Anche se ha perso molti poteri a favore della Banca centra europea – la politica dei tassi di interesse e la stampa della moneta – palazzo Koch resta un’istituzione centrale nella regolazione del capitalismo italiano. Solo per dirmne una, esercita la vigilanza sul sistema bancario.
Storicamente, questa istituzione è stata tenuta fuori sia dalle “pressioni politiche” sia dalle battaglie interne alla borghesia italiana. Il massimo del tentativo di condizionarla fu fatto però da Andreotti, per il tramite del giudice romano Alibrandi (padre di Alessandro, terrorista dei Nar poi ucciso in un scontro a fuoco con la polizia), che fece arrestare l’allora governtaore Paolo Bafffi e il direttore generale Maio Sarcinelli.
Riuscire a trascinare la Banca d’ Italia nel gorgo dei colpi bassi che si distribuiscono un gruppo di masnadieri pochi minuti prima di abbandonare la nave è un primato – negativo, ovviamente – che nessuno riuscirà a togliere al berlusconi, Tremonti e Bossi. la vera “cifra”, la “statura” di questo governo – per la borghesia nazionale e internazionale – sta già tutta in queso tira-e-molla.
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Per un mistero glorioso dell’informatica il testo originale che avevamo scritto a proposito è andato perduto. Ce ne scusiamo con i lettori.
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dal Corriere della Sera
Come pasticcio un capolavoro
Una vicenda surreale. La nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia non solo non è stata sottratta a un vergognoso gioco di veti incrociati della politica italiana, ma rischia di concludersi con l’indicazione di un candidato agevolata da un ultimatum del presidente francese. Questo senza nulla togliere alle qualità indiscusse di Lorenzo Bini Smaghi, membro della Bce che – secondo gli accordi italo-francesi – avrebbe dovuto dimettersi dall’incarico prima dell’arrivo di Draghi a Francoforte. Ma non lo ha fatto, eccependo fondate ragioni legate alla indipendenza dell’organismo. È lecito chiedersi se, senza il diktat di un irascibile Sarkozy, l’esito sarebbe lo stesso. Certo, l’Eliseo non accetta l’idea di avere dal primo novembre un consiglio con due italiani e nessun francese. Ma qualcuno forse potrebbe far notare a Sarkozy che tra l’uscita di Noyer dalla Bce nel giugno del 2002, destinato alla Banque de France, e l’arrivo di Trichet alla presidenza, trascorse un anno e mezzo. Difficile però tener testa a un leader che nel momento in cui ha appoggiato ufficialmente Draghi, si è rivolto sprezzante, e non contraddetto, a Berlusconi dicendogli: «Spero che questa nomina non dispiaccia troppo al suo ministro dell’Economia». L’avversione di Tremonti per Draghi era già di pubblico dominio e quel dualismo ha indebolito la nostra posizione all’estero al pari dell’irrilevanza dell’esecutivo sulle principali questioni europee, immagine a parte.
Il presidente della Repubblica ha seguito questa procedura di nomina con attenzione e preoccupazione. Nei limiti del suo ruolo. Ne ha parlato per la prima volta con il premier il 22 giugno. Da allora ha sollecitato una decisione autonoma e personale (così prevede la legge del 2005) da presentare al consiglio superiore della Banca, che ha potere consultivo, nel rispetto della continuità e dell’autonomia di un’istituzione di garanzia così importante per il Paese. Ma, soprattutto, ha suggerito una decisione veloce. Se il premier non si fosse baloccato fra spinte diverse – Tremonti che voleva a tutti i costi il suo direttore generale Grilli, le sollecitazioni per una scelta interna, Saccomanni -, non avremmo assistito a una sguaiata lite su un ruolo così delicato, in cui tutti i politici si sono sentiti autorizzati a dire la loro mentre a Bruxelles, dove si decidevano i destini dell’euro, eravamo semplicemente assenti. Bossi è arrivato addirittura a indicare Grilli solo perché milanese.
Fonti del governo sostengono che la scelta cadrebbe su Bini Smaghi anche per l’impossibilità di trovargli una collocazione di pari dignità. Un incarico che possa accettare per dimettersi dalla Bce, senza dare l’impressione di un’ingerenza della politica in un organo la cui indipendenza è garantita da un trattato. Insomma, un enorme groviglio. Una procedura pasticciata. Una plateale dimostrazione di mancanza di leadership e persino di dignità nazionale. Oggi vedremo quale sarà l’esito finale. Un risultato è già acquisito, purtroppo. Chiunque sarà il nuovo Governatore dovrà rimontare uno spiacevole vulnus di immagine derivato della tempestosa e farraginosa procedura di nomina. Il timore è anche quello di una serie di dimissioni (da Saccomanni a Visco) da via Nazionale, gesto estremo, sconsigliabile a funzionari dello Stato, che farebbe precipitare la farsa della nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia in un dramma istituzionale di difficile ricomposizione.
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da Il Sole 24 Ore
Bini Smaghi in pole position per succedere a Mario Draghi
dal nostro inviato Rossella Bocciarelli
FRANCOFORTE – «Non ne so nulla. Non posso parlare». Lorenzo Bini Smaghi, esponente italiano del board della Bce non ha proprio voglia di parlare di quei rumors che rimbalzano da Roma secondo i quali il presidente del consiglio sarebbe intenzionato a fare il suo nome nella “lettera” che partirà quest’oggi, indirizzata al Consiglio superiore della Banca d’Italia, a cui spetta per legge un motivato e obbligatorio parere, prima che la nomina del successore di Mario Draghi alla guida di via Nazionale sia perfezionata.
Così, dribbla i giornalisti e si mette tranquillamente a chiacchierare, nei saloni dell’Alte Oper con quello che oggi appare come il suo principale avversario nella gara per la poltrona di numero uno a Banca d’Italia e una volta era il suo direttore a via Nazionale: Fabrizio Saccomanni. «Abbiamo parlato delle mogli» dirà poi Saccomanni.
Ma la prima informazione, ieri mattina, l’ha data a Roma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi chiarendo che «domani (oggi per chi legge, ndr) parte la lettera». Segno che una procedura si sta mettendo in moto: ieri mattina, infatti, Berlusconi accompagnato da Gianni Letta è salito al Quirinale e ha insistito sul nome di Bini Smaghi come candidato «meno divisivo». Anche se il Capo dello Stato avrebbe espresso i suoi timori di turbare la serenità di un’istituzione come Bankitalia che ha sempre fatto quadrato su un’ipotesi di continuità di gestione per la successione a Draghi.
Per Berlusconi l’opzione Bini Smaghi avrebbe il pregio di risolvere la “querelle” sorta con la Francia per il seggio all’interno del consiglio della Bce. Nicolas Sarkozy si aspetta infatti che entro il 1° novembre il componente italiano annunci la sua intenzione di lasciare, facendo spazio a un francese. Un aspetto, quello della ragion di stato, che ieri è stato sottolineato anche dall’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi. «Penso che domani avremo il nome del nuovo governatore della Banca d’Italia perché altrimenti l’indicazione la darà Nicolas Sarkozy. Bisogna sbrigarsi».
Contro la candidatura Saccomanni, che continua comunque ad essere in corsa, avrebbe continuato a pesare l’irriducibile contrarietà del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Non a caso anche ieri per bocca del leader della Lega Umberto Bossi è stata riproposta con forza la candidatura del direttore generale del ministero dell’Economia Vittorio Grilli, forse esibita a questo punto soprattutto per contrastare il candidato espresso da Bankitalia.
Non è da escludere tuttavia che nel rush finale di questa lunga, complicata e confusa partita emerga l’outsider: ieri sera si parlava ancora di chance per il vicedirettore generale Ignazio Visco (uomo del dialogo fra Banca d’Italia e Tesoro) o per l’altro esponente del direttorio Anna Maria Tarantola (il “controllore” delle banche).
Forti proteste per non essere stati nemmeno ascoltati al momento di definire la successione sono arrivate, poi, tanto dal leader del Pd Pierluigi Bersani quanto dal segretario dell’Udc Pierferdinando Casini (si veda pezzo in pagina).
Appare improbabile, in ogni caso, che la seduta straordinaria del Consiglio Superiore della Banca, che dovrà dare il suo parere obbligatorio ma non vincolante, possa essere convocata in anticipo rispetto all’appuntamento di lunedì prossimo.
Per quella data, infatti, il Governatore Mario Draghi ha convocato il Consiglio in seduta ordinaria e, in caso di avvio dell’iter di nomina per il nuovo Governatore, l’organismo parte della governance della banca terrebbe anche la seduta straordinaria, presieduta dal consigliere anziano Paolo Blasi, per dare il parere per il quale è sufficiente una maggioranza di due terzi.
In teoria il Consiglio Superiore potrebbe esprimersi, secondo un’autorevole fonte, anche su una rosa di nomi nel caso in cui il Governo non riuscisse a sciogliere il nodo tra i vari candidati emersi in questi mesi e presentasse una lista con più nominativi. In quel caso, però, verrebbe dato al Consiglio Superiore una sorta di potere di scelta che la legge non prevede.
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I dubbi del Quirinale: salvaguardare la continuità
di Dino Pesole
Ieri mattina, poco prima dell’inizio della cerimonia al Quirinale per la consegna delle insegne di cavalieri del lavoro, Silvio Berlusconi ha motivato così al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano la sua decisione di designare Lorenzo Bini Smaghi alla guida della Banca d’Italia: si tratta di una candidatura «che in questo preciso contesto è la meno divisiva». La risposta di Napolitano è stata altrettanto esplicita: la designazione spetta al premier, e allora «se ne assuma la responsabilità». Una constatazione, che lascia evidentemente trasparire una chiara presa di distanza rispetto alla scelta appena comunicata dal presidente del Consiglio.
La priorità per Napolitano è che venga salvaguardata la «continuità e serenità» alla guida della Banca d’Italia, e che non ne venga in alcun modo messa in discussione l’autonomia. La decisione annunciata da Berlusconi rischia al contrario di provocare un grave elemento di contenzioso con la Banca, che potrebbe rendersi palese con il parere, non vincolante ma non per questo meno significativo, del Consiglio superiore. Il breve colloquio si è concluso con un ulteriore invito che Napolitano ha rivolto al premier, perché «ponderi bene» le conseguenze della sua scelta.
Non si nasconde una certa irritazione al Colle. I collaboratori di Napolitano parlano di preoccupazioni del Capo dello Stato che «sono rimaste tali». Le affermazioni del consigliere anziano della Banca, Paolo Blasi paiono perfettamente in linea con i timori di Napolitano: il Consiglio superiore «non sarà semplice notaio di una decisione presa altrove. Il parere potrà essere positivo o negativo». La procedura prevede che la designazione passi alla ratifica del Consiglio dei ministri, per concludersi con la nomina da parte del presidente della Repubblica.
Il complesso iter disegnato dalla legge di riforma del 2005 presuppone una concertazione, e dunque un’intesa preventiva, ai massimi livelli istituzionali. Se questa sarà alla fine la scelta, evidentemente si sarà saltato qualche passaggio. E anche questo è elemento di ulteriore preoccupazione per Napolitano che, fin dall’inizio di questa complessa vicenda ha invitato Berlusconi al «rispetto delle procedure», anche per i riflessi in termini di immagine e credibilità a livello internazionale.
Certo è che quel reiterato riferimento alle preoccupazioni che albergano in sede europea, lanciato ieri nel corso del suo intervento al Quirinale, non è apparso casuale. Non è solo la tenuta dei conti pubblici, la crisi del debito a preoccupare le cancellerie. Se i patti sono da rispettare, allora occorreva da tempo rassicurare il presidente francese Nicolas Sarkozy sulla ferma intenzione del governo di liberare in tempo utile la poltrona nel board della Bce, occupata da Bini Smaghi, per far posto al candidato francese. E invece si è giunti a ridosso del Consiglio europeo di domenica prossima e a pochi giorni dal trasferimento di Mario Draghi alla guida dell’Eurotower. Il complesso puzzle – Napolitano lo sostiene da diverse settimane – andava dipanato molto prima.
Al contrario si è giunti alla designazione del successore di Mario Draghi in un contesto a dir poco confuso, nell’inedito intreccio con i contenuti del decreto sviluppo e il braccio di ferro con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti (che spinge per Vittorio Grilli). Della questione Napolitano ha parlato brevemente anche con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che ieri ha tessuto faticosamente la sua tela. Il Capo dello Stato non ha fatto misteri della sua preferenza per la soluzione interna del direttore generale Fabrizio Saccomanni. A proposito della mancata condivisione politica sul decreto sviluppo, si è autodefinito “angustiato”. Sensazione che va evidentemente estesa anche all’epilogo della vicenda Banca d’Italia.
IL NODO
L’iter, la concertazione
La procedura prevede che la designazione passi alla ratifica del Consiglio dei ministri, per concludersi con la nomina da parte del presidente della Repubblica.
Il complesso iter disegnato dalla legge di riforma del 2005 presuppone una concertazione, e dunque un’intesa preventiva, ai massimi livelli istituzionali.
La priorità del Colle
Per Napolitano la priorità è che venga salvaguardata la «continuità e serenità» alla guida della Banca d’Italia, e che non ne venga in alcun modo messa in discussione l’autonomia. La decisione annunciata da Berlusconi rischia al contrario di provocare un grave elemento di contenzioso con la Banca, che potrebbe rendersi palese con il parere, non vincolante ma non per questo meno significativo, del Consiglio superiore.
Il breve colloquio di ieri si è concluso con un ulteriore invito che Napolitano ha rivolto al premier, perché «ponderi bene» le conseguenze della sua scelta. Il Capo dello Stato non ha fatto misteri della sua preferenza per la soluzione interna del direttore generale Fabrizio Saccomanni.
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