre 2009, con l’arresto ed il successivo avvio del processo per partecipazione ad associazione eversiva costituitasi in banda armata denominata Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
Il carattere inequivocabile della sentenza non fa che confermare quanto dal principio hanno sostenuto i familiari, gli amici, i colleghi di lavoro ed i compagni di Massimo, che si sono impegnati per non lasciarlo solo in questi 18 mesi di prigionia, vissuti spesso in regime di isolamento. Si è voluto criminalizzare il suo rapporto personale con Diana Blefari Melazzi, la preoccupazione manifestata verso le condizioni psichiche di un’amica in carcere, denunciate anche dal Garante dei detenuti del Lazio e confermate dal suicidio il 30 ottobre 2009. Dunque, stiamo parlando di una vicenda che ha tutti i crismi dell’esemplarità. Certo, la normativa vigente sui reati associativi – che ha il suo perno nell’articolo 270bis – consentendo di sottoporre le persone a processo senza basarsi su dati concreti è da sempre fonte di orrori giudiziari.
Nel caso in questione, però, all’assenza totale di prove fattuali o indiziarie, all’accanimento contro gli affetti personali, si è affiancato un ulteriore elemento. Il teorema elaborato dai Pm Erminio Amelio e Luca Tescaroli e rigettato nettamente dalla Corte presieduta dalla Giudice Anna Argento, ha rivelato un’incredibile farraginosità ed inconseguenzialità anche sul piano puramente logico.
Lo conferma il carattere “magmatico” – come è stato definito dagli avvocati di Massimo – dell’accusa nei suoi confronti. Di udienza in udienza, il presunto ruolo di Massimo all’interno dell’organizzazione eversiva non ha fatto che fluttuare e oscillare dal livello più basso a quello più alto, dalla figura di “apprendista brigatista” a quella di “grande vecchio”. Ciò, sulla base di pure e semplici “suggestioni”, che spesso hanno portato il processo a rasentare il grottesco.
Per questo, anche in un momento di festa come l’attuale, non possiamo fare a meno di accennare a due motivi di riflessione. Il primo concerne l’istituto della custodia cautelare, erede della vecchia carcerazione preventiva, che consente di tenere una persona in carcere prima che essa sia giudicata, anche sulla base di un impianto probatorio evanescente. Il secondo rimanda agli effetti nefasti del persistere, in Italia, di quell’articolo 270bis (introdotto negli anni ’70) che è una derivazione ed un approfondimento del delitto di associazione sovversiva definito dal Codice Rocco in piena era fascista. Tale articolo non solo non è venuto meno – in un paese che professa in continuazione la sua natura di faro della libertà – ma negli ultimi anni ha avuto delle filiazioni. Su questi temi, evidentemente, torneremo in un secondo momento, magari collocandoli nel bilancio d’una vicenda giudiziaria che ci ha coinvolto sotto ogni aspetto, ben al di là dei suoi risvolti politici e giuridici. Adesso è il momento di festeggiare, di dare il bentornato alla libertà ad un amico che ha saputo affrontare con grande dignità una prova estremamente difficile.
comunicato del Comitato “Massimo libero!”
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