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Napolitano guida l’offensiva finale

 

“Padania? Grottesco”, “Fare subito quel che chiede il mondo delle imprese”, “serve una nuova legge elettorale” e via enumerando in un crescendo di esternazioni che fa rimpiangere il peggior Cossiga.

Saltano così anche tutti gli argini istituzionali, perché con la sua azione – che ovviamente viene benedetta dal centrosinistra – trasforma il proprio ruolo in modo irreversibile. Avviando di fatto il paese verso una deriva “presidenzialista”. Ma non sembra davvero esserci nulla di peggio degli “ex comunisti miglioristi” convertiti alle ritualità in gonnellino e compasso.

Anche qui, l’allibita – per molti versi – rassegna stampa quotidiana.

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da La Stampa

Il premier sconcertato. “Attacco pesantissimo”

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
E’ un attacco politico pesantissimo. Napolitano vuole rompere la nostra alleanza con la Lega, ma non possiamo permetterlo perché è probabile che andremo a elezioni nel 2012». Già prima dell’intervento del Capo dello Stato («a gamba tesa», dicono a Palazzo Grazioli) Berlusconi sapeva a che punto era arrivata la rabbia di Napolitano sulla politicizzazione della vicenda Bankitalia. La terna di nomi, il terzo candidato, vertici di maggioranza, votazioni in Consiglio dei ministri, lo scontro con Tremonti. E poi, la ciliegina sulla torta: Bossi che appoggia Grilli perché è di Milano. Roba dell’altro mondo, uno spettacolo indecoroso per il Colle.

Da qui la reazione che a Palazzo Chigi si aspettavano. Quello che non si aspettavano è il tono interventista, che a Berlusconi ricorda un po’ Cossiga e un po’ Scalfaro, pro-referendari, con tanto di riferimento ai collegi uninominali del Mattarellum e alle preferenze. Ma cosa c’è, oltre a tutto questo, dietro le parole di Napolitano? Il sospetto che si insinua nelle fibre berlusconiane è che il Capo dello Stato voglia far saltare il banco e che stia preparando un incidente con la Lega e una manovra per dare vita a un altro governo che faccia la legge elettorale. Meno cervellotico è un altro sospetto. Che il Presidente abbia mangiato la foglia dei ragionamenti che si fanno nella cerchia ristretta di Berlusconi. Se i referendum verranno ammessi, per evitare che si arrivi al voto che cambia il sistema elettorale, l’idea è puntare tutte le fiches sullo scioglimento del Parlamento.

Le urne si aprirebbero, sì, ma per le elezioni politiche, e con questa legge elettorale che spinge alle alleanze e consegna ai vertici dei partiti la nomina dei candidati grazie alle liste bloccate. Tenere la barra sul bipolarismo, ma l’accordo sulla legge elettorale è lontano, dentro la maggioranza e con l’opposizione. Se poi si andrà al voto politico nel 2012 il candidato sarebbe ancora una volta Berlusconi, che non ha intenzione di mollare sull’onda delle inchieste giudiziarie, cacciato e inseguito come Craxi. «Non scappo. Se perdo le elezioni almeno le perdo con onore». Insomma, ora il rischio elezioni anticipate nella primavera 2012 (a marzo?) diventa più concreto. Il referendum elettorale ha fatto irruzione nei già fragili equilibri politici della maggioranza come una palla da bowling tra i birilli. Si moltiplicano i problemi per il centrodestra.

La Confindustria che va all’attacco sul decreto sviluppo. Di quei cinque punti, spiegano a Palazzo Chigi, ne verranno accolti almeno due. Ma di patrimoniale non se ne parla. Forse qualcosa si farà sulle pensioni di anzianità e ci si concentra sulle dismissioni. La partita sulla Banca d’Italia non è risolta. E’ stata messa in circolazione l’idea dell’outsider che metta d’accordo Bossi e Tremonti, ma è Saccomanni in pole position. Tutte queste partite passano però per le preoccupazioni di Berlusconi sulle sue vicende giudiziarie. Vuole evitare assolutamente una condanna, spinge l’acceleratore sul provvedimento che limita la pubblicazione delle intercettazioni. Una corsa contro il tempo.

Ma il Cavaliere ha confidato amareggiato a chi lo ha sentito in questi giorni che comunque una condanna l’ha già subita. «La condanna più grande è di essere stato costretto ha buttare a mare 25 anni di lavoro». Berlusconi si riferisce a quel miliardo che ha dovuto spendere tra spese legali e il risarcimento all’editore di Repubblica De Benedetti. Il Cavaliere però è convinto di avere ancora molte frecce nel suo arco. E si sta preparando alle elezioni. Vorrebbe riesumare il logo di Forza Italia. Ha chiesto il parere agli ex An, che sono contrari. Ma l’impressione è che si vada in questa direzione. Forse vorrà dire qualcosa che in questi giorni sono comparsi dei manifesti del Pdl con lo slogan «per un’Italia più forte».

 

Dal Corriere della sera

 

Un Colle interventista addita l’involuzione di un partito in crisi

Le reazioni infuriate della Lega e l’imbarazzo del governo

Parole così sferzanti nei confronti della Lega non si ricordavano da tempo. Ma se il presidente della Repubblica ha deciso di pronunciarle, significa che qualcosa è cambiato non tanto in Giorgio Napolitano ma nel movimento di Umberto Bossi. È finita quell’«evoluzione positiva» che il capo dello Stato aveva assecondato a partire dal 2006: l’abbandono dei progetti visionari e velleitari del professor Gianfranco Miglio, ideologo della secessione del Nord padano dall’Italia. E si cominciano invece a notare i segni di un’involuzione. Un Carroccio reduce dalla sconfitta elettorale alle amministrative di maggio sbanda, lacerato fra l’identità di partito ministeriale e di lotta. E torna ai vecchi miti. Ma il Quirinale indovina anche un cambiamento più profondo, nel Paese: le perplessità nei confronti di una legge elettorale che non accorcia ma dilata le distanze fra la classe politica e chi la vota. E ne chiede una nuova.

Così, in un solo giorno Napolitano ha infranto due tabù. Il primo è un altolà che sembra fatto per riportare Bossi sulla strada di un leghismo responsabile; per impedirgli di inseguire una deriva destinata a rendere il principale alleato di Silvio Berlusconi una forza che va contro «il corso della storia». D’altronde, per un Quirinale che negli ultimi anni ha coltivato un dialogo rispettoso e costante con la Lega, il rinculo di Bossi su posizioni passatiste e di rottura dell’unità d’Italia è inaccettabile. L’ammonimento a rispettare la Costituzione e a non accarezzare operazioni che a Sud si chiamavano separatiste, è accompagnato da una durezza che somiglia ad uno schiaffo.

Non esiste una via democratica alla secessione, avverte il presidente della Repubblica, come non esiste «il popolo padano». «Sono grida che si levano dai prati con scarsa conoscenza della Costituzione», ironizza a proposito dell’ultimo raduno a Pontida. E lascia capire che se «dalle grida, dalla propaganda, dallo sventolio di bandiere si passasse ad atti preparatori di qualcosa di simile alla secessione, tutto cambierebbe». Napolitano ricorda quando alla fine della Seconda guerra mondiale lo Stato italiano in embrione arrestò il separatista Andrea Finocchiaro Aprile, che vagheggiava l’indipendenza della Sicilia. È un accostamento che assimila tentazioni vissute nel Mezzogiorno come al Nord.

E colpisce una Lega già in difficoltà: contestata dai militanti per l’appiattimento sul governo; divisa sul dopo- Bossi; e senza una strategia per il futuro. Al punto che c’è da chiedersi quali effetti l’esternazione del capo dello Stato avrà sulla maggioranza. Il silenzio di Berlusconi dimostra tutto l’imbarazzo di Palazzo Chigi, che non può applaudire Napolitano senza rischiare la lite col Carroccio. E le reazioni infuriate e grevi che rimbalzano su Radio Padania e in qualche commento dei vertici leghisti contro il Quirinale confermano un partito con i nervi scoperti; e spiazzato dall’attacco diretto che un Napolitano all’apice della popolarità sferra su un tema popolare come l’unità d’Italia. Ma è altrettanto insidioso l’appello presidenziale ad una riforma del sistema elettorale. Si tratta del secondo tabù che il capo dello Stato rompe.

Consigliare una nuova legge perché l’attuale «ha interrotto un rapporto che esisteva fra elettore ed eletto», intercetta un’insoddisfazione diffusa. Dà ragione a quanti vedono deputati e senatori oggi di fatto designati dalle segreterie di partito e non scelti dagli elettori. «Non voglio idoleggiare sistemi elettorali del passato», si schermisce Napolitano, «ma solo dire che prima c’era un collegamento più diretto». Sembra un invito al Parlamento a rimediare, prima che a primavera si celebri un referendum promosso con una forte caratura antipolitica; e una implicita rivalutazione dei sistemi del passato, compreso quello delle preferenze, cancellato dal referendum del 1993 e demonizzato come un simbolo della Prima Repubblica. In una fase in cui anche la Seconda Repubblica mostra tutte le sue rughe, non ci sono più ricette esclusive.

Massimo Franco

 

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Napolitano: «Il popolo padano non esiste
E la legge elettorale andrebbe cambiata»

Il capo dello Stato: «Nella Costituzione non c’è possibilità di una via democratica alla secessione»

NAPOLI – «Nell’ambito della Costituzione e delle leggi non c’è spazio per una via democratica alla secessione». È quanto ha affermato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel discorso alla facoltà di Giurisprudenza di Napoli. Napolitano ha poi sottolineato che «non c’è un popolo padano». E ancora: «Si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia». Un riferimento indiretto ai raduni della Lega Nord nel «pratone» di Pontida che ogni anno celebrano il movimento di Umberto Bossi nella «città del giuramento» (quello della Lega Lombarda che si unì contro il Barbarossa). Il capo dello Stato ha poi ricordato che «nel ’43-’44 l’appena rinato Stato italiano, di fronte a un tentativo di organizzazione armata separatista, non esitò a intervenire in modo piuttosto pesante con la detenzione di Finocchiaro Aprile».

«STATO LOMBARDO-VENETO? GROTTESCO» – «Ho avuto modo di dire che la secessione è fuori dalla storia e ho aggiunto fuori dalla realtà del mondo di oggi – ha detto ancora Napolitano – . Perchè se si guarda al mondo d’oggi appare grottesco semplicemente il proporsi di creare che cosa?. Uno Stato Lombardo-Veneto? Che quindi calchi la scena mondiale competendo poi con la Cina, con l’India, con il Brasile, con gli Stati Uniti, con la Russia… Mi pare che il livello di grottesco sia tale che dovrebbe bastare questo richiamo a far capire che si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia». )

UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE – Secondo Napolitano il sistema elettorale vigente «ha rotto il rapporto di responsabilità tra elettore ed eletto». Per questo ha parlato dell’opportunità di una nuova legge per la scelta dei rappresentanti del popolo in Parlamento. «Ritengo che forse è maturata già da un pezzo – ha sottolineato – e che si stia andando verso un riconoscimento a cui pochi possono sfuggire della necessità di un meccanismo elettorale che faciliti un ritorno di fiducia». «Non voglio idealizzare o idoleggiare i modelli del passato – ha aggiunto però il presidente della Repubblica -, perchè sappiamo quanto la pratica delle preferenze grondasse di negatività ma era una forma di collegamento più diretto» tra eletto ed elettore.

SQUILIBRI UOMINI-DONNE – Napolitano ha affrontato anche altri temi, tra cui quello delle pari opportunità. «Sono rimasti squilibri molto grandi tra gli uomini e le donne – ha detto – ma sono stati fatti anche grandi passi avanti». «Il campo in cui è più sottovalutata la presenza femminile – ha aggiunto – è la politica e le istituzioni e su questo non ci sono dubbi». Il presidente ha poi concluso sottolineando: «Verissimo che non c’è mai stato un presidente della Repubblica donna ma di questo non mi sento colpevole».

CAMBIARLA IN PARLAMENTO – «Come sempre, il Capo dello Stato ha detto parole assolutamente condivisibili» ha poco dopo sottolineato il presidente della Camera, Gianfranco Fini. «L’attuale legge elettorale – ha evidenziato – ha rotto il rapporto tra eletto e elettore. Va cambiata. Un milione e 210mila firme sono la dimostrazione di una volontà e una partecipazione di tanti cittadini. Adesso mi auguro che si riesca per davvero a cambiare la legge, non necessariamente attraverso il referendum, ma anche attraverso il lavoro che dovrà svilupparsi in Parlamento».

Redazione Online

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dalla Reuters

Secessione, Napolitano: “grottesco” parlare di stato padano

venerdì 30 settembre 2011 18:04

NAPOLI (Reuters) – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tornato oggi a commentare le richieste di secessione arrivate dalla Lega Nord, sostenendo che è “grottesco” ipotizzare uno stato lombardo-veneto che si possa confrontare con le grandi potenze del mondo.

Rispondendo all’Università di Napoli a una domanda del costituzionalista Massimo Villone sulle nuove richieste leghiste di secessione, Napolitano ha sottolineato che è lecito parlarne nell’ambito della Costituzione ma “ove dalle chiacchiere, ove dalle grida, ove dallo sventolio della bandiere si passasse ad atti preparatori che richiamano alla secessione è ovvio che tutto cambierebbe”.

“E’ vero che nel 1943-44, quando ci fu un tentativo di separazione anche armata, quell’accenno di Stato appena nato non esitò a intervenire anche con la detenzione del capo del gruppo separatista”, ha detto facendo riferimento ad Andrea Finocchiaro Aprile, capo del Movimento indipendentista siciliano degli anni 40.

“Se si guarda al mondo d’oggi appare grottesco pensare ad uno stato lombardo-veneto che si deve confrontare con il resto del mondo, con paesi come la Cina, Stati Uniti, Russia”, ha aggiunto Napolitano. “Basta questo per capire che si può strillare in un prato, ma non si può cambiare il corso della storia”.

Il capo dello Stato ha poi detto ai giovani che bisogna “stare dentro politica per cambiarne le modalità”.

“I partiti, non c’è dubbio che non sono sostituibili…ma un tempo si parlava di una funzione pedagogica, bisogna vedere se oggi si può ancora decentemente riconoscere questa caratteristica o se c’è una sorta di pedagogia al rovescio”.

Per quanto riguarda la legge elettorale — per cambiare la quale con un referendum sono state consegnate oggi alla Cassazione oltre un milione di firme — Napolitano ha detto che necessaria una nuova legge perché si è rotto il rapporto di fiducia tra elettore ed eletto.

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