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Cantiere manovra, Confindustria scalpita

Ne segue necessariamente che ci sarà un “assalto alla diligenza” portato da dentro e da fuori la maggioranza, per riscriverne parti consistenti. Un passaggio che “rischia” – dal punto di vista puramente contabile, che però è l’unico che interessa davvero “i mercati” e l’arcigna Unione Europea – di far saltare i “saldi finali”. Un governo di pasticcioni e incapaci, oltre che disonesti, refrattario a ogni nozione di “sistema” che non sia un semplice modo di arraffare soldi senza sforzo, è in effetti quanto di peggio possa capitare a un paese nel pieno di una crisi globale. I pericoli si moltiplicano, il volto degli avversari di fa sfuggente, il “che fare” pieno di zone d’ombra.

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da Repubblica on line, ore 13

E’ rimasta in vita meno di due giorni. La norma sulle pensioni – quella che riguardava il riscatto degli anni di laurea e del servizio militare – è saltata. L’annuncio è arrivato dopo un incontro tra il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, il collega della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, ed i tecnici del Ministero dell’Economia. La misura – che era il principale frutto del vertice di oltre sette ore ad Arcore, lunedì scorso – prevedeva l’esclusione del riscatto degli anni di università e del servizio militare ai fini dell’uscita dal lavoro con 40 anni di contributi. All’incontro non era presente il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che è stato interpellato solo telefonicamente. In particolare, secondo da fonti del centrodestra, il provvedimento sarebbe caduto per dubbi sulla sua costituzionalità 1.

La questione potrebbe essere affrontata “collegialmente”, domani, probabilmente a margine della riunione del Consiglio dei Ministri. “Si tratta di una decisione politica – riferiscono fonti ministeriali – che, in ogni caso, dovrà essere sottoposta all’esame della maggioranza”. Dalla misura – che avrebbe interessato una platea di 665 mila persone – si attendevano entrate pari a 1,5 miliardi, ma i tecnici del Tesoro sostengono che i saldi resteranno invariati “perchè – dicono – l’emendamento non era ancora stato presentato e quindi non rientrava ancora nel testo definitivo della manovra”. Altre fonti del centrodestra dicono che il recupero del gettito, derivante dal dietrofront sulle pensioni, avverrà con un aumento della lotta all’evasione fiscale, con provvedimenti già allo studio. E che dovrebbero prevedere un inasprimento delle norme ed un coinvolgimento dei Comuni. Cresce però il fronte di chi parla ormai della necessità di una manovra-ter 2. E così nel Pdl si torna a parlare di un possibile aumento dell’Iva – soluzione caldeggiata da Berlusconi e osteggiata da Tremonti – e della necessità di allungare l’età lavorativa (ma c’è la netta opposizione della Lega). Sul tavolo rispunta anche l’ipotesi di estendere il contributo di solidarietà non solo ai dipendenti pubblici, ovvero ai dirigenti di Stato, ma anche ai privati. Il premier tuttavia continua ad insistere di non voler alcun super-prelievo.

E’ stato in particolare il Carroccio a premere per una revisione della misura. Già stamattina, sulla Padania, era possibile leggere: “La manovra avrà bisogno di un’ulteriore riflessione”. La misura sulle pensioni aveva scatenato un’ondata di reazioni indignate in particolare sul web e da parte di alcune categorie 3, come quelle dei medici.

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facile previsone,  dunque. Per chi si muove nella logica che per prima cosa il debito va pagato non c’è spazio per “alternative”. O si aggredisce in maniera “strutturale” la dinamica della creazione del debito – e inevitabilmente ne fanno le spese le voci più consistenti del bilancio dello stato: pensioni, istruzione, sanità, aministrazione pubblica – oppure tutte le soluzioni tese a trovare una cifra purchessia si riveleranno inutili. Anche a brevissimo tempo. E’ vero infatti che “i mercati” hanno analisti preparati che ci mettono un attimo a passare ai raggi X una manovra e deciderne l’irrilevanza rispetto all’abbattimento “strutturale” del debito pubblico. Gli effetti su titoli di stato, qundi sulle possibilità di rifinanziamento del debito a scadenza (ci sono 130 miliardi di titoli da rinnovare da qui al 31 dicembre, 250 miliardi l’anno prossimo; senza contare il fabbisogno ordinario e l’emissione di titoli a sei mesi, come i Bot), sono certi e dramatici. E’ la spirale greca, in cui l’impossibilità di trovare denaro fresco in prestito sul mercato costringe a chiederli alle istituzioni sovranazionali, che impogono uno scambio con le “riforme” liberiste che si traducono dell’eliminazione – e perfino la delegittimazione – del “modello sociale europeo”.

I soggetti fautori di questa soluzione, paradossalmente, stanno fuori dal governo. Che è ormai palesemente ridotto a lobby gestionale di interessi socialmente limitati (immobiliaristi, appaltisti delle opere pubbliche, amministratori pubblici, rentier di molti tipi e di molti rivoli, evasori fiscali totali e parziali, mafie, intermediatori, ecc).

E’ questo ingorgo della rappresentanza a rendere ogni passaggio farraginoso e incomprenbile ai più. Le misure del governo mazzolano lavoratori, pensionati, precari, studenti e docenti, utenti dei sevizi pubblici in generale; ma sembrano persino poca cosa rispetto alle “riforme strutturali” che gli aspiranti subentranti (il “terzo polo” e il Pd, sul piano politico, Confindustria, Banca d’Italia, ecc, su quello economico-tecnico) mettono ormai allo scoperto come proprio programma operativo.

Non c’è la dimensione sociale, per ora. Cisl e Uil hanno appeso il proprio destino a Sacconi e Berlusconi, ma ossono sempre cambiare schieramento (lo stanno già segnalando, con la minacciata “mobilitazione” sulle pensioni di anzianità o il pubblico impiego; la Cgil fa un’opposizione morbida e tardiva, in attesa del cambio di governo cui si prostrerebbe immediatamente, silenziando ogni voce di dissenso interna e congelando ogni altra mobilitazione). Il sindacalismo conflittuale è la speranza, ma i suoi numeri, la sua presa di massa, al momento di scrivere, sono ancora molto insufficienti. Ma settembre è domani.

Segnaliamo un po’ di articoli preoccupati dalla stampa mainstream. Segnaliamo per primo quello di Fabrizio Fourquet, soprattutto per quell’invito “a fare quello che va fatto” (secondo criteri tecnico-economici, mica sociali e democratici), perché tanto “il paese seguirà”. Come “l’intendenza” al tempo di Napoleone. Bofnchiando, ma senza opporsi. QUesto atteggiamento dei “poteri forti” merita senza dubbio una smentita sul piano della prassi sociale, non credete?

 

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da Il Sole 24 Ore

Acrobazie, pasticci e il tempo della responsabilità

di Fabrizio Forquet

 

Quando le ragioni della politica debole hanno la meglio sulla responsabilità delle scelte necessarie è la logica la prima a rimetterci. E il riformismo finisce per perdersi in soluzioni pasticciate, che non risolvono i problemi e ne alimentano di nuovi.
È storia d’Italia. Che si ripete. E si ripropone inesorabile nelle cronache delle ultime 48 ore della manovra di Ferragosto.

Lo stop della Lega di Umberto Bossi sul necessario aumento generalizzato dell’età pensionabile ha di fatto imposto – nonostante i meritevoli sforzi del ministro Sacconi – la ricerca di una soluzione acrobatica, che ha finito per suscitare reazioni durissime ed è stata rimessa in discussione anche all’interno della maggioranza per i suoi rischi di illegittimità.
Si cercano ora rimedi tecnici per uscire dall’impasse. Ma la percezione che ci si sia infilati in un pasticcio si è diffusa chiara e distinta. In Italia e in Europa. E soprattutto sui mercati, che ieri hanno dato non pochi segnali di nervosismo spingendo lo spread tra BTp e Bund di nuovo a cavallo della soglia 300 e rendendo necessario un nuovo intervento della Bce.

Ma il nodo principale, sul quale i trader finanziari sono pronti a colpire, è quello della difficile copertura delle misure fissate nel vertice di lunedì.
Si è rinunciato a un beneficio sicuro per i conti pubblici nel triennio per 3,8 miliardi (il contributo di solidarietà) e per 2-3 miliardi (il taglio ridotto ai Comuni) senza individuare introiti alternativi altrettanto sicuri. La lotta all’elusione e all’evasione è una necessità inderogabile in questo Paese, ma metterla dall’oggi al domani a copertura di mancati tagli è una scommessa che si può pagare cara.

Eppoi la rinuncia, ancora una volta, a sperimentare ricette forti per la crescita, come l’utilizzo delle risorse di un possibile aumento dell’Iva in favore di un taglio forte delle imposte sul lavoro. Segnale ulteriore di un riformismo mancato.
Anche sul contributo di solidarietà si sono mandati segnali contraddittori. Alla fine è stato probabilmente un bene togliere un balzello che, così come era stato concepito, finiva per colpire i soliti noti che pagano le tasse. Ma l’ennesimo tira e molla nella maggioranza ha prodotto il paradosso di far scendere sul piede di guerra statali e alte magistrature, che il contributo di solidarietà avrebbero dovuto pagarlo già in base alla manovra dell’anno scorso.

Qui, però, l’appello al senso di responsabilità va esteso al di fuori della politica. Ribellarsi, da parte di alti dirigenti dello Stato, al contributo di solidarietà, facendo finta di ignorare che per loro il taglio degli stipendi era stato già introdotto l’anno scorso, dà il senso di una strumentalizzazione, di una irresponsabile corsa a salire sul carro delle proteste per ottenere vantaggi e sottrarsi ai sacrifici.
È l’altra faccia della politica debole: il Paese delle mille categorie che sfuggono alle proprie responsabilità, che chiedono sacrifici sempre e solo per gli altri, che insorgono a difesa del proprio orto, spingendo la trebbiatrice sempre un po’ più oltre la siepe.

Ieri se ne è avuta l’ennesima dimostrazione. Prima i medici, poi i magistrati, quindi gli statali, e ancora gli avvocati. Piccoli e grandi Comuni avevano fatto sentire da tempo la loro voce, e ieri le Regioni sono tornate ad alzare i toni. Le coop tutte, rosse e bianche, hanno riattivato le loro reti di protezione in Parlamento.
È davvero la danza macabra degli scheletri di Holbein. È come se mancasse la percezione del momento cruciale che stiamo attraversando.

È l’ora della responsabilità, non delle beghe politiche e delle rivendicazioni di parte. Abbiamo addosso gli occhi dell’Europa e dei mercati finanziari. E abbiamo abbondantemente esaurito il nostro credito. Non si può continuare a mettere in discussione le misure approvate, riportando in bilico i saldi complessivi. La politica dimostri la responsabilità che finora le è mancata. Il Paese seguirà.

 

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Bufera su pensioni e contributo statali. Rispunta l’Iva

di Marco Rogari

 

Appena partorita, rischia già di essere accantonata. O quanto meno significativamente modificata. La stretta sulle pensioni di anzianità vincolate al solo canale dei 40 anni di contribuzione, con l’esclusione dalla carriera contributiva dei riscatti della laurea e del servizio militare, decisa lunedì pomeriggio nel vertice di Arcore sulle modifiche alla manovra è subito finita nell’occhio del ciclone.

La rivolta dei sindacati e delle categorie interessate (medici in primis) contro questa ipotesi e il consistente pericolo che dalla sua attuazione scaturisse una valanga di ricorsi hanno convinto Pdl e Lega a prendere in considerazione opzioni di intervento alternative.

La prima opzione prevede la limitazione della mini-stretta ai soli riscatti della laurea lasciando tutto invariato per la contribuzione figurativa collegata al servizio militare. Ma ieri sera in commissione Bilancio al Senato ha preso quota anche l’idea di rinunciare completamente a questo intervento ricorrendo ad altre misure sulla previdenza: il ripristino dello scalone Maroni nel 2012 per le anzianità (62 anni di età e 35 di contributi) per poi arrivare a quota 100 nel 2015 oppure l’anticipo al 2012 o 2013 dell’innalzamento dell’età pensionabile per le lavoratrici private.

La decisione definitiva sulle misure da adottare sarà presa questa mattina nel corso di un vertice tra i ministri Maurizio Sacconi e Roberto Calderoli e il Tesoro; si terrà conto anche delle indicazioni dagli esponenti della maggioranza in commissione Bilancio al Senato, che hanno lavorato tutta la notte per trovare una soluzione. Già nel pomeriggio il relatore della manovra a Palazzo Madama, Antonio Azzollini (Pdl), aveva fatto riferimento a una norma transitoria per tutelare chi aveva avviato il percorso di “riscatto”. Al di là delle difficoltà di garantire una tutela solo parziale rispetto alla platea dei potenziali interessati (circa 90mila all’anno di pensionati Inps, di cui quasi 80mila con contribuzione figurativa per servizio militare, che diventerebbero 100mila considerando anche gli iscritti all’Inpdap) rimane il problema del gettito. Gli 1,5 miliardi nel biennio 2013-2014 attesi non sarebbero più garantiti da un ammorbidimento della misura.

Una misura, peraltro, a forte rischio di contenzioso. La decisione di intervenire anche su chi ha già riscattato i periodi relativi alla laurea e al servizio militare, che avrebbero avuto valore solo per l’uscita di anzianità con il sistema delle quote e per il calcolo dell’importo dell’assegno, aprirebbe con tutta probabilità la strada a migliaia di cause. E questo non sarebbe il solo nodo sul tappeto, soprattutto per chi ha riscattato la laurea. Chi va in pensione con il metodo retributivo e 40 anni di anzianità, ad esempio, può ricevere al massimo l’80% della media delle retribuzioni degli ultimi anni. In questo caso, l’esclusione degli anni di laurea dal conteggio dei 40 anni rischierebbe di valere solo per i tempi di pensionamento (con un rinvio medio di 4 anni e di 6-7 anni per i medici) ma anche per il calcolo dell’assegno, dato che il rendimento massimo non può superare l’80 per cento. Anche se nelle intenzioni della maggioranza questo problema verrebbe superato dalla decisione di prevedere il calcolo della pensione con un meccanismo di «40 anni più 4».

Da chiarire è poi la sorte dei lavoratori che avevano più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, fino ad ora rassicurati dal calcolo della loro pensione su base retributiva: lo scorporo degli anni di servizio militare e di laurea potrebbe far rientrare una fetta di questa platea tra coloro che avevano meno di 18 anni di contributi, ovvero nel gruppo del calcolo «misto» (retributivo-contributivo).
A rischio appare anche la scelta di operare una differenziazione tra chi va in pensione con le quote e mantiene intatto il meccanismo di “riscatto”, e coloro che escono con 40 anni di contributi e sono, quindi, soggetti alla stretta.

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Rigore draconiano, ultima chiamata

di Roberto Perotti

 

L’Italia è nei guai perché i mercati considerano il suo debito pubblico troppo alto. Forse i mercati si sbagliano, o forse è una congiura della finanza anglosassone, ma è un fatto.

Per cambiare opinione, i mercati vogliono vedere una manovra con tre caratteristiche: deve avere effetti immediati, deve essere quantitativamente rilevante, e deve essere gestita con autorevolezza dal Governo.

Per il gestore di un hedge fund conta solo il 2012: i grandi annunci per il 2013 o il 2020 sono irrilevanti, o addirittura controproducenti perché danno l’impressione che il Governo non comprenda la gravità della situazione. E ai suoi occhi disquisizioni infinite su Iva, Irpef e pensioni per cifre irrisorie (lo 0,05% del Pil, come è avvenuto nelle ultime settimane) sono come discutere del sesso degli angeli mentre Bisanzio sta cadendo.
Alla luce di questi tre criteri, come valutare il risultato delle tre manovre estive, inclusa quella di lunedì ad Arcore? Complessivamente, il disavanzo primario dovrebbe scendere di 24 miliardi nel 2012, un po’ più dell’1,5% del Pil; e di altri 24 miliardi nel 2013.

Se prese alla lettera, queste non sono cifre da poco, e ne va dato atto al Governo. Ma è impossibile raccogliere 48 miliardi senza far male a nessuno; l’unico modo è distribuire largamente i sacrifici così da fare meno male possibile a tutti coloro che possono permetterselo. Inizialmente, nella manovra di luglio, il Governo ha invece cercato di illudere se stesso e gli italiani che non ci fosse bisogno di interventi fino al 2014. Poi ha accusato speculatori e agenzie di rating, e nel mezzo della crisi più grave dal 1992 il premier ha usato gli scranni del Parlamento per chiedere agli italiani di investire nelle sue aziende.

Il Governo si è così ritrovato in agosto a preparare una seconda manovra affrettata; di conseguenza, ha dovuto agire prevalentemente sulle entrate (non si improvvisano tagli di spesa in pochi giorni), ha dovuto sovrastimare gli effetti per far quadrare velocemente i conti, e ha dovuto raccogliere soldi dove poteva. Dopo poche ore, ha però rimesso pubblicamente tutto in discussione. Infine l’ultimo rimescolamento lunedì ad Arcore.

La vicenda della super-Irpef è emblematica. Sono consapevole di andare controcorrente, ma la super-Irpef era un’ottima idea: visto che qualcuno deve pagare, era il modo migliore, perché trasparente e progressivo, di far pagare tutti coloro (al netto dell’evasione) che possono permetterselo. E un reddito di 100mila euro può certamente permettersi qualche centinaio di euro in tasse extra. Ci si è inventati l’idea che l’Iva fosse meno iniqua e meno depressiva, anche se le imposte indirette sono sempre state considerate regressive, e fin da prima di Keynes è idea comune che i poveri spendano e consumino più dei ricchi, in proporzione al reddito. Ne è seguito un dibattito feroce su 670 milioni di euro di gettito netto, lo 0,04% del Pil, a fronte di quasi 2mila miliardi di debito pubblico e di una spesa pensionistica di 250 miliardi.

Per evitare la super-Irpef invisa al premier, e l’Iva invisa al ministro dell’Economia, il Governo ha introdotto lunedì una misura che lascia perplessi. Dopo aver tentennato per anni prima di alzare gradualmente di qualche mese all’anno l’età pensionabile delle donne a partire dal 2016, il Governo innalza di fatto l’età pensionabile di alcuni individui di 6 anni da un giorno all’altro.

Ma anche questo provvedimento, come quello sull’età pensionabile delle donne (100 milioni nel 2017!), è irrilevante da un punto di vista macroeconomico: 500 milioni (lo 0,03% del Pil), e a partire dal 2013. La realtà dunque è che per settimane l’Italia ha dibattuto ferocemente su Irpef, Iva e pensioni, con titoli cubitali sulla “macelleria sociale”, per cifre inferiori allo 0,1% del Pil.

A tutto questo si aggiunga che i numeri della manovra erano molto probabilmente gonfiati. Le entrate da giochi dovrebbero aumentare di 1,5 miliardi; il doppio della super-Irpef, ma sebbene l’imbroglio legalizzato dei giochi ricada notoriamente in massima parte sulle fasce più povere e indifese della popolazione, nessuno ha detto niente. Fortunatamente, la cifra, come già in passato, è completamente inattendibile, a detta dello stesso Servizio studi del Senato. Così come, sempre secondo il Servizio studi, saranno difficilmente realizzabili i tagli di 3 miliardi (erano 6 prima di Arcore) agli enti territoriali, e di 6 miliardi ai ministeri.

Già in agosto la manovra era dunque probabilmente sovrastimata; dopo Arcore mancano all’appello altri miliardi. La soluzione è sempre la stessa (e non solo di questo Governo, a onor del vero): inasprire la lotta all’evasione, anche se, come è noto, ci vogliono anni per vederne gli effetti, ammesso che funzioni.

Cosa si sarebbe dovuto fare? Distribuire i sacrifici più uniformemente, coinvolgendo tutte le categorie. Per una questione di equità, ma anche di marketing politico; il Governo deve poter mostrare che, nell’ora dell’emergenza, non ha avuto riguardi per nessuno. E

cco degli esempi concreti, e quantitativamente rilevanti, con gli effetti ipotetici e largamente approssimativi (alcuni ripresi da un mio articolo con Luigi Zingales sul Sole 24 Ore del 13 luglio 2011).

– Eliminare i sussidi alle imprese: 5 miliardi. Anche le imprese devono partecipare ai sacrifici; e il Governo ne guadagnerebbe in credibilità nel confronto con i sindacati. In ogni caso, i sussidi alle imprese sono inutili e dannosi, perché annebbiano lo spirito imprenditoriale e alimentano clientelismo e corruzione.

– Super-Irpef non deducibile sui redditi superiori a 90mila euro: 3 miliardi?

– Tagli progressivi alle 600mila pensioni superiori a 2mila euro al mese, soprattutto quelle non commisurate ai versamenti effettuati: 3 miliardi?

– Tagli progressivi agli stipendi pubblici più alti: 3 miliardi? (su un totale di 171 miliardi di spesa per stipendi). Sono consapevole che toccare pensioni e stipendi pubblici è rischiosissimo. L’unico modo per attenuare il rischio è non avere riguardi per nessuno, e intervenire anche in casi simbolicamente eclatanti. Il Governo ne guadagnerebbe enormemente in immagine, e ancora una volta aumenterebbe il proprio potere contrattuale con i sindacati. Per esempio, un libro che forse non piace a intellettuali e accademici, ma che riporta spesso fatti che non si possono ignorare, Sanguisughe di Mario Giordano, sarebbe sufficiente per una prima indicazione di pensioni senza alcuna giustificazione. Il Governo ha rimandato il taglio degli stipendi della politica ai risultati di una commissione di indagine sugli stipendi in Europa. Ma bastano pochi minuti su Google per rendersi conto di alcune anomalie italiane. Per fare due esempi, secondo i dati dell’European commission for the efficiency of justice, i giudici della Corte costituzionale sembrerebbero essere fra i meglio pagati d’Europa, e godono di una straordinaria progressione salariale, per cui hanno uno dei più alti rapporti rispetto allo stipendio di un Pm a inizio carriera. L’intera Banca d’Italia gode di una struttura salariale e pensionistica molto generosa, a tutti i livelli; per quanto personalmente nutra una sincera ammirazione per il governatore e il direttore generale attuali, non si può ignorare che, come riportato dalle stesse Considerazioni finali, i loro emolumenti sono rispettivamente il quadruplo e il triplo di quello del presidente della Fed.

– Eliminazione dell’esenzione fiscale della Chiesa. Introiti difficili da quantificare, ma anche in questo caso i simboli contano almeno quanto il cash.

– Privatizzazioni, incluse le maggiori aziende partecipate (Eni, Enel, Finmeccanica, Fintecna, Rai) e le fondazioni bancarie. Le privatizzazioni hanno probabilmente un effetto marginale sul disavanzo, perché scende la spesa per interessi, ma scendono anche le entrate da dividendi e tasse. Esse vanno comunque fatte, perché segnalano un cambiamento di rotta radicale, e tagliano il sottobosco ai confini tra politica ed economia che avvelena e corrompe l’azione del Governo e dell’opposizione. Ma vanno fatte subito, coinvolgendo dei private equity fund. L’obiezione frequente che questo non è il momento di privatizzare, perché le Borse sono deboli, non è valida: anche il valore di mercato dei titoli del debito pubblico è basso, questo è il momento di ritirarli (o di non emetterli) con il ricavato delle privatizzazioni.

 

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Un’occasione importante perduta per ipocrisia

di Elsa Fornero

 

Appena partorita, rischia già di essere accantonata. O quanto meno significativamente modificata. La stretta sulle pensioni di anzianità vincolate al solo canale dei 40 anni di contribuzione, con l’esclusione dalla carriera contributiva dei riscatti della laurea e del servizio militare, decisa lunedì pomeriggio nel vertice di Arcore sulle modifiche alla manovra è subito finita nell’occhio del ciclone.

La rivolta dei sindacati e delle categorie interessate (medici in primis) contro questa ipotesi e il consistente pericolo che dalla sua attuazione scaturisse una valanga di ricorsi hanno convinto Pdl e Lega a prendere in considerazione opzioni di intervento alternative.

La prima opzione prevede la limitazione della mini-stretta ai soli riscatti della laurea lasciando tutto invariato per la contribuzione figurativa collegata al servizio militare. Ma ieri sera in commissione Bilancio al Senato ha preso quota anche l’idea di rinunciare completamente a questo intervento ricorrendo ad altre misure sulla previdenza: il ripristino dello scalone Maroni nel 2012 per le anzianità (62 anni di età e 35 di contributi) per poi arrivare a quota 100 nel 2015 oppure l’anticipo al 2012 o 2013 dell’innalzamento dell’età pensionabile per le lavoratrici private.

La decisione definitiva sulle misure da adottare sarà presa questa mattina nel corso di un vertice tra i ministri Maurizio Sacconi e Roberto Calderoli e il Tesoro; si terrà conto anche delle indicazioni dagli esponenti della maggioranza in commissione Bilancio al Senato, che hanno lavorato tutta la notte per trovare una soluzione. Già nel pomeriggio il relatore della manovra a Palazzo Madama, Antonio Azzollini (Pdl), aveva fatto riferimento a una norma transitoria per tutelare chi aveva avviato il percorso di “riscatto”. Al di là delle difficoltà di garantire una tutela solo parziale rispetto alla platea dei potenziali interessati (circa 90mila all’anno di pensionati Inps, di cui quasi 80mila con contribuzione figurativa per servizio militare, che diventerebbero 100mila considerando anche gli iscritti all’Inpdap) rimane il problema del gettito. Gli 1,5 miliardi nel biennio 2013-2014 attesi non sarebbero più garantiti da un ammorbidimento della misura.

Una misura, peraltro, a forte rischio di contenzioso. La decisione di intervenire anche su chi ha già riscattato i periodi relativi alla laurea e al servizio militare, che avrebbero avuto valore solo per l’uscita di anzianità con il sistema delle quote e per il calcolo dell’importo dell’assegno, aprirebbe con tutta probabilità la strada a migliaia di cause. E questo non sarebbe il solo nodo sul tappeto, soprattutto per chi ha riscattato la laurea. Chi va in pensione con il metodo retributivo e 40 anni di anzianità, ad esempio, può ricevere al massimo l’80% della media delle retribuzioni degli ultimi anni. In questo caso, l’esclusione degli anni di laurea dal conteggio dei 40 anni rischierebbe di valere solo per i tempi di pensionamento (con un rinvio medio di 4 anni e di 6-7 anni per i medici) ma anche per il calcolo dell’assegno, dato che il rendimento massimo non può superare l’80 per cento. Anche se nelle intenzioni della maggioranza questo problema verrebbe superato dalla decisione di prevedere il calcolo della pensione con un meccanismo di «40 anni più 4».

Da chiarire è poi la sorte dei lavoratori che avevano più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, fino ad ora rassicurati dal calcolo della loro pensione su base retributiva: lo scorporo degli anni di servizio militare e di laurea potrebbe far rientrare una fetta di questa platea tra coloro che avevano meno di 18 anni di contributi, ovvero nel gruppo del calcolo «misto» (retributivo-contributivo).
A rischio appare anche la scelta di operare una differenziazione tra chi va in pensione con le quote e mantiene intatto il meccanismo di “riscatto”, e coloro che escono con 40 anni di contributi e sono, quindi, soggetti alla stretta.

 

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da Repubblica

Manovra, caccia a cinque miliardi. Spunta il rischio di una manovra-ter

Incerto il gettito della lotta all’elusione e della stretta sulle coop. Mancano incassi certi, come il contributo di solidarietà. Sui saldi finali pesano l’incognita crescita e l’aumento degli interessi sui titoli di Stato. Così aleggia lo spettro di un nuovo intervento  

VALENTINA CONTE

I conti non tornano. Quelli dell’economia globale, dell’Europa, dell’Italia, della manovra bis. L’esercizio politico di spostare le poste come birilli ha forse preservato il consenso dei rispettivi elettorati, meno i saldi di un provvedimento d’urgenza richiesto dalla Bce per anticipare al 2013 il pareggio di bilancio. Il rischio è che, a breve, quei conti si debbano riaprire per un terzo, doloroso, intervento. Tre manovre in tre mesi, l’Italia come la Grecia, è il pericolo da scongiurare a tutti i costi.

I sintomi, però, ci sono tutti. Il vertice di Arcore di lunedì 1 ha, di fatto, aperto un primo “buco”, stimato dall’opposizione ma anche da studiosi ed economisti in almeno 5 miliardi: tolto il contributo di solidarietà (3,8 miliardi di euro in tre anni), concessi 2 miliardi di minori tagli agli enti locali (diventano 3 se uno si storna dall’introito della Robin Hood tax), le compensazioni paiono evanescenti. La stretta sulle società di comodo, la scure sulle Coop, il gettito dell’evasione passato in gestione ai Comuni, sul pallottoliere della contabilità pubblica per ora valgono zero. Così come le riforme costituzionali (abolizione delle Province e dimezzamento dei parlamentari).

Poi i dubbi di costituzionalità aperti dal caso supertassa, rimasta per pensionati e statali, e dal caso pensioni, che comunque forniranno introiti solo a partire dal 2013 (500 milioni), fanno pensare ad un’altra falla da riempire. Infine, la delega fiscale da 20 miliardi, corposa ma ancora nebulosa, che nasconde l’aumento dell’Iva.

Poi c’è il contorno. Fatto di stime sulla crescita in forte ribasso (lo diceva lunedì il Fondo monetario internazionale 2 per il mondo e l’Italia, ieri l’Istat 3e anche la Banca d’Italia 4). Interessi sui titoli di Stato italiani che lievitano a vista d’occhio (gli spread con i Bund tedeschi 5 hanno ripreso a correre). Numeri che i mercati sanno leggere benissimo e che, inevitabilmente, cambieranno le condizioni italiane per aver deficit zero nel 2013.

“Le stime sul Pil dell’Fmi possono anche peggiorare, perché calcolate senza tenere ancora in conto l’effetto comunque depressivo delle due manovre estive”, dice Mario Baldassarri, economista e senatore Fli. “Al momento la minore crescita, da qui al 2013, è stimata in due punti in meno. Ovvero un punto in più di deficit. Ovvero 15 miliardi nel 2013.

Il pareggio, nei numeri non c’è più. Servirà una manovra ter da 25-30 miliardi che non ci possiamo però permettere. A che titolo la Bce continuerà a comprare i nostri titoli?”. Tra una ventina di giorni il governo presenterà il nuovo Def, con il Pil rivisto. “Il punto è correggere i conti, subito, ma con misure strutturali”, dice Nicola Rossi, economista, gruppo misto. “Questa manovra bis, così sbilanciata sulle entrate, ne avvicina una terza. Sì, sembra proprio l’iter greco”.

 

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da La Stampa

Il cetriolo globale

Massimo Gramellini

L’Italia divorzia da se stessa, ma nessuno vuole pagare gli alimenti. Tutti vagheggiano la Manovra Perfetta, quella dove a pagare sono sempre gli altri. Al gran festival dello scaricabarile metto in prima fila il sottoscritto: nelle ultime settimane ho tuonato contro la supertassa per i redditi alti, lo sfoltimento dei piccoli comuni e l’abolizione delle pensioni di anzianità. Ogni volta avevo ragione, ma complessivamente ho torto. Perché alla fine qualcuno deve pagare il conto di questa lunga festa chiamata Stato Sociale (festa piena di sprechi, ma anche di sicurezze che rimpiangeremo) e non basta evocare i soliti mantra propiziatori: la caccia agli evasori e il dimezzamento della Casta, cioè due sogni che se anche diventassero realtà produrrebbero i primi effetti sul bilancio pubblico fra qualche anno: troppo tardi per un Paese che ha i creditori alla porta e la gioventù più disoccupata e anziana d’Europa.

Invece il cetriolo della crisi non piace a nessuno e se oggi sorridono le vittime di Ferragosto è perché piangono altri: i dirigenti pubblici, rimasti gli unici a versare il contributo di solidarietà, e i laureati che dopo aver pagato il ricongiungimento dei loro studi si ritrovano un altro quinquennio di lavoro sul groppone. Ma quando il governo dei sondaggi asciugherà anche le loro lacrime mettendoli in salvo – da noi una norma transitoria non si nega a nessuno – resterà la soluzione finale: far pagare i debiti degli italiani ai tedeschi, dando in garanzia alla Merkel un’ipoteca sulla scelta del prossimo inquilino di Palazzo Chigi.

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