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Perché non sciogliere il popolo?

Ora la questione viene posta anche da Rossana Rossanda e da Il manifesto. Non sposeremo il suo pessimismo, ma certo la “mancata reazione” politica deve costringere tutti a riflettere su quanto fragile sia il velo di “ipocrisia perbenista” steso sui rapporti di potere reale nel capitalismo attuale.

Ricordando che la fragilità di questo velo significa tanto “pochezza culturale” delle retoriche affidate alla “libera stampa”, quanto possibilità di “bucare” più facilmente il pallone gonfiato dell’ideologia dominnte.


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Rossana Rossanda
PERCHÉ NON SCIOGLIERE IL POPOLO?

Credevo che ci fosse un limite a tutto. Quando Papandreou ha proposto di sottoporre a referendum del popolo greco il «piano» di austerità che l’Europa gli impone (tagli a stipendi e salari e servizi pubblici nonché privatizzazione a tutto spiano) si poteva prevedere qualche impazienza da parte di Sarkozy e Merkel, che avevano trattato in camera caritatis il dimezzamento del debito greco con le banche. Essi sapevano bene che le dette banche ci avevano speculato allegramente sopra, gonfiandolo, come sapevano che Papandreou aveva chiesto al Parlamento la facoltà di negoziare, e che una volta dato il suo personale assenso, doveva passare per il suo governo e il parlamento (dove aveva tre voti di maggioranza). Ed era un diritto, moralmente anzi un dovere, chiedere al suo popolo un assenso per il conto immenso che veniva chiamato a pagare. Era un passaggio democratico elementare. No?
No. Francia e Germania sono andate su tutte le furie. Come si permetteva Papandreou di sottoporre il nostro piano ai cittadini che lo hanno eletto? È un tradimento. E non ci aveva detto niente! Papandreou per un po’ si è difeso, sì che glielo ho detto, o forse lo considerava ovvio, forse pensava che fare esprimere il paese su un suo proprio pesantissimo impegno fosse perfino rassicurante. Sì o no, i greci avrebbero deciso tra due mesi, nei quali sarebbero stati informati dei costi e delle conseguenze. Ma evidentemente la cancelliera tedesca e il presidente francese, cui l’Europa s’è consegnata, avrebbero preferito che prendesse tutto il potere dichiarando lo stato d’emergenza, invece che far parlare il paese: i popoli sono bestie; non sanno qual è il loro vero bene, se la Grecia va male è colpa sua, soltanto un suo abitante su sette pagava le tasse (e non era un armatore), non c’è parere da chiedergli, non rompano le palle, paghino. Quanto ai manifestanti, si mandi la polizia.
E per completare il fuoco di sbarramento hanno aggiunto: intanto noi non sganciamo un euro. Erano già caduti dalle nuvole scoprendo nel cuor dell’estate che la Grecia si era indebitata oltre il 120 del Pil. E non solo, aveva da ben cinque anni una «crescita negativa» (squisito eufemismo). Né i governi, né la commissione, né l’immensa burocrazia di Bruxelles se n’erano accorti, o se sì avevano taciuto; idem le banche, troppo intente a specularci sopra. Perché no? I singoli stati europei hanno dato loro ogni libertà di movimento, le hanno incoraggiate a diventare spregiudicatissime banche d’affari, e quando ne fanno proprio una grossa, invece di mandar loro i carabinieri, corrono a salvarle «per non pregiudicare ulteriormente l’economia».
In breve, la pressione è stata tale che Papandreou ha ritirato il referendum. La democrazia – in nome della quale bombardiamo dovunque ce lo chiedano – non conta là dove si tratta di soldi. Sui soldi si decide da soli, fra i più forti, e in separata sede. Davanti ai soldi la democrazia è un optional.
Nessun paese d’Europa ha gridato allo scandalo. Né la stampa, gioiello della democrazia. Non ho visto nessuna indignazione. Prendiamone atto.
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Di parere completamente opposto, a ben vedere, Il Sole 24 Ore

Atene e le scelte della democrazia

di Luigi Guiso e Massimo Morelli

Il tentativo di Papandreou di indire un referendum salva-euro sembra per ora tramontato. La scelta era stata male accolta: dai mercati e dai politici europei. Dai politici perché si frapponeva alla strategia di gestione della crisi greca che con molta fatica i governi dell’Europa avevano messo a punto; dai mercati perché iniettava nuova incertezza su una situazione già notevolmente incerta.

C’è però da chiedersi se la decisione di Papandreu vada vista effettivamente come un fatto preoccupante per il salvataggio della Grecia e, di converso, per la stabilità dell’euro o se, al contrario, non possa essere parte della soluzione. A ben vedere è possibile che la proposta di Papandreu di consultare i cittadini greci con un voto referendario possa costituire un contributo positivo ad una situazione drammatica. Per cui potrebbe anche essere riproposta. Vediamo perché.

Oggi i cittadini greci si trovano di fronte a un insieme di misure di austerity di fatto imposte dall’esterno. Quelle misure probabilmente possono anche essere la soluzione dei problemi della Grecia; esse possono cambiare in meglio l’equilibrio economico del paese, aiutandolo a stabilizzare i propri conti pubblici, superare i problemi strutturali che rendono le istituzioni economiche greche fragili, da ultimo far riprendere la sua economia, gettando le basi perché si verifichi una inversione nella tendenza del prodotto interno lordo a calare, magari non subito ma almeno in prospettiva.

Papandreu, come qualunque primo ministro che si rispetti, ha – deve avere – piena coscienza della proprietà delle misure e ne capisce l’importanza e le conseguenze benefiche per l’equilibrio economico del paese. Ma i cittadini non sono primi ministri e non tutti sono in grado di ragionare calandosi nei panni di Papandreu. Forse alcuni sì, ma la maggior parte no. I cittadini (ed elettori) greci vedono il problema che investe il loro paese ma principalmente vedono il loro problema e ignorano quello degli altri.

Delle misure di risoluzione della crisi vedono il costo che loro devono sopportare ma non sono in grado, diversamente da Papandreu, di calcolarne e verificarne i benefici, personali e collettivi. Il fatto che queste misure siano “calate da fuori”, probabilmente le rende ancora più aliene agli occhi dei cittadini greci. Aliene e quindi difficili da supportare e sopportare. Questa tendenza è ulteriormente accentuata da un’altra caratteristica dei greci: quella di essere dominati da una cultura che, ancor più che in altri paesi, li porta ad anteporre la difesa degli interessi individuali rispetto a quella del bene collettivo.

In uno studio apparso su Science un paio di anni fa un team di ricercatori europei contrasta greci e tedeschi nella loro disponibilità a contribuire al finanziamento di un bene comune: mentre i tedeschi cooperano con gli altri e puniscono quelli che non cooperano, i greci non solo non partecipano alla costruzione del bene comune ma, se possono puniscono quelli che lo fanno. Verosimilmente perché il buon comportamento dei pochi mette a nudo quello cattivo dei molti.

Questo suggerisce che catalizzare consenso intorno al pacchetto di misure che il governo Papandreu dovrebbe adottare è estremamente difficile, come dimostra il successo populista dell’opposizione parlamentare. Questo per un leader politico è un problema. Senza un consenso più o meno espresso dei suoi elettori è difficile per Papandreu passare quelle misure e poi implementarle. Paradossalmente è lo stesso problema che la Merkel si trovò a gestire quando la crisi greca era solo all’inizio, nei primi mesi del 2010.

Far accettare ai tedeschi un piano di aiuti alla Grecia: le norme culturali che guidano i comportamenti dei tedeschi imponevano, come suggerisce lo studio su Science, di punire i greci e la Merkel non poteva discostarsi da questi sentimenti diffusi pena il fallimento delle sue stesse politiche. Questo nonostante l’aiuto alla Grecia dato allora avrebbe evitato l’esplodere della crisi a vantaggio anche dei tedeschi. Poteva cercare di convincere lentamente i suoi concittadini, come ha fatto, che quelle politiche erano la cosa giusta da fare.

Il referendum chiamato da Papandreu era lo strumento scelto da un politico intelligente come il premier greco per far percepire in modo saliente ai suoi concittadini, scavalcando l’opposizione in parlamento, quello che essi tendono oggi ad ignorare: che non implementare quelle misure, opponendosi ad esse, farebbe precipitare la loro economia e quindi loro stessi in una voragine ancora più onerosa del costo che quelle misure impongono a ciascuno di essi. Non è riuscito per ora in questo intento ma la sostanza della proposta rimane e viene lasciata in eredità al governo che verrà, sia a quello di transizione sia a quello che dovesse emergere da nuove elezioni.

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