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Un governo senza Guardia di Finanza

Due reati che i giornali di destra non vogliono proprio vedere, ma che rischiano di decapitare le Fiamme Gialle nel momento più delicato di un governo allo sbando. Se le carte giudiziarie dicono il vero, infatti, il governo rischia di restare senza “confidenti” fedeli tra le fila degli inquirenti. Quindi esposto ad altre inchieste che potrebbero affossarlo definitivamente.

Com’è noto, secondo noi queste inchieste sono politicamente possibili oggi perché il sollevamento popolare manifestatosi con i referendum su acqua e nucleare ha evidenziato il distacco tra paese e potere politico, in tutte le sue componenti, intaccandone la “sacralità”. Ma dalla classe politica non è arrivata nessuna presa d’atto. Altri poteri, nel frattempo, stanno lavorando per eliminate “il Tappo” e insediare un altro esecutivo. Certo più adatto a imporre le “misure” o le “riforme” che le istituzioni economiche internazionali – diciamo così – “consigliano”.

Per le informazioni più di dettaglio, ecco qui una scelta degli articoli da diversi giornali mainstream.

 

 

 

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Dal Corriere della Sera del 27 giugno 2011

I sotterranei del potere

di Massimo Mucchetti

Quasi vent’anni fa la procura di Milano condusse l’inchiesta Mani pulite. Solo dopo aver scoperto molti episodi, provati da contabili bancarie e confessioni, azzardò l’affresco di Tangentopoll.

Nel 2011, la procura di Napoli annuncia il tema del nuovo affresco, un’associazione volta a distorcere le decisioni di organi costituzionali, ma ancora non riesce a disegnarlo bene. E cose l’affaire Luigi Bisignani-P4 rischia di inquinare ulteriormente la politica e gli affari mentre la Seconda Repubblica volge al tramonto.

Nel vortice delle intercettazioni, i fatti sembrano perdere peso a favore dei sospetti. Si dà credito a Bisignani che accusa il capo delle Fs di voler penalizzare un produttore di freni quando Mario Moretti ha contestato e dequalificato la Italian Brakes, e ha vinto le tre cause intentate da questo fornitore. Le battaglie della finanza, nate dal bilanci che non vanno, cedono il passo alle trame occulte, spacciate come l’iper-realtà del potere.

Prendiamo la defenestrazione dl Alessandro Profumo da Unicredit. Ha cambiato gli assetti dell’alta finanza Italiana. Ma qui tutto sembra ridursi a una congiura ordita chez Bisi da Fabrizio Palenzona (per quanto di lui, vicepresidente di Unicredit, le carte dicano poco e in modo indiretto) e da Enrico Tommaso Cucchiani (e di lui, capo delle assicurazioni Allianz, le carte dicono assai). Nell’inchiesta napoletana e nella sua vulgata, scompare la crisi dei conti della banca. E finiscono sullo sfondo gli interventi a protezione del banchiere, tentati da Giulio Tremonti, ministro dell’Economia certo non amico del faccendiere romano, e da Cesare Geronzi, allora presidente delle Generali che invece, secondo la Guardia di finanza dl Napoli, era interlocutore privilegiato del Bisi. Dov’è la realtà e dove la finzione, si chiederebbe Borges? Quando tratta il dopo Profumo, Bisignani pontifica, ma dimostra di non conoscere nemmeno i due banchieri dei quali si parlava, Andrea Orcel e Federico Ghizzoni, il prescelto che non dispiace nemmeno al predecessore.

Resta il fatto che da questo intrigante signore, potente ma anche millantatore, allievo in gioventù di Licio Gelli e Giulio Andreotti, molti andavano a conferire. Perché, nell’Italia dei nominati, chi intermedia il principe esercita un’influenza di cui amici e avversari non possono non tenere conto se vogliono fate e non soltanto predicare. E adesso ci si chiede quali conseguenze avrà l’improvviso declino dell’Intermediario. Nell’economia pubblica più intrecciata al berlusconismo, certe posizioni sono meno sicure di ieri. La reputazione conta anche in Eni, Enel e Finmeccanica. Nell’economia privata, invece, la cosiddetta P4 aveva già perso la sua partila con il licenziamento di Geronzi dalle Generali. Ed è da questi fatti, pesanti come pietre, che si dovrebbe partire per distinguere nelle parole del Bisi, le notizie vere dalla disinformazione inquinante. E per costruire, oltre l’Italia delle consorterie, un Paese di uomini liberi e forti e non di tremebondi nominati.

 

 

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Da La Repubblica del 27 giugno 2011

L’inchiesta P4 travolge la Gdf
indagato Adinolfi, il numero 2

Il generale accusato di aver avvertito Bisignani delle indagini su di lui. Matacena, vittima di Papa, offre una cena da mille euro a tre generali della Finanza con Adriano Galliani dopo il match Napoli-Milan

di CARLO BONINI

ECCOLO il terremoto che torna a rendere plumbei i giorni della Guardia di Finanza. Il generale di divisione Michele Adinolfi, capo di stato Maggiore, l’ufficiale operativo più alto in grado del Corpo, secondo nella scala gerarchica al solo Comandante generale, è indagato nell’inchiesta P4 per rivelazione di segreto di ufficio e favoreggiamento.
I pubblici ministeri napoletani Henry John Woodcock e Francesco Greco lo accusano di essere la “fonte” di altissimo livello, la “talpa” negli apparati, che consentì a Luigi Bisignani di sapere, nel momento cruciale dell’indagine di cui era oggetto, che le sue utenze cellulari erano intercettate. Adinolfi ha ricevuto un avviso di garanzia all’inizio di questa settimana e, mercoledì scorso, alla vigilia della festa del Corpo, è stato messo a confronto con Marco Milanese, deputato del Pdl, storico consigliere del ministro Giulio Tremonti, ed ex ufficiale della Guardia di Finanza, già indagato dalla Procura di Napoli per altre vicende e a sua volta individuato dallo stesso Bisignani, nel suo interrogatorio di garanzia di lunedì scorso al gip, come uno dei “canarini” in grado di metterlo in guardia sull’ascolto dei telefoni. Non è tutto. Nella vicenda, per come al momento è possibile ricostruirla, sono coinvolti un secondo generale della Guardia di Finanza, Vito Bardi (oggi comandante interregionale per l’Italia meridionale, per altro già ripetutamente citato nelle carte dell’inchiesta come uno dei contatti di Alfonso Papa), e il giornalista Pippo Marra, presidente dell’agenzia di stampa “Adn Kronos”, anche lui indicato nell’ultimo interrogatorio di Bisignani come “l’amico” che gli intimò di “non parlare più al telefono”. Come il generale Adinolfi, l’uno (Bardi) e l’altro (Marra) sono indagati per rivelazione di segreto di ufficio e favoreggiamento.

In un colpo solo, dunque, Luigi Bisignani si tira dietro il numero due della Guardia di Finanza (Adinolfi), uno degli alti ufficiali a lui più vicino (Bardi), il consigliere personale e uomo di massima fiducia di Giulio Tremonti (Milanese), il presidente di una delle principali agenzie di informazione del Paese (Marra). E questo sulla base di “evidenze” istruttorie che, all’osso, raccontano questa storia. Marco Milanese riferisce ai pm napoletani (al momento non è dato sapere in quale contesto o sulla base di quali sollecitazioni) di aver saputo dal generale Vito Bardi, che fu proprio quest’ultimo a informare dell’indagine Bisignani e delle intercettazioni telefoniche in corso il suo superiore gerarchico, il Capo di Stato Maggiore Adinolfi. Una prassi che la lettera della legge vieta (il segreto di un’indagine penale non cade di fronte all’obbligo militare che impone di riferire al proprio superiore in grado), ma che, in qualche modo, è routine in tutti gli apparati, soprattutto quando le indagini presentano risvolti di particolare delicatezza, come per il caso Bisignani. Il problema, tuttavia, è che questa notizia non resta confinata tra le mura di viale XXI Aprile. Adinolfi – ricostruiscono i pubblici ministeri – ritiene di dover raccomandare a Bisignani cautela al telefono. E per farlo, sceglie di mettere tra sé e l’uomo di piazza Mignanelli, un amico comune, il giornalista Pippo Marra. Adinolfi gli consegna l’ambasciata (“Tacere al telefono”). Marra la gira a Luigi Bisignani.

Se è così che sono andate le cose, i reati sono appunto almeno due (violazione del segreto e favoreggiamento). Ma, soprattutto, se è così che sono andate le cose, ecco allora che il ripetuto riferimento nelle carte sin qui depositate dalla Procura alla rete di contatti di Bisignani e Papa nella Guardia di Finanza assume un peso e un significato diversi. Perché l’inchiesta P4 diventa ora uno di quei treni capaci, potenzialmente, di travolgere l’intero vertice del Corpo (e con lui una generazione di ufficiali cresciuti all’ombra di Nicolò Pollari), di denunciare la natura storta e “infedele” della sua contiguità con la rete di Bisignani. Dando corpo all’ipotesi che, nel tempo, si siano consumate altre fughe di notizie, su altre inchieste, come del resto Papa amava ricordare agli amici. Né bisogna essere degli indovini per immaginarlo. Basta scorrere le 8 pagine di verbale completamente omissate rese il 14 marzo scorso da Luigi Bisignani, interrogato dai pm proprio sul conto dei suoi rapporti e di quelli di Papa con alcuni altissimi ufficiali del Corpo (verosimilmente, a cominciare da Adinolfi). Basta osservare come, sulla scena napoletana, il generale Michele Adinolfi, per quel che documentano le carte, non sia mai solo. Nel verbale (22 marzo di quest’anno) di Luigi Matacena, una delle vittime delle minacce estorsive di Alfonso Papa, un imprenditore con un passato da evasore nella Lista Falciani, leggiamo infatti che intorno ad Adinolfi si muovono il generale Vito Bardi, il generale Giuseppe Zafarana (oggi comandante del primo reparto del Comando generale) e il generale Giuseppe Grassi. Matacena offre loro un pranzo con signore da mille euro in occasione di un Napoli-Milan, alla presenza di Adriano Galliani, amico personale di Adinolfi e suo primo sponsor politico dai tempi dei suoi primi comandi in Lombardia. Così come, è ancora Matacena ad avere ospiti a cena, per due sere a Ischia, Adinolfi e il generale Emilio Spaziante (comandante interregionale per l’Italia centrale), altra eminenza grigia di un Corpo che, da oggi, torna a non avere pace.

 

 

 

Da IlSole24Ore del 27 giugno 2011

Indagato Michele Adinolfi, il numero 3 della Gdf

di Simone Di Meo e Marco Ludovico

 

È il nuovo filone dell’inchiesta P4 e si rivela esplosivo: violazione di segreto investigativo imputato al capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi, generale di corpo d’armata. E con lui entra nell’inchiesta anche Pippo Marra, proprietario dell’agenzia di stampa Adn Kronos, indagato.

Sono entrambi citati nei verbali degli interrogatori di Luigi Bisignani, l’uomo d’affari protagonista dell’inchiesta, imputato anche lui dello stesso reato così come il deputato Alfonso Papa (Pdl) e il maresciallo del Ros Enrico La Monica che nell’appello dei Pm al riesame è accusato anche di corruzione. Il capitolo delle fughe di notizie, per i pm Francesco Curcio e John Henry Woodcock, diventa in sostanza un secondo blocco d’indagine, il più odioso: perché nasce all’interno della stessa indagine. Un’indagine sull’indagine, insomma. Alla ricerca della talpa che si nasconde nella squadra della polizia giudiziaria di cui si avvalgono i pm: finanzieri, appunto.

Uno dei fatti più clamorosi accade il 22 giugno. Davanti al pm Curcio, ci sono a confronto l’onorevole Marco Milanese (già ufficiale della Gdf) e Adinolfi. Ma il generale di corpo d’armata della Finanza arriva all’incontro con l’avvocato Enzo Musco mentre Milanese è solo. Il generale, dunque, è già indagato, altrimenti si sarebbe presentato da solo, mentre Milanese – coinvolto in un’altra indagine a Napoli condotta dal pm Vincenzo Piscitelli – risulta testimone nell’inchiesta P4. Il confronto tra i due è di fuoco perché Milanese, in sostanza, conferma il contenuto di un’audizione svoltasi circa tre mesi fa con gli stessi pm.

In quell’incontro raccontò ai pubblici ministeri che, in una cena dove erano presenti diverse persone, Adinolfi gli avrebbe riferito che i pm di Napoli indagavano su Bisignani. E lo stesso Adinolfi, secondo Milanese, aggiunse che a quel punto aveva detto a Marra di avvisare il lobbysta. Il generale della Guardia di Finanza, davanti ai pm, protesta con tutta la forza la sua totale innocenza e attacca furibondo Milanese, chiedendogli più volte di ritrattare un racconto che di fatto è un’accusa micidiale. A oggi, ma evidentemente da tempo, il numero tre della Finanza risulta dunque indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento personale.

Notizie che gli sarebbero arrivate, secondo le ipotesi dei pm, da un altro generale della Gdf, il comandante interregionale dell’Italia meridionale Vito Bardi, in servizio a Napoli, anche lui indagato, che ha chiesto che si proceda per calunnia nei confronti di Bisignani e di eventuali altre persone che lo accusano. È i il secondo anello della catena gerarchica. Resta da scoprire, se l’ipotesi accusatoria fosse confermata, chi informava Bardi. Ma il vertice dalla Finanza afferma la sua totale innocenza ed estraneità nei confronti di ogni addebito. Adinolfi, sentito dai pm, ha respinto ogni accusa.

Nel verbale degli interrogatori di Bisignani emergono però le tracce di quella che oggi è l’ipotesi accusatoria. Il lobbysta, a proposito dei rapporti tra alti ufficiali della GdF e il deputato Alfonso Papa, il 9 marzo afferma tra l’altro: «Ricordo bene che quando io dissi a Papa della notizia che avevo appreso (e relativa all’esistenza di un procedimento giudiziario a carico del parlamentare, ndr), Papa mi disse che avrebbe chiesto informazioni a Napoli e mi disse che avrebbe parlato con un certo generale Bardi della Guardia di Finanza».

E poi ancora sostiene che «non c’è dubbio che i canali informativi del Papa erano prevalentemente nella Guardia di Finanza». È un fatto, del resto, che nell’agenda di Papa, agli atti giudiziari e trovata in una pen drive sequestrata alla moglie di La Monica, ci siano i nomi di una ventina di alti ufficiali della Guardia di Finanza, a partire dallo stesso Adinolfi, di cui si trova cellulare e numero della segreteria. E nell’interrogatorio di garanzia il gip Giordano incalza Bisignani sulla fuga di notizie e gli chiede di Marra. Bisignani prova a parlare di inchiesta dei casalesi e di Milanese, ma sembra chiaro, a leggere il verbale, che pm e gip hanno già ben chiaro il quadro delle ipotesi accusatorie.

Ci sono, del resto, altri indizi che confermano iil problema della fuga di notizie. Come il fatto che Woodcock e Curcio, dopo i primi esempi di violazioni del segreto investigativo decidono di scomporre la squadra di polizia giudiziaria in tre sottogruppi, affinchè ciascuno segua un filone senza scambio con gli altri e i rischi di indiscrezioni si riducano. Entrano così in campo i carabinieri del Noe, il comando per la Tutela dell’ambiente guidato dal colonnello di Caprio, noto come «Capitano Ultimo». Ma anche la Dia, direzione investigativa antimafia, che fa riferimento al Dipartimento di Pubblica sicurezza. Nella stessa indagine di Piscitelli su Milanese la squadra delle Fiamme Gialle è stata sostituita con i colleghi della Polizia

 

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