La Corte internazionale dell’Aja ha dato parere favorevole al ricorso della Germania contro l’Italia stabilendo il blocco delle indennità alle vittime italiane dei crimini nazisti. Nella sentenza la Corte ha ribadito che queste sono in violazione dell’immunità legale internazionale ottenuta dalla Germania per i crimini commessi dal nazismo. Berlino aveva presentato ricorso contro la sentenza della Cassazione del 2008 per il risarcimento delle vittime del massacro nazista avvenuto il 29 giugno 1944 a Civitella, in Toscana. Il 29 giugno del 1944, i militari tedeschi uccisero uccisero 203 abitanti di Civitella, Cornia e San Pancrazio (Arezzo), sparando a donne, bambini, uomini e anziani, incluso il parroco. La Corte del’Aja ha accolto tutti i punti del ricorso presentato dalla Germania che accusava l’Italia e il suo sistema giudiziario di “venire meno ai suoi obblighi di rispetto nei confronti dell’immunità di uno stato sovrano come la Germania in virtù del diritto internazionale”. La Corte dell’Aja ha poi concordato con la richiesta di Berlino di “ordinare all’Italia di prendere tutte le misure necessarie” affinché le decisioni della giustizia italiana che contravvengono alla sua immunità siano prive d’effetto e che i suoi tribunali non pronunzino più sentenze su simili casi.
In sostanza il governo tedesco fa riferimento a quell’accordo bilaterale, siglato da Italia e Germania nel dopoguerra che archiviò tutte le indagini sui crimini nazisti e rinunciò a perseguirne i responsabili.
Recentemente lo storico tedesco Felix Bohr ha denunciato che ci sarebbero responsabilità ben precise in merito all’insabbiamento dei colpevoli, e queste andrebbero ricercate a Roma e a Berlino negli anni Cinquanta, quando fece comodo sia alla Dc in Italia, sia al cancelliere tedesco Adenauer non voler perseguire i colpevoli e collaborare per evitare che i criminali nazisti responsabili fossero estradati e chiamati a rispondere delle loro rappresaglie davanti alla giustizia italiana. Gli unici due a finire alla sbarra per la strage alle Fosse Ardeatine furono solo Herbert Kappler ed Erich Priebke, ma i colpevoli, i mandanti e gli autori delle stragi naziste in Italia erano molti di più, solo che i loro dossier furono seppelliti dentro l’Armadio della Vergogna all’interno del Viminale. L’armadio venne girato con le ante verso il muro e per decenni nessuno ci mise le mani né fu messo nelle condizioni di farlo.
Bohr, in una lunga ricostruzione pubblicata sul settimanale tedesco Der Spiegel, ha dimostrato come il governo di Roma abbia in quegli anni contribuito all’insabbiamento per evitare per il processo ai vertici nazisti potesse fungere da esempio per Paesi che avrebbero così potuto chiedere all’Italia di estradare gli italiani che hanno commesso crimini di guerra (in Jugoslavia ad esempio). Tra le fonti consultate dallo storico l’immenso patrimonio dell’Archivio politico dell’Auswaertiges Amt (AA), il ministero degli Esteri tedesco. Bohr avrebbe in particolare messo le mani su una singolare corrispondenza intercorsa nel 1959 tra l’ambasciata tedesca a Roma e il ministero degli Esteri tedesco, dal quale sarebbe emersa la volontà di Berlino e Roma di sottrarre al giudizio i criminali nazisti. Vi sarebbe persino un testo in cui l’allora consigliere d’ambasciata tedesco, Kurt von Tannstein (iscritto sin dal 1933 al partito nazista) avrebbe sostenuto che l’obiettivo era quello di “addormentare” le indagini sui fatti del marzo ’44. Il governo italiano non voleva inimicarsi i rapporti con la Germania di Konrad Adenauer, saldo alleato della Nato e quindi partner nella campagna anticomunista. La ricerca di Bohr avrebbe poi evidenziato la inconsistenza dell’affermazione tedesca secondo cui sarebbe stato impossibile trovare il luogo di residenza dei presunti responsabili. Bohr avrebbe dimostrato infatti che in molti casi sarebbe stato molto facile rintracciare i criminali coinvolti con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Solo per fare un esempio Carl-Theodor Schuetz, che aveva comandato il plotone di esecuzione, continuava a lavorare per i servizi segreti tedeschi. Kurt Winden, colui che secondo la testimonianza di Kappler aveva preso parte alla scelta degli ostaggi da fucilare, lavorava nel 1959 alla Deutsche Bank a Francoforte. Oppure il caso del criminale nazista Karl Hass, arruolato dai servizi segreti miliari Usa nel dopoguerra, che agì e abitò in Italia per molti anni.
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