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Grecia. Chi ci guadagna col rigore europeo?

Farla in sintesi, giornalisticamente, è complicato, ma ci si può provare. Ecco due articoli, da due giornali molto di versi, che convergono nella medesima conclusione. Col “rigore” ci guadagna la speculazione, due volte. E’ la “matrice di classe” delle politiche economiche, sempre spacciate per “puramente tecniche”.

 

 
Le ricette della troika svalutano il paese e lo consegnano ai corsari
Francesco Piccioni

Nessuna politica economica è socialmente neutra. Ma quelle in atto ora nella Ue sono davvero molto esplicite. Facciamo il caso della Grecia, che ci somiglia un po’. Sono due anni precisi che la troika (Bce, Ue, Fmi) picchia con decisione su tasti che anche qui stiamo conoscendo bene: privatizzare i beni pubblici e licenziare gli statali, abbassare i salari (del 25% solo nel 2011), rendere «flessibile» il mercato del lavoro. Ecc.

Risultato? Nessuno, in positivo. Aumentano i borseggi e i furti, ma non concorrono alla«crescita»; 400.000 bambini in età scolare sono malnutriti, ma la sanità è stata tagliata lo stesso. I greci ricchi sono invece evaporati e ricomparsi all’estero, con tutte le loro fortune liquide, gli investitori stranieri non si fanno vedere. Il motivo è semplice: «troppa corruzione, infrastrutture disastrose, governi che cambiano le regole in corsa». Ora ci aggiungono anche gli scioperi ricorrenti, ma il dato strutturale è l’altro. Quindi la Grecia non può riprendersi, visto che i privati non vogliono e lo stato è bloccato dai veti Ue, oltre che dal «vincolo di bilancio».
Ma lo stato non potrebbe recuperare parte dei capitali fuggiti nei paradisi fiscali? «Una tale misura sarebbe contraria al diritto comunitario», spiegava qualche giorno fa Ilias Bissias, avvocato ellenico con studio in Svizzera. Di fatto, chiunque può portare dove vuole i capitali che ha, senza limiti. Con la Svizzera Atene ha una convenzione che comporta la «doppia imposizione» per i capitali greci lì depositati. E stava pensando di siglare un accordo più stringente – come fatto di recente da Austria, Germania, Gran Bretagna – che potrebbe portare a una «sanatoria» in cambio di una tassa del 25% sul capitale (non il 5, come nello «scudo» di Tremonti). Naturalmente, è bastato l’accenno a questa ipotesi perché parte di quei capitali cambiasse casa (Emirati, Singapore, ecc).
Questi movimenti sono possibili, senza perdere in sicurezza, solo per gente molto potente sul piano internazionale. Come gli armatori, vero (ex) nerbo industriale greco. I nomi leggendari (Onassis e Niarchos) sono stati sostituiti da tempo, ma la genìa resta quella dei possessori del 19% della flotta navale globale. Con una differenza, rispetto al passato: nel 2011 hanno costruito 654 navi, ma una sola nei cantieri greci. L’incidente della Prestige in Galizia, nel 2002, spinse la Ue a rendere obbligatorio per le petroliere il doppio scafo. Gli armatori andarono a comprare allora in Corea, Cina, persino Giappone; costo del lavoro più basso e facilitazioni fiscali. Mentre lo stato greco non poteva – per normative europee – «aiutare» cantieristica e acciaio. Una fortuna per la Turchia, che in questo decennio ha potuto sviluppare la sua cantieristica. I «fondi strutturali» della Ue, nel frattempo, sono serviti a costruire grandi aeroporti senza traffico. Geniale, un po’ come in Italia.
Ma se tornassero alla dracma, andrebbe meglio? Per i ricchi che hanno i soldi all’estero certamente. Dopo due anni così, il patrimonio del paese (industriale, turistico, immobiliare, ecc) è già fortemente svalutato. Il ritorno alla moneta nazionale non potrebbe che avvenire con un’ulteriore – drastica – svalutazione. Un po’ come per i salari, che sono previsti in caduta quest’anno di un altro 20%. A quel punto chiunque – non necessariamente un greco – abbia capitali liquidi denominati in euro, dollari, yen, renmimbi, ecc, potrà entrare in Ellade e far man bassa, acquistando un po’ di tutto a prezzi stracciati. Così si capisce cosa intendiamo dire con l’espressione «nessuna politica economica è socialmente neutra». Favorisce qualcuno, immiserisce altri.
 
da “il manifesto”
 

Grecia: i ricchi patrimoni sono al riparo della crisi. La casta degli imprenditori navali resta intoccabile

Vittorio Da Rold

La crisi colpisce duro i cittadini greci al quinto anno di recessione, con salari minimi e pensioni tagliati del 25% e il ritorno, secondo un recente rapporto Unicef, della malnutrizione per 400mila bambini in età scolare. Ma le ricche e facoltose famiglie greche come se la passano? Sembra bene per una serie di motivi che andiamo ad illustrare.

Sconosciuti al fisco
Il 21 novembre 2011 il ministero delle Finanze greco ha fatto sapere che solo 49 contribuenti greci su 5,7 milioni di nuclei familiari – pari allo 0,001% del totale – avevano dichiarato per il 2010 un reddito di oltre 900mila euro, un numero irrisorio per di più in calo dai 73 super-ricchi che erano stati faticosamente rintracciati dal Fisco greco nel 2009. Che fine hanno fatto i benestanti armatori o le potenti famiglie che controllano i gangli del potere economico del Paese mediterraneo? Mistero! La maggioranza dei ricchi greci resta sconosciuta al Fisco di Atene che in effetti non brilla per efficienza e solerzia nei controlli.

L’astro nascente
I famosi e ricchissimi armatori greci come Aristotele Onassis e Stavros Niarkos sono stati sostituiti nell’immaginario collettivo greco da una nuova generazione di nuove leve come ad esempio Harry Vafias, uno degli uomini emergenti del panorama economico ellenico del commercio marittimo.

Ufficio situato nel quartiere esclusivo di Kifissa a pochi chilometri dal centro di Atene, ora abbandonato dai ricchi per motivi di sicurezza (troppi furti e borseggi quotidiani), Vafias è considerato l’astro nascente dell’attività marittima greca, la prima fonte di reddito dopo il turismo, che pesano entrambi circa per il 22% sul disastrato Pil. Vafis, raccontano le cronache, ama tanto l’arte contemporanea e non a caso tra gli acquirenti a New York o Londra delle aste di quadri compaiono spesso nomi dalla chiara origine ellenica. Segno evidente che i patrimoni non sono stati intaccati dalla crisi, anche se alcuni fanno notare che ultimamente sono apparsi anche nomi greci ma come venditori di opere d’arte. Ma torniamo ad Atene. Harry Vafias aveva solo 27 anni quando nel 2005 divenne il più giovane amministratore delegato di una società marittima a entrare nella borsa americana. La sua società è la Stealthgas, da lui stessa fondata.

E la crisi? Per Harry Vafias «effettivamente la crisi ha provocato la fragilità delle banche» che in Grecia blocca i prestiti alle imprese. In effetti il sistema bancario ha perso 70 miliardi di euro di depositi passando da 240 del 2010 a 170 miliardi nel 2012. Inoltre le quattro maggiori banche elleniche hanno perso 28 miliardi nello swap dei bond greci e ora necessitano di una ricapitaliazzazione. Naturalmente è possibile che molti ricchi abbiano spostato somme ingenti, provenienti dai loro conti bancari o delle loro società, verso banche svizzere, cipriote o britanniche, ma non ci sono dati ufficiali dettagliati.

Fuga dalla Svizzera
Il 6 aprile 2012 il Corriere del Ticino riportava che un certo numero di greci con soldi in Svizzera ha già ripiegato su altri paradisi fiscali mentre Atene sta negoziando con Berna un accordo sul modello di quelli raggiunti con Germania e Regno Unito (mentre all’appello stranamente manca ancora l’Italia). Lo ha dichiarato il ministro delle finanze ellenico Philippos Sahinidis, rispondendo a un’interrogazione parlamentare.

«Nel 2010, in base all’accordo bilaterale con l’Unione europea sulla fiscalità del risparmio, la Grecia ha incassato circa 6 milioni di euro di imposte alla fonte prelevate dalla Svizzera sugli interessi di capitali ellenici depositati nelle banche elvetiche», ha detto il ministro. Nel 2009 l’euroritenuta però aveva fruttato il doppio. «Ciò riflette la tendenza di questi depositi a ripiegare su paesi o territori che sfuggono all’applicazione della legge comunitaria», ha rilevato Sahinidis. Insomma sono scappati per evitare la tosatura. Ma dove sono andati i grassi ricchi patrimoni greci? In altri paradisi fiscali.

Case a Londra
Recentemente la banca Citi ha reso noto in un report che «gli acquirenti stranieri rappresentano ormai oltre il 50% degli acquisti nel centro di Londra, con un aumento notevole di acquirenti dei periferici eurozona, tra cui i greci dall’inizio dell’anno». I ricchi greci hanno portato all’estero i capitali in attesa di vedere come andranno a finire le prossime elezioni politiche previste per il 6 maggio, se il Paese resterà nell’euro e se, casomai, con una nuova dracma svalutata si potranno fare buoni affari comprando a poco, aziende o beni statali da privatizzare per circa 50 miliardi di euro. Intanto i problemi dei periferici dell’eurozona stanno diventando un’opportunità per parcheggiare i soldi all’estero e risolvere gli affanni del mercato immobiliare e finanziario britannico.

Iva alle stelle
Nel frattempo ad Atene nonostante l’Iva sia passata dal 21% al 23% il settore navale è al riparo. È il paradosso dell’economia greca: i grandi armatori, che sono gli imprenditori più ricchi del paese, sfuggono senza problemi al sistema fiscale grazie a una legge ad hoc del 1960 e mai cambiata da nessun governo. «Lo Stato è stato finora nelle mani di tre famiglie – come mi fa notare un collega giornalista. – I Papandreou, i Karamanlis e i Mitsotakis». Tutti però molto comprensivi con gli armatori. Si tratta del bipartitismo dinastico greco, ora al capolinea.

Mr yacht
«Certo che gli affari sono toccati dalla crisi» precisa George A. Vernicos, presidente della Vernicos Yacht, leader nazionale nella vendita e nel noleggio delle barche di lusso in una recente intervista a Emmanuel Haddad. «Fortunatamente la vendita dei panfili, si trova da 10 anni in un ciclo di ripresa e non rischia di essere toccata dalla crisi». Mr Yachting, come lo chiama la stampa, non pare preoccupato ma si lamenta: «La Grecia non è un Paese fatto per gli affari». In effetti due problemi asfissiano la Grecia: l’alto numero di funzionari pubblici (sono 760mila, più degli addetti al turismo) e l’incapacità dei greci ad accettare le tasse che ora però sono arrivate tutte insieme.

Il magnate
La Marfin Investment group è una banca di proprietà del magnate greco Andreas Vgenopulos, considerato come uno degli uomini più ricchi e potenti del paese e con aspirazioni politiche finora però mai messe davvero in pratica. È proprietario dell’Olympic Air (privatizzata) e dell’Egean Airlines, ora fuse. Possiede il 20% di una delle due squadre di calcio di Atene, il Panathinaikos, dal 2008. Compare spesso nei talk show televisivi e mette all’angolo il politico di turno con ricette imprenditoriali che stupiscono per la loro efficacia e rapidità di esecuzione. Recentemente però ha fatto un passo falso quando ha dichiarato incautamente, a un giornalista che gli chiedeva se pensava di vendere uno delle sue barche da diporto per contrastare i tempi duri di crisi: «Non ci penso proprio. Mi tengo i miei tre yacht!». Meno male che non ha consigliato ai disoccupati greci, che viaggiano al 24%, di passare il tempo libero andando sullo yacht di famiglia. Sarebbe stata la versione greca delle famose brioche della regina Maria Antonietta.

 

da Il Sole 24 Ore

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