Ma se ce s’era un altro – anch’esso «politico», perché attinente a chi, dall’opera di questo governo, aveva tratto il massimo dei vantaggi, ora anch’esso viene superato con l’aria seriosa di chi «non ne ha mai sbagliata una».
Emma Marcegaglia ha valicato il Rubicone dell’improntitudine presentando il «manifesto delle imprese per salvare l’Italia». Il resoconto del fedele dipendente de Il Sole 24 Ore non può che ricalcare pienamente spirito e merito del discorso della «presidentessa». Quindi è oro colato.
Vediamo cosa c’è scritto, accompagnando «le proposte» con le «argomentazioni».
Al primo punto c’è la semprepresente «Riforma delle pensioni che «non deve penalizzare i giovani». Si potrebbe già ironizzare sul grassetto riservato alla prima parte della frase e il corpo normale della seconda parte. Ma sarebbe far torto alla «sincerità involontaria» del giornalista. La sua presidentessa è infatti una bugiarda patentata che giustifica in questo modo il punto: «Non è possibile – ha ribadito – che un Paese con i problemi che abbiamo noi, mandi le persone in pensione a 58 anni, con assegni molto alti, mentre domani i giovani ci andranno a 70 anni se non di più, con assegni pari alla metà di adesso. Non è possibile».
La signora glissa tranquillamente sulla modificazione della struttura del mercato del lavoro che proprio la sua associazione di imprese ha preteso dai governi di destra e di centrosinistra. «»Riforme» benedette a suo tempo e che hanno creato un fascia di precariato immensa e crescente, fatta di lavoratori intermittenti che in pensione non ci andranno mai, per la buona ragione che non avranno – se saranno rimasti vivi, dopo una cinquantina d’anni di precarietà – un assegno mensile in grado di sfamarli. Ma la menzogna criminale sta in quel confronto tra il «58enne» che va in pensione oggi e il 70enne di domani: omette di dire, miss «so tutto io», che il primo ha lavorato per 40 anni filati, mentre il secondo probabilmente non ha speranze di riuscirci. Ma il tono scandalizzato serve a nascondere la verità: hanno imparato tutti da Berlusconi, questi padroncini senza onore e senza struttura industriale.
Al secondo c’è il classicissimo «Vendere patrimonio pubblico per ridurre la spesa pubblica». Ovvio: quelli che hanno un po’ di liquidi da parte – e i padroncini italiani devono averne, visto che non fanno investimenti dalla guerre puniche – vedono una buona occasione di fare affari «immobiliari». Ovvero quella forma di «imprenditoria» che non genera ricchezza, ma «congela» (immobilizza poteva sembrarvi ripetitivo) quella esistente. Dovrebbe esser noto che il «patrimonio», una volta venduto, non si rigenera. E che, perciò, lo Stato come lo si conosce dovrebbe a quel punto esser letteralmente demolito. Salvando magari qualche soldo per la polizia, chiamata a far la scorta – a spese nostre – alla signora Marcegaglia e ai suo colleghi.
«Abbassare il debito e ridurre l’ingerenza del pubblico nell’economia» è il terzo comandamento di queste nuove tavole della legge. In realtà è un’articolazione del quarto punto («Piano di privatizzazioni e di liberalizzazioni serio»), perché l’unico ingerenza pubblica nell’economia sono le quote di riferimento in Eni, Enel, Finmeccanica, Ferrovie dello stato e poco altro, oltre a un numero alto di aziende di servizi municipali posseduti da Regioni e Comuni. Non faremo osservare alla signora «dateci le imprese buone, questa è una rapina!», che c’è stato un referendum che ha chiarito come sui «beni comuni» (acqua, trasporti pubblici, ma anche forniture elettriche) la stragrande maggioranza degli italiani dotati di cervello abbia detto con voce tonante «NO». Lei non era d’accordo, e quindi quel referendum non esiste. Segnatevi la cosa, perché se bisognerà di discutere di «democrazia», questa è la borgesia imprenditoriale che ci ritroviamo. L’idea, insomma, è di fare come Colaninno con Telecom: comprare, magari a debito, e rivendere a prezzo più alto (c’è la libera impresa, no?). Tanto una multinazionale straniera, capace di fare industria per davvero – e altrettanto in panico per l’andamento dei mercati finanziari – si può sempre trovare.
L’ultimo sono ovviamente le Infrastrutture. Bisogna capirla, poverina… Lei in fondo ha fatto un sacco di soldi lavorando a spese dello stato, fornendo tubi per tutti i gusti e tutte le esigenze. E poi i «costruttori» di grandi opere (Impregilo, Astaldi, ecc) sono pur sempre una quota rilevante nel board confindustriale. Mica si possono dimenticare facilmente… Rimane il dubbio su a che cosa si riferisce cone quei «dubbi di testa». Forse a quei «testoni» della Val Susa, che guidano la resistenza alle opere inutili ma costose…
Ecco. Questo è quel che vuol fare la «borghesia imprenditoriale» di questo paese. Nulla di più, ma se è necessario anche qualcosa di meno ambizioso. Naturalmente, «per salvare l’Italia», mica per interesse!
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Marcegaglia: pronto manifesto delle imprese per salvare l’Italia
di Dino Pesole
Confindustria, insieme con altre associazioni imprenditoriali, presenterà al Governo «un manifesto delle imprese in cinque punti per salvare l’Italia» sulle riforme da fare in fretta, ha annunciato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, intervenendo all’assemblea di Confindustria Toscana. «Vogliamo una vera discontinuità – ha spiegato – la vogliamo velocemente, non siamo disponibili a vedere questa situazione di stallo. Presenteremo al Governo un documento, insieme con le altre associazioni di imprese, un manifesto delle imprese per salvare l’Italia, per cambiare le aspettative e tornare a crescere. Se il Governo è disponibile a parlare con noi sulle grandi riforme siamo pronti, se il Governo vuole andare avanti sulle piccole cose noi non siamo interessati, noi scindiamo le nostre responsabilità perché vogliamo un cambiamento vero. È inutile perdere tempo».
Marcegaglia boccia la manovra del Governo: «Non c’è niente che riduca la spesa dello Stato», e ha illustrato agli imprenditori toscani riuniti a Firenze, i punti chiave di «un documento che dica quali sono per noi le riforme da fare». In primo luogo, c’è l’obiettivo della «riduzione della spesa pubblica». Per Marcegaglia, non servono «i tagli lineari, ma bisogna guardare alle singole cose, costo per costo». Viene poi la «riforma delle pensioni. Non è possibile – ha ribadito – che un Paese con i problemi che abbiamo noi, mandi le persone in pensione a 58 anni, con assegni molto alti, mentre domani i giovani ci andranno a 70 anni se non di più, con assegni pari alla metà di adesso. Non è possibile». Sempre nell’ambito del secondo punto, il rapporto tra fisco e impresa: «dobbiamo abbassare il cuneo contributivo fiscale, a partire proprio dai giovani», ha detto Marcegaglia, che ha lanciato un appello per «iniziative serie e concrete».
1 Riforma delle pensioni che «non deve penalizzare i giovani»
2 Vendere patrimonio pubblico per ridurre la spesa pubblica
3 Abbassare il debito e ridurre ingerenza del pubblico nell’economia
4 Piano di privatizzazioni e di liberalizzazioni serio. «Nell’ultima manovra – accusa Marcegaglia – sono stati citati alcuni capitoli sulle liberalizzazioni, ma se andiamo a vedere cosa c’è, non c’è niente». Inaccettabile, per Marcegaglia che esistano ancora «le tariffe minime: non è giusto che ci sia un pezzo del paese che lavora nel libero mercato e un altro pezzo che è protetta e ha le tariffe minime e scarica sugli altri i proprio costi». Quanto alla «liberalizzazione dei servizi pubblici locali, tutto questo aiuterebbe a far crescere l’economica del Paese».
5 Infrastrutture Il quinto e ultimo punto, le infrastrutture. Il presidente di Confindustria ha chiesto di «levare i vincoli burocratici e di testa che impediscono a investimenti magari già finanziati da pubblico e privato.
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I 9 punti del “manifesto del sole 24 ore” era un poco più articolato:
1 – Riduzione della tassazione sul lavoro che porti a un alleggerimento dell’Irap attraverso una rimodulazione dell’Iva. Questa ricomposizione darebbe più slancio al Pil, perché la riduzione del costo del lavoro agisce su competitività, prezzi e margini delle imprese e ampiamente compensa l’effetto negativo sui consumi dell’inasprimento dell’Iva. Per evitare che la maggior aliquota Iva finisca in maggiore evasione occorre potenziare gli strumenti di controllo.
2 -L’innalzamento dell’età pensionabile obbligatorio per tutti a 70 anni, accorciando il percorso che, con l’ultima manovra, farebbe raggiungere tale soglia nel 2050, per arrivarvi entro il 2020. Ciò permetterebbe di pagare pensioni più elevate e di ridurre gradualmente il carico dei contributi sociali molto elevati.
3 – L’Europa adotti eurobond (titoli di debito europeo) per sostenere i Paesi in difficoltà, evitando l’innalzamento nell’area euro dei tassi e garantendo la possibilità per tutti i Paesi membri di finanziarsi a costi accettabili. L’Efsf (ma si possono immaginare anche altri emittenti come la Bei o il nuovo veicolo Esm) potrebbe collocare bond fino a 2.000 miliardi (dagli attuali 225) con garanzie pari a circa 3.500 miliardi. Questa raccolta potrebbe servire anche a sostenere direttamente (e non a parole) investimenti in infrastrutture transnazionali con una importante ricaduta anche per l’Italia.
4 – Scossa forte sulle privatizzazioni a cominciare dalla Rai e dalle aziende di public utility oggi possedute da enti locali o da loro controllate. Al di là dei vantaggi diretti sul debito e quindi del risparmio sulla spesa per interessi, si ridurrebbe drasticamente l’intervento diretto della politica (e delle sue logiche spartitorie e di arricchimento) nella produzione di beni e servizi.
5 – Un piano di liberalizzazione di licenze e orari per tutte le attività del commercio, servizi, farmacie, para-farmacie e reti distributive. Liberalizzazione delle professioni. Potenziamento del ruolo dell’Antitrust. Adozione del principio per cui nessun cittadino e nessuna impresa sono tenuti a presentare certificazioni che sono già in possesso della pubblica amministrazione.
6 – Definire un patto di stabilità interno effettivamente non derogabile sui parametri dei costi standard per la spesa sanitaria.
7 – Aumento delle rette universitarie. Non c’è motivo per cui chi può permetterselo non debba pagare in modo adeguato l’investimento formativo dei figli. Gli studenti meritevoli e non abbienti vanno invece sostenuti con un sistema generoso e mirato di borse di studio e/o di prestiti (come in numerose esperienze straniere).
Ciò spingerebbe a migliorare nettamente la gestione delle università, perché ne farebbe dipendere il finanziamento in modo più marcato e diretto da quanto gli studenti versano. Abolizione del valore legale del titolo di studio, per cui non varrà più che un diploma ottenuto abbia lo stesso valore indipendentemente dalla bontà dell’ateneo in cui è stato conseguito.
8 – Trasparenza della pubblica amministrazione:una forte iniziativa con l’adozione di una legge per la libertà d’informazione (“Freedom of Information Act”, secondo le migliori esperienze straniere). Questo consentirebbe di monitorare l’operato dei funzionari pubblici e li renderebbe più responsabili di inutili ritardi, evitando il rimpallo delle pratiche tra un ufficio e l’altro.
9 – Riduzione dei costi della politica: adeguamento immediato delle indennità dei parlamentari e del numero degli eletti alla media europea, abolizione delle Province e accorpamento dei Comuni più piccoli, dimezzamento delle rappresentanze dei consigli regionali, comunali e circoscrizionali e riduzione dei componenti dei cda di tutte le società controllate dagli enti locali. Queste scelte possono avere un significato speciale per restituire credibilità alle istituzioni.
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